Giacomo Leopardi non è mai stato così vicino, forse troppo...
Mario Martone ha realizzato una biografia del grande poeta di Recanati che tenta di dissacrare l'aura quasi mitologica che aleggia attorno alla sua figura, ma nel farlo, complice anche l'interpretazione di Elio Germano, ne è scaturita un'immagine macchiettistica e farsesca.
Mario Martone ha realizzato una biografia del grande poeta di Recanati che tenta di dissacrare l'aura quasi mitologica che aleggia attorno alla sua figura, ma nel farlo, complice anche l'interpretazione di Elio Germano, ne è scaturita un'immagine macchiettistica e farsesca.
Il film segue Giacomo sin dall'infanzia, quando cresce insieme ai fratelli Carlo (Edoardo Natoli) e Paolina (Isabella Ragonese), sotto il controllo ossessivo del padre Monaldo (Massimo Popolizio) e della madre Adelaide (Raffaella Giordano). Sono gli anni dello studio "matto e disperatissimo" nella famosa biblioteca del palazzo di famiglia, unico svago in una claustrofobica realtà provinciale da cui prova ad allontanarsi scrivendo a personaggi del calibro di Pietro Giordani (Valerio Binasco), Vincenzo Monti e Angelo Mai, ricevendo soprattutto le attenzioni del primo che arriva nella cittadina marchigiana per conoscerlo ma che, in virtù delle sue idee progressiste, non viene visto di buon occhio da Monaldo, uomo dalla rigida mentalità conservatrice. Sono anche gli anni del malcelato amore per Teresa Fattorini (l'esordiente Gloria Ghergo), la Silvia della celebre poesia, che muore giovanissima nell'umile casa di fronte a palazzo Leopardi.
Giacomo riuscirà ad allontanarsi dal suo luogo natìo discendendo lo stivale e raggiungendo prima Firenze, poi Roma e, infine, Napoli, al fianco del suo amico Antonio Ranieri (Michele Riondino). In Toscana i due conoscono la bella Fanny Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis), con cui instaurano un rapporto che tanto ricorda quello di Jules et Jim (Truffaut 1962), ma con Leopardi condannato al dolore che sfoga lungo l'Arno in una scena disperata, in una città che ha determinato per lui anche una cocente delusione professionale, con le sue Operette morali screditate dagli accademici. Nella città eterna, Giacomo cerca il favore dello zio e prima di desistere si trova a vivere le follie di una città fatta di atteggiamenti cortigiani, con precedenze e attese davanti ad una porta che non si apre mai.
A Napoli Martone si trova, com'è naturale, più a suo agio, e con lui il suo protagonista, che qui scopre gli aspetti più gioiosi della vita: la musica popolare e quella lirica, passando da serate conviviali a ritmo di tarantella ai palchi del San Carlo; il cibo e i dolci, taralli e gelati, le chiacchiere sul gioco del pallone (che gli permettono di ricordare il campione Carlo Didimi a cui dedicò A un vincitore nel pallone), nonché i bordelli, in un crescendo che però vedrà "o' ranavuottol'" - come viene ribattezzato dalla felliniana signora Rosa interpretata da Iaia Forte - uscire sconfitto anche da questa esperienza e persino deriso da alcuni scugnizzi.
Potremmo riassumere la pellicola con una frase degna del sarcasmo di Johnny Palomba, "la noia aumenta in maniera proporzionale alla gobba del protagonista", ma per spiegare meglio cosa genera questa sensazione di insoddisfazione, bisogna chiamare in causa una sostanziale superficialità che, con l'obiettivo di avvicinare Leopardi al grande pubblico, ne fa un personaggio pop e ribelle che qua e là recita alcuni versi delle sue più celebri poesie come in un videoclip.
Nonostante tutto questo e con un Elio Germano quasi sempre sopra le righe, in una recitazione "per via di porre" davvero eccessiva, restano alcune belle sequenze che meritano di essere ricordate: lo sfogo di Giacomo quando Monaldo lo interroga dopo aver scoperto il suo tentativo di fuga da Recanati, in cui il regista alterna in montaggio alternato la reazione che il giovane poeta vorrebbe esternare e quella che esterna realmente; il già citato pianto in riva all'Arno ripreso dall'alto e le scene partenopee, tra cui, su tutte, quella che lo immortala con uno sguardo estatico di fronte allo spettacolo del Vesuvio in eruzione dal balcone della villa di Torre del Greco, e che sarà fondamentale ispirazione per La ginestra. A queste, infine, si aggiunga forse il momento più felliniano del film: il sogno in cui Leopardi combatte e maledice la Natura, una donna gigante fatta di terra e caratterizzata dalle fattezze della madre Adelaide...
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