lunedì 30 gennaio 2023

Cantando sotto la pioggia (Donen - Kelly 1952)

Il musical più famoso di sempre? Il più bello di sempre? Chissà, a ciascuno la sua risposta. Indubbiamente Singing in the rain è un caposaldo della storia del cinema, una delle pellicole che meglio di ogni altra ne ha raccontato, con la leggerezza propria del genere, il fondamentale passaggio dal muto al sonoro. Uno dei grandissimi capolavori metacinematografici di Hollywood, giocato sul crinale tra realtà e finzione, che alterna commedia, romanticismo scanzonato e numeri di danza - peraltro con Fred Astaire come consulente -, il tutto condito da musiche coinvolgenti e che restano in mente (Nacio Herb Brown, Roger Edens, Al Goodhart, Al Hoffman, Lennie Hayton) e dalla fotografia di Harold Rosson, con un technicolor smagliante.
Diretto da Stanley Donen e Gene Kelly, già colleghi ballerini di Broadway e già co-registi di Un giorno a New York (1949), così come lo saranno di È sempre bel tempo, il film venne prodotto dalla MGM, la major che l'anno prima aveva sfornato un altro capolavoro assoluto del musical come Un americano a Parigi (Minnelli 1951). E, come in quello, a cui persino il nuovo trailer faceva riferimento come garanzia di qualità, anche stavolta il protagonista maschile è lo stesso Gene Kelly, qui nei panni di Don, star del cinema muto che saprà riadattarsi a divo del sonoro e dei musical.
Tutto, nel film, è racconto cinematografico e amore per il cinema e per Hollywood, celebrati sin dall'inizio, quando la storia ci porta sul red carpet di Canaglia reale, prima di una pellicola che Don ha interpretato al fianco della diva Lina Lamont (Jean Hagen) e dell'amico Cosmo (Donald O'Connor). È quella l'occasione per farci conoscere i personaggi, con tanto di presentatrice con microfono fuori dalla sala, che li introduce al pubblico in visibilio e al contempo a noi spettatori. Don Lockwood si racconta in un montaggio che ne ripercorre velocemente la carriera, da ballerino a musicista a stuntman, fino ad essere oggi il divo acclamato dalle folle.
Cosmo era con lui sin dai tempi di Broadway (un riferimento all'amicizia Donen-Kelly?), mentre l'incontro con Lina, insopportabile bellezza vanitosa e presuntuosa, dalla voce intollerabile, è contraddistinto dall'indifferenza iniziale, di chi guarda dall'alto al basso le maestranze e chi interpreta ruoli minori, fino poi a giungere alla convinzione che Don la ami da sempre.
Il contrasto sarà ancora più evidente quando Don, fuggendo dai fan e dalla voce di Lina, si ritroverà in macchina con Kathy Selden (Debbie Reynolds), attrice di teatro, che non lo riconosce, che non ama i film ("visto uno, visti tutti") e che, senza troppi giri di parole, gli dice "non è che un'ombra sullo schermo", per poi sbarcare il lunario ballando e uscendo da una torta proprio in una festa di Hollywood in cui c'è lo stesso Don, ormai infatuato di lei e del suo temperamento.
L'incontro tra Don e Kathy
Il passaggio del tempo, gli scontri generazionali, teatro-cinema, cinema muto-cinema sonoro, sono alla base di una vicenda che unisce commedia, musical e storia della settima arte. L'accoglienza del sonoro, in un mondo che fino a quel momento ha vissuto di silenzio e di didascalie che sostituivano il dialogo, è quella tipica di chi vorrebbe mantenere lo status quo: "è una trovata che non durerà". Ovviamente siamo nel 1927 e il 6 ottobre, per la Warner Bros, uscirà Il cantante di jazz, diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson: il primo film sonoro, al contrario di quanto credono in molti, sconvolgerà Hollywood e le produzioni in corso capiranno velocemente la necessità di adeguarsi a questa determinante novità tecnica ed espressiva.
Il film non solo racconta la storia del cinema, ma si sofferma spesso sui dettagli tecnici, svelando il mistero, i trucchi, gli espedienti del set. 
Il numero destinato a Cosmo, Make 'em laugh, ne è un perfetto esempio: introdotto da un monologo in cui propone l'adagio dello "show must go on" sempre e comunque, cercando di regalare un sorriso a un intristito Don e citando I Pagliacci di Leoncavallo ("sorridi, pagliacci" - sic), mette in evidenza la scenografia, in cui tutto è finzione, le porte, le prospettive, che Cosmo rompe e attraversa mentre continua a ballare e cantare con mimica accentuata e dei movimenti da ginnasta.
Il nuovo film che Don e Lina stanno girando, Il cavaliere spadaccino, è un'altra occasione per mostrare il cinema sul set. Dopo aver visto il protagonista saltare sui treni, affrontare i primi film da semplice controfigura, per poi fare le stesse cose nella vita reale, saltando nell'auto di una sconosciuta e iniziando così il burrascoso rapporto con Kathy, dal ballo al western, da pilota di aerei alle moto e agli esplosivi, lo vediamo passare al film in costume, in cui Lina, complice il passaggio al sonoro darà il peggio di sé. L'incapacità della star, unita sempre alla voce irritante, porta il regista a trovare degli escamotage per posizionare il microfono in una gag pienamente metacinematografica: dapprima nel cespuglio, poi nella scollatura del vestito e infine nell'ampio fiore di stoffa sulla spalla. A Lina il regista deve spiegare tutto e questo fa gioco nel didascalismo nei confronti dello spettatore, a cui così viene narrato il meccanismo tecnico, con l'incisione del disco di cera su cui viene impressa la traccia sonora.
La sistemazione del microfono su Lina
In nessuno dei casi Lina riuscirà a recitare le sue battute in maniera soddisfacente, cosicché, alla visione del girato, Simpson (Millard Mitchell), il saggio produttore della pellicola, dovrà correre ai ripari e Kathy diventerà la sua voce al doppiaggio, una scelta che scatenerà l'ingiustificata gelosia della diva, convinta che Don sia segretamente innamorato di lei.
Questa parte del soggetto sembra dovere molto al film francese Étoile sans lumière (Blistène 1946), con Yves Montand ed Édith Piaf, nel ruolo di una cantante che presta la voce ad un'attrice cinematografica.
Tutto è comico, in stile slapstick, il filo del microfono che rischia di far cadere Simpson, che tirandolo, invece, fa cadere proprio Lina; il battito del cuore dell'attrice che disturba il dialogo, le perle al collo che fanno un rumore indescrivibile (c'è chi in sala si chiede se fuori stia piovendo); il fuori sincrono tra azione e sonoro che rende tutto molto ridicolo, su tutti il ripetuto "Ti amo" di Don, su cui ironizzeranno gli spettatori (e che viene ripreso in tal senso anche nel recente Babylon di Chazelle, omaggio assoluto seppur sgangherato di Singing in the rain).
Il mondo del cinema sta cambiando e a Hollywood improvvisamente diventeranno fondamentali gli insegnanti di dizione: naturalmente Lina è una frana anche lì, mentre Don non solo se la cava benissimo, ma con Cosmo improvvisa un duetto indimenticabile, Moses supposes, tutto giocato sugli scioglilingua, terribilmente tradotto nei sottotitoli italiani,  e che, tra le tante gag, mostra i due attori giocare anche con le tende della stanza, ovviamente decorate in modo da poter "interpretare" il ruolo di antiche tuniche da patriarchi veterotestamentari. Tutto contribuisce allo spettacolo!
L'insuccesso de Il cavaliere spadaccino renderà triste e malinconico Don, convinto ormai di aver fatto il suo tempo e di non poter rimanere sulla breccia con il passaggio al sonoro. È il momento in cui il film vive i suoi momenti più celebri. L'idea di trasformare il film in un musical - sarà Il cavaliere danzante - esalta Cosmo, Kathy e Don che, nella grande casa da divo, arredata con la ricchezza di un museo, balleranno, tra dipinti antichi, arazzi e armature, Good morning (la scenografia impeccabile del film è di Adolph Green e Betty Comden).
Lo stesso entusiasmo sfocerà, dopo aver accompagnato Kathy a casa e averla baciata, al superlativo assolo di Don in Singing in the rain, cantato e ballato in strada, nella notte (in effetto notte in realtà), tra i lampioni e tra le pozzanghere: qui il sonoro è perfetto, in pieno contrasto con quanto visto ne Il cavaliere spadaccino, sentiamo i passi di tip tap grazie al doppiaggio e con il rumore della pioggia lieve in sottofondo. 
Va ricordato il riutilizzo cinematografico più celebre e significativo del brano: quello di Arancia meccanica (Kubrick 1968), dove è inserito nella scena di stupro compiuto da Alex. Il regista inglese, allora già ampiamente fuori dai circuiti hollywoodiani, la utilizzò in senso parodistico contro lo star system, come simbolo di quel mondo di spensieratezza e di leggerezza che, in effetti, è la principale caratteristica della pellicola, anche in netto contrasto con la drammaticità della sequenza. La giustapposizione di musica e immagini, peraltro, sarà alla base della vendetta del marito della donna stuprata, quando più avanti nel film userà il motivetto per generare un trauma nello stupratore torturato dalle cure di riabilitazione sociale.
Un'altra curiosità: Gene Kelly - che quel giorno girò con oltre 39 di febbre - danza sui marciapiedi passando davanti a diversi esercizi commerciali, un negozio di abbigliamento, uno di cappelli, uno studio di registrazione, una libreria, una scuola d'arte, una farmacia. Alla vetrina di quest'ultima passa più tempo e lo spettatore ha modo di leggere dietro di lui "Mahout", inesistente ma verosimile marca di sigarette che rimanda alle manifatture turche ed orientali (i mahout nel sud-est asiatico sono coloro che lavorano con gli elefanti), tanto più che la ragazza bionda che vediamo come sagoma pubblicitaria fuma fiancheggiata da sfingi e obelischi.  
Il momento più surrealista del film
Si tratta di una cigarette girl, una tipologia femminile che dagli anni '20 alla fine degli anni '40 spopolava nelle pubblicità di grandi aziende come Chesterfield e Lucky Strike, a rappresentare la donna americana tipo, che non deve rinunciare ad un simbolo come la sigaretta. Non a caso, peraltro, qui appare vestita con una canottiera a strisce bianche e rosse e con degli short blu, un abbigliamento che tradisce il riferimento alla bandiera americana (leggi).
Don proporrà al produttore anche un film sulla vita di un ballerino che arriva a Broadway, ma, prima di farci capire che si tratta di un pensiero del protagonista, il regista ci mostrerà Gene Kelly giovane sprovveduto che arriva in città e fa le prime esperienze fino al successo nei cabaret, nei casinò, nelle Ziegfield Follies, gli spettacoli teatrali ispirati alle parigine Folies Bergère, che rimasero in scena a Broadway dal 1907 al 1931, fino a Gotta dance, il bel brano che fonde un po' di noir all'inevitabile omaggio al ballo. L'arrivo dell'uomo a Broadway fa pensare a quello dell'alter ego di Fellini in Roma (1972), e di onirismo felliniano ce n'è tanto in questo brano del film, che inoltre cita a piene mani il surrealismo nella bella scena tra Dalì e De Chirico strutturata in una lunga diagonale su cui danzano Gene Kelly e la bellissima ballerina interpretata da Cyd Charisse. 
Il successo de Il cavaliere danzante fornirà la speranza di un futuro radioso anche per chi sembrava finito con l'avvento del sonoro, ma resterà un solo dettaglio da risolvere, quello di Lina e della sua vanagloria, irrispettosa per il gran lavoro di Kathy. Il disvelamento dell'ennesimo trucco cinematografico, però, sarà il vero deus ex machina della storia: il sipario alle spalle di Lina, che sta cantando dal vivo con l'ausilio di Kathy lì dietro, verrà aperto e la verità sarà rivelata al pubblico, tra le ovazioni per Kathy e le risate che seppelliranno l'ego di Lina, fino a quel momento sempre più vanagloriosa al punto di vagheggiare una propria casa di produzione.
E di trucchi, naturalmente, ce ne sono anche nel film di Stanley Donen e Gene Kelly, in alcune scene del quale alla pioggia è mescolato del latte per far risaltare meglio le gocce in fase di sviluppo. Ma soprattutto, l'idea base della trama è un falso: Lina-Jean Hagen, infatti, durante le riprese non parla affatto con quella di Debbie Reynolds, ritenuta poco elegante, ma con la propria.
Meraviglia e contraddizione del cinema, con perfezione finale, in cui i due protagonisti sono immortalati davanti al cartellone di un nuovo successo senza Lina Lamont, dal titolo Singing in the rain: metacinematografia della metacinematografia!

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