mercoledì 29 ottobre 2014

Two sisters (Ji-woon Kim 2003)

A ridosso di Halloween è il momento, anche per il Cinema secondo Begood, di recensire un film horror, e nello sceglierlo di rendersi conto di quanto sia difficile negli ultimi anni ricordare dei buoni film di questo genere ben distribuiti in Italia. Prima di questo Two Sisters, in effetti, bisogna tornare allo statunitense The Ring (Verbinski 2002), remake dell'ancora migliore versione giapponese Ring (Nakata 1999), o a The Others (Amenabar 2001). Come nel primo dei due casi, anche il film di Ji-woon Kim viene dall'estremo oriente, stavolta dalla Corea, e come quello ha prodotto una ripresa hollywoodiana (The uninvited - Guard 2009), mentre con la pellicola di Amenabar ha in comune il taglio psicologico e il gioco con lo spettatore sulla realtà vera e quella percepita dai personaggi e narrata in soggettiva.

Il regista adatta in versione horror una storia del folklore coreano, Janghwa Hongreyon-jon (lett. La storia di Rosa e Fiore di loto), che nel passato era stata trasposta al cinema già diverse volte (1924, 1936, 1956, 1962, 1972), e dà come nomi alle due ragazze protagoniste dei sinonimi dei due fiori, Su-mi e Su-yeon.
La prima (Su-jeong Lim) torna a casa dopo un periodo trascorso in un sanatorio per disturbi psicologici, successivi alla morte della madre. Qui, lei e la sorella minore devono rapportarsi alla nuova compagna del padre, Eun-Joo, in una sequela di gelosie trasversali, che Bae Moo-hyeon (Kap-su Kim) sembra incapace di gestire per debolezza, aumentando inevitabilmente la tensione tra i suoi affetti.
Su questa trama, impostata sul tema della matrigna, un topos della narrazione favolistica che denuncia l'originaria derivazione della storia (anche alle nostre latitudini il terrore della matrigna è un motivo frequente, basti pensare a Biancaneve o a Cenerentola, solo per citarne un paio tra le più note), il regista crea un film di grande qualità formale, con una mdp che si muove funzionalmente all'effetto che vuole suscitare nello spettatore, una ricca fotografia diretta da Mo-gae Lee, caratterizzata da colori saturi, e da una scenografia curata in maniera meticolosa. A tal proposito si segnala la differenziazione di ogni stanza attraverso diversi disegni floreali della carta da parati, una delle quali viene riproposta anche nei bellissimi titoli di testa in cui i fiori si materializzano e galleggiano sullo schermo.

La narrazione riesce a mantenere la tensione alta per l'intera durata del film, complice anche qualche scorrettezza diegetica nei confronti di chi guarda - e per la cui identificazione per ovvi motivi si rimanda alla visione del film -, con punte massime che, oltre agli scontri tra matrigna e fanciulle, vedono nella sequenza della cena una scena madre: qui Yeom Jeong-ah, che interpreta il ruolo della matrigna con grande versatilità, si esibisce forse nella sua prova migliore e, dopo aver invitato il fratello e la cognata, alterna iniziali comportamenti di perfetta ospitalità fino a mostrare segni di squilibrio con toni sopra le righe, che generano sugli altri commensali un'imbarazzata impassibilità. È probabilmente soprattutto grazie a questa sequenza, unita a tutti gli altri momenti in cui passa da atteggiamenti di premurosa dolcezza a quelli in cui esplode in una furia maniacale contro le figliastre, che la bella Yeom si è aggiudicata il corvo d'argento come migliore attrice non protagonista al Festival del cinema fantastico di Bruxelles (2004).
La pellicola, inoltre, ha vinto anche il premio come miglior film al Festival del cinema fantastico di Porto (2003), a dimostrazione dell'apprezzamento che si è ritagliata tra gli esperti del settore.
Oltre agli aspetti già segnalati, peraltro, va precisato che anche la sceneggiatura contribuisce nell'obiettivo di esasperare i toni, con frasi taglienti che si scambiano i personaggi: la matrigna viene sempre chiamata dalle due sorelle del titolo "quella donna"; Su-mi biasima suo padre con un lapidario "non sei neanche un cattivo padre", pronunciato con enorme delusione; Eun-Joo dice a Su-mi, in un monologo intenso quanto spietato "la vita è difficile, l'unica madre che puoi avere ora sono io" e, poco dopo, "Sai… Sai cos'è veramente spaventoso? Che tu vuoi dimenticare qualcosa, cancellarlo dalla tua mente, ma non ci riuscirai. Non potrà sparire, capisci? Ti insegue come un fantasma, tutta la vita!"

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