Il regista adatta in versione horror una storia del folklore coreano, Janghwa Hongreyon-jon (lett. La storia di Rosa e Fiore di loto), che nel passato era stata trasposta al cinema già diverse volte (1924, 1936, 1956, 1962, 1972), e dà come nomi alle due ragazze protagoniste dei sinonimi dei due fiori, Su-mi e Su-yeon.
La prima (Su-jeong Lim) torna a casa dopo un periodo trascorso in un sanatorio per disturbi psicologici, successivi alla morte della madre. Qui, lei e la sorella minore devono rapportarsi alla nuova compagna del padre, Eun-Joo, in una sequela di gelosie trasversali, che Bae Moo-hyeon (Kap-su Kim) sembra incapace di gestire per debolezza, aumentando inevitabilmente la tensione tra i suoi affetti.
Su questa trama, impostata sul tema della matrigna, un topos della narrazione favolistica che denuncia l'originaria derivazione della storia (anche alle nostre latitudini il terrore della matrigna è un motivo frequente, basti pensare a Biancaneve o a Cenerentola, solo per citarne un paio tra le più note), il regista crea un film di grande qualità formale, con una mdp che si muove funzionalmente all'effetto che vuole suscitare nello spettatore, una ricca fotografia diretta da Mo-gae Lee, caratterizzata da colori saturi, e da una scenografia curata in maniera meticolosa. A tal proposito si segnala la differenziazione di ogni stanza attraverso diversi disegni floreali della carta da parati, una delle quali viene riproposta anche nei bellissimi titoli di testa in cui i fiori si materializzano e galleggiano sullo schermo.
La pellicola, inoltre, ha vinto anche il premio come miglior film al Festival del cinema fantastico di Porto (2003), a dimostrazione dell'apprezzamento che si è ritagliata tra gli esperti del settore.
Oltre agli aspetti già segnalati, peraltro, va precisato che anche la sceneggiatura contribuisce nell'obiettivo di esasperare i toni, con frasi taglienti che si scambiano i personaggi: la matrigna viene sempre chiamata dalle due sorelle del titolo "quella donna"; Su-mi biasima suo padre con un lapidario "non sei neanche un cattivo padre", pronunciato con enorme delusione; Eun-Joo dice a Su-mi, in un monologo intenso quanto spietato "la vita è difficile, l'unica madre che puoi avere ora sono io" e, poco dopo, "Sai… Sai cos'è veramente spaventoso? Che tu vuoi dimenticare qualcosa, cancellarlo dalla tua mente, ma non ci riuscirai. Non potrà sparire, capisci? Ti insegue come un fantasma, tutta la vita!"
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