venerdì 29 dicembre 2023

Il male non esiste (Hamaguchi 2023)

I grandi registi sono grandi anche nelle piccole cose. Aku wa sonzai shinai è un dramma poetico a sfondo ecologico, tra natura e antropizzazione di un paesino nei pressi di Tokyo, Mizubiki.
Ryusuke Hamaguchi, dopo l'Oscar di Drive my car (2021), vince il Leone d'argento a Venezia con un film nato per caso, in cui ci mostra la capitale giapponese solamente per pochi secondi, in un anonimo scorcio fatto di grandi palazzi e una tangenziale che li fiancheggia. Per il resto l'intera pellicola è ambientata nel piccolo paese che si regge su un equilibrio sottile in cui la presenza umana limita il più possibile la sua inevitabile invadenza (trailer).
Le cose, però, stanno per cambiare, perché una società di spettacolo (sic), spinta più dai sussidi legati alla pandemia che da altro, ha deciso di creare un glamping in quell'area. Glamour e campeggio di lusso sono quanto mai lontani dallo spirito di quel luogo e la comunità che abita lì fa quadrato contro un progetto senza capo né coda, contrastandolo con una misura e un'educazione inimmaginabili al di fuori dei confini nipponici.
Un lungo carrello che guarda le chiome degli alberi apre e si ripete durante il film: è la soggettiva della piccola Hana (Ryō Nishikawa), figlia di Takumi (Hitoshi Omika), il tuttofare che lavora per il paese e di cui non sappiamo nulla, se non quel poco che vediamo in qualche fotografia, dov'era felice con figlia e compagna, evidentemente scomparsa. Nel silenzio poetico di Hamaguchi a parlare è la sola natura: in un paesaggio innevato nel bosco, Takumi taglia la legna fuori dalla propria casa, raccoglie l'acqua nel torrente a valle per sé e per il piccolo ristorante del villaggio gestito da una coppia di amici, a cui segnala anche la presenza di wasabi selvatico cresciuto tra l'erba. Eppure i momenti di condivisione ci sono: nella convivialità in cui i quattro cenano insieme a Suruga, il sindaco del paese, un uomo anziano che vive da sempre lì, o nel divertimento di un gruppo di bambini che giocano a un, due, tre stella. E la mdp li riprende così, dal lunotto posteriore di un'automobile in movimento, che rappresenta un elemento quasi del tutto estraneo a quella realtà, a cui gli stessi bambini non sono abituati, ma che permette ad Hamaguchi l'ennesimo saggio di bravura. Hana in quel gruppo di coetanei non c'è, preferisce camminare solitaria tra la neve, tra gli alberi (che impara a riconoscere grazie agli insegnamenti del padre), osservando le piante e i cervi che abitano il circondario.
L'incontro della comunità con i rappresentanti della società è ai limiti del surreale: i due agenti, Takahashi (Ryūji Kosaka) e Mayuzumi (Ayaka Shibutani), non sanno praticamente nulla di ciò di cui sono tenuti a parlare, tanto più che il loro contratto è nel mondo dello spettacolo, pertanto riportano semplicemente una serie di dati e di intenzioni, che non convincono nessuno. Non si arriva allo scontro - e anche in questo è basilare il ruolo di Takumi -, ma alla totale sfiducia nei confronti del progetto: ogni proposta riceve delle puntuali obiezioni e ben presto i partecipanti capiscono che le due persone che hanno di fronte non possono fare nulla se non riportare le loro rimostranze a chi decide davvero.
La logica degli abitanti di Mizubiki è ferrea, l'acqua non può essere inquinata nemmeno in piccola percentuale e bisogna considerare, come precisa il sindaco Suruga, che "ciò che accade a monte ha ripercussioni a valle, sempre".
I due agenti sono persino affascinati da quel mondo e soprattutto Takahashi inizia a pensare di poter cambiare vita e trasferirsi lì a lavorare nel futuro glamping, un pensiero che si fa ancora più consistente quando il semplice gesto di spaccare un ceppo di legno gli darà una scossa di felicità che non provava da tempo.
Natura, comunità, capitalismo: tre livelli di una realtà, il cui primo gradino sembra destinato a soccombere davanti agli altri due, il primo che cerca un equilibrio, il secondo che non conosce altro che la logica del profitto.
Le immagini della natura sono accompagnate non solo dalla poesia della mdp, ma anche e soprattutto da quella delle note della bella colonna sonora della polistrumentista Eiko Ishibashi, già compositrice delle musiche del già citato Drive my car (2021). Per comprendere la totale fusione tra musica e immagini, basti pensare che la pellicola è nata per caso, appunto, dalla semplice richiesta di Ishibashi ad Hamaguchi di girare dei filmati per le sue performance dal vivo e che poi il regista nipponico si è lasciato prendere la mano.
Tutta questa armonia, però, in alcuni momenti viene improvvisamente interrotta, con stacchi netti, disturbanti, metafora della rottura che l'uomo genera nella natura, e non è detto che quest'ultima resti sempre lì a subire nel suo poetico silenzio, poiché il sublime può anche essere terribile...

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