sabato 4 febbraio 2023

Babylon (Chazelle 2022)

Il film di Damien Chazelle è il capolavoro che avrebbe potuto essere ma non è stato. Una pellicola potenzialmente bellissima, che si perde durante il suo svolgimento diventando un guazzabuglio a cui la continua addizione di elementi e di sottotrame non fa che aumentare l'irrequietezza dello spettatore sulla poltrona, che nell'ultima ora di narrazione si rivela sempre più scomoda. Si è pronti a lasciarla da un momento all'altro, eppure il regista ha sempre almeno un'altra sequenza da mostrarci... C'è materiale per almeno tre film in Babylon e non riuscire a tagliare qualcosa per non dover rinunciare a nulla è il suo più grande difetto (trailer).
La vicenda prende avvio a Bel Air nel 1926: siamo ad un passo dalla rivoluzione del sonoro nel cinema, che vivrà il suo primo capitolo con Il cantante di jazz (Crosland 1927).
Manuel 'Manny' Torres (Diego Calva) e Nellie LaRoy (Margot Robbie) sono due ragazzi che sognano di lavorare nel cinema e si conoscono alla rutilante festa di Don Wallach (Jeff Garlin), dirigente della Kinoscope studios, in cui l'eccesso è la norma: un lungo piano sequenza ci mostra i dettagli di un grande spazio dominato da un'atmosfera orgiastica, in cui le persone ballano, fanno sesso, bevono, urlano, in una perfetta Babilonia a cui il titolo biblico allude soprattutto in riferimento alla Hollywood precedente al codice Hays (1934-68), testimoniato dal libro di Kenneth Anger (Hollywood Babilonia, 1959).
Nei primi minuti tutto è fantasticamente surreale e irriverente: da un elefante che non si esime dal defecare sui personaggi a un nano che durante la festa usa un jumper a forma di fallo che non lascia nulla all'immaginazione, da un'attrice che regala una "doccia dorata" a un produttore obeso per poi andare in overdose, fino al brano interpretato in maniera seducente dalla cantante lesbica sino-americana Lady Fay Zhu (Li Jun Li), My girl's pussy. L'arrivo di Nellie, con un vestito rosso minimale, è una vera e propria apparizione, e vederla ballare come una menade nella folla degli invitati è uno dei momenti più iconici della pellicola.
Anche l'ingresso in scena di Jack Conrad (Brad Pitt) è di grande impatto. A differenza di Manuel e di Nellie, lui è già un divo dello schermo e alla festa lo stanno aspettando tutti. Il litigio con la compagna in auto, piccolo cameo per Olivia Wilde, è fantastico, soprattutto alle nostre latitudini, dato che Jack ama parlare con alcune parole di italiano qua e là. E Brad Pitt è letteralmente irresistibile e, non a caso, spetta a lui la battuta rivolta a Manny in omaggio al lavoro che c'è dietro ai film: "il set è il posto più magico al mondo". Solo allora, e sono passati quaranta minuti, compare il titolo: Babylon ha avuto la sua lunga introduzione, forse la parte migliore della pellicola, che resiste senza sfaldarsi per altrettanti minuti.
Chazelle ci fa ammirare, con un bellissimo piano sequenza (tecnica già usata durante la festa), tutto il set del film in costume che si sta girando e le sue magie, con la neve sparata in scena, i truccatori e i costumisti che preparano gli interpreti, attori che si allenano a tirar di scherma con le spade di legno: tutto è finto e tutto è verissimo. Manny si ritrova a dover affrontare le innumerevoli comparse per le scene di massa pronte alla rivolta sui bassi compensi e il regista, disperato dopo una giornata di lavoro inconcludente o quasi, chiederà scusa a Dio per aver sprecato una perfetta luce del sole al tramonto. Il montaggio alternato, nel frattempo, punta a raccontarci i principali momenti delle scene di Jack e di Nellie, sempre più convincente per tutti, soprattutto quando riesce a piangere a comando, fino al virtuosismo di scegliere se far scendere sulle sue gote una o due lacrime.
C'è tanta cinefilia e anche il momento in cui Jack, fuori dal set, è a telefono con Gloria Swanson è significativo in tal senso, e non solo perché lei sarà l'interprete di Viale del tramonto (Wilder 1950), film metacinematografico come Babylon e come questo incentrato sulla decadenza di quel mondo, ma anche perché il suo aggirarsi nella tenda, che gli fa da camerino, ricorda molto una sequenza de Il senso della vita dei Monty Python (Jones 1983), in cui John Cleese è l'ufficiale colionialista inglese che ignora la guerra attorno a lui, continuando a compiere i più semplici gesti quotidiani, come farsi la barba o fare colazione.
Il divo del cinema, in effetti, come l'ufficiale dell'esercito allora, viaggia su una retta parallela rispetto alle persone che lavorano nella sua stessa realtà. E che Chazelle abbia presente i Python sembra confermato da un'altra sequenza più avanti, quella in cui Nellie, nel disagio di essere giudicata come una ragazza di provincia del New Jersey davanti ai potenti dello starsystem, dopo una sfuriata, vomita in sala ricreando quel totale contrasto tra società altolocata e manifestazione organica viscerale, che caratterizza un altro celebre momento di quel film, quello di Mr Creosoto al ristorante (vedi), recentemente rievocato anche da Triangle of Sadness (Östlund 2022).
Tutti hanno un ruolo a Hollywood, che sta crescendo proprio in quegli anni, come non manca di ricordare un cinegiornale inserito nel montaggio, che ci mostra i cantieri della città del cinema. Jack, come detto, è già una star, e vive in una villa, dove vagheggia l'architettura moderna e bistratta il mondo del cinema ("c'è l'architettura Bauhaus e noi facciamo ancora i film in costume"), oltre ad inanellare matrimoni su matrimoni e a consolare l'amico troppo sensibile George, sempre a un passo dal suicidio per i suoi amori disperati e diperanti; Nellie è convinta di essere una diva prima di diventarlo, sta solo aspettando che il mondo se ne accorga, e il suo personaggio richiama molto il modello di Marylin Monroe di bionda bella e tormentata, tanto più che ha la madre in sanatorio per problemi mentali; Manuel, innamorato sin dal primo sguardo di Nellie, diventerà un pezzo grosso della Kinoscope; Lady Fay, che Chazelle ci mostra nella sua vita quotidiana, occhieggiando un po' al cinema di Wong Kar Wai, scrive le didascalie dei film muti e presto dovrà ovviamente ripensare il suo lavoro.
Praticamente tutti i personaggi sono ispirati a figure davvero esistite al tempo: Jack è soprattutto John Gilbert, partner di Greta Garbo, che non riuscì a superare la rivoluzione del sonoro, ma dettagli come il suo italiano rimandano inequivocabilmente a Rodolfo Valentino; Nellie è in parte Clara Bow, nata povera, libertina e scandalosa, con qualche disturbo mentale, ma anche Barbara La Marr, morta trentenne nel 1926 e con un cognome che potrebbe aver suggerito quello di LaRoy; Manny sembra riprendere i tratti del regista, attore, produttore cubano Rene Cardona; Lady Fay è abbastanza palesemente Anna May Wong, prima star d'orgine asiatica di Hollywood, che girò Shanghai Express con Marlene Dietrich (von Sternberg 1932); Ruth Adler, la regista interpretata dalla moglie di Chazelle Olivia Hamilton, è un omaggio alle pochissime registe di allora, prima fra tutte Dorothy Azner, che sul set di The Wild Party (1929) con Clara Bow usò per la prima volta un microfono "a giraffa", come si vede peraltro in Babylon; il trombettista della festa, Sidney Palmer (Jovan Adepo), è naturalmente ispirato a Duke Ellington.
Tra i potenti di Hollywood, nel film, c'è anche William Randolph Hearts, magnate dell'editoria, ispiratore del Charles Forster Kane di Quarto Potere (Welles 1941) e del più recente Mank (Fincher 2020), amante di Marion Davis, passati alla storia anche per le orge organizzate nel loro castello. Anche la morte per overdose della ragazza durante la festa iniziale ha un parallelo di cronaca del tempo: Fatty Arbuckle, l'obeso divo delle comiche mute, infatti, nel 1921 venne accusato dell'omicidio di Virginia Rappe, giovane attrice morta durante una festa in un albergo di San Francisco a causa di una ferita vaginale causata da una bottiglia di champagne.
Gli anni passano e tutto ruota sempre più attorno al cinema e ai suoi cambiamenti: il sonoro trasforma Hollywood e anche i set, dove vediamo impazzire registi e attori, Nellie nella fattispecie, con le innumerevoli ripetizioni dei ciak causati proprio dai problemi col sonoro e dalla sua voce sgraziata, proprio come Lina Lamont in Cantando sotto la pioggia. Jack, invece, sta attraversando il "viale del tramonto" e la giornalista Elinor Sr. John (Jean Smart) lo sottolinea con una penna tagliente come un bisturi. Anche lei, peraltro, sembra modellata fondendo i nomi due potentissime giornaliste di allora come Adela Rogers St. Johns e Elinor Glyn.
La colonna sonora contribuisce ai barocchismi della pellicola, con i suoi numerosissimi brani. Justin Hurwitz compone musiche che spesso rimandano ad altri film: la parte orientale, appena citata, si sente nelle note di Kinescope Erhu o di Morning, nelle quali riecheggia la musica di Shigeru Umebayashi, autore delle bellissime colonne sonore di In the mood for love e di 2046 per Wong Kar Wai, anche se la seconda rimanda inequivocabilmente anche a Barry Lyndon (Kubrick 1975) e al Trio op. 100 di Schubert lì utilizzato; Kinescope Carnival Music fa pensare istintivamente a Il favoloso mondo di Amélie (Jeunet 2001); Night on Bald Mountain ripropone l'omonimo pezzo presente nel capolavoro Disney Fantasia (1940), e non può mancare, naturalmente, la rivisitazione di Singin' in the Rain.
E poi, non vanno dimenticate Vodoo Mama, perfetto pezzo dionisiaco per la già citata danza da baccante di Margot Robbie, o la romantica Ain't Life Grand, poi declinata in varie, forse troppe forme (Herman's Hustle, New York, See You Back in LA, I Want a Man, Meet Miss LaRoy, Call Me Manny, All Figured Out, Te amo Nellie), che tanto si avvicina ai toni di alcune musiche di La La Land, opera sempre di Hurwitz, che viene citata anche in Champagne, in alcune parti davvero molto simile a Epilogue del musical Oscar nel 2017.
L'aspetto cinefilo e metacinematografico in Babylon non si spegne mai: vediamo anche locandine appese di Nemico pubblico (Wellmann 1931), Tarzan l'uomo scimmia (Van Dyke 1932), ecc. e Nellie, ormai sulla cresta dell'onda da tempo, non si fa sfuggire battute sulle dimensioni sessuali di Charlie Chaplin e di Gary Cooper.
Probabilmente, però, per gli amanti del cinema il momento più esaltante è quello in cui ci si rende conto che le tante citazioni da Cantando sotto la pioggia (Donen - Kelly 1952), che appaiono anacronistiche nel 1927, all'avvento del sonoro, nella finzione della storia non sono citazioni, ma avvenimenti reali che verranno poi trasposti in film all'inizio degli anni '50. Non a caso, lo spettatore lo scopre con Manuel, quando ormai, lontano da Hollywood da anni e con un figlio e una moglie messicana come lui, tornerà a Los Angeles e vedrà quel film in cui si racconta tanto anche della sua gioventù.
Chazelle gira in maniera eccitante e, oltre ai piani sequenza, la pellicola è un continuo di panoramiche a schiaffo, con la mdp che durante i dialoghi non effettua praticamente mai un campo e controcampo. La frenesia, però, col tempo diventa insostenibile anche per l'appassionato più incallito, fino ad arrivare al parossismo con le sequenze "infernali": Nellie combatte con un serpente a sonagli, da cui viene morsa e, prima di essere salvata, corre come i ladri del XXIV canto dell'Inferno dantesco; Manny, invece, finisce nel "buco di culo di Hollywood", una caverna-metafora degli abissi del mondo del cinema, lisergica e virata in rosso, in cui lo accompagna, novello Virgilio tossicodipendente, il gangster James McKay (Tobey Maguire), mostrandogli coccodrilli, scene grottesche di sesso e di musofagia, e persino un minotauro (Inf. XII).
Nel continuo addensarsi di quelle che potremmo definire 'superfetazioni cinematografiche' di questo film, Chazelle inserisce anche un incomprensibile montaggio sul cinema, fuori contesto, privo di appigli alla storia e in cui, tra i numerosi spezzoni, ci finiscono anche pellicole ben più moderne della vicenda che si racconta. Una visione, che deflagra nello schermo a colori alterni, alla '2001', che appare per l'ennesima volta pretenziosa e fuori luogo.
Hollywood, il cinema, la vita, tutto ha una fine, d'altronde "un altro film, un'altra recensione, ancora amarsi, ancora lasciarsi", dice Jack. Cercare il senso in tutto questo risulta impossibile. Eppure neanche così la pellicola di Chazelle accenna a finire, e si va sempre oltre...

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