Tratto dall'omonimo romanzo di Bret Easton Ellis (1991), il film della regista canadese Mary Harron è ancora oggi epidermicamente disturbante nel raccontare le vicende anni '80 del ventisettenne, cinico e patologicamente autocentrato broker di Wall Street, Patrick Bateman.
Difficile parlare della pellicola senza pensare all'incredibile interpretazione di Christian Bale, allora già con oltre dieci film in carriera - tra cui L'impero del sole (Spielberg 1987) e Ritratto di signora (Campion 1996) - ma che, con questo ruolo, si consacrò ad attore di primissimo piano di Hollywood, dal quale però, va detto, non è praticamente più uscito, ottenendo spesso parti di personaggi sopra le righe, da L'uomo senza sonno (Anderson 2004) ad American Hustle (Russell 2013), passando ovviamente per la trilogia Batman begins, Il cavaliere oscuro e Il cavaliere oscuro - Il ritorno di Christopher Nolan (2005, 2008, 2012). Eppure i panni di Bateman avrebbe potuti vestirli Leonardo DiCaprio, anche se a tutt'oggi non sappiamo con certezza se fu lui a rinunciare, spinto dalla scrittrice Gloria Steinman che, dopo il successo di Titanic e l'amore che le ragazzine di tutto il mondo gli riservavano, gli chiese di uscire dal progetto, oppure la preferenza per Bale fu una scelta esclusiva di Mary Harron, a cui Leonardo peraltro avrebbe preferito Oliver Stone. Sta di fatto, comunque, che anni dopo DiCaprio sarà un eccezionale broker in The Wolf of Wall Street (Scorsese 2013).
L'estetica algida che accompagnerà il protagonista è ben chiara sin dai titoli di testa, che, grazie alla prima sequenza ambientata in un ristorante di altissimo profilo, scorrono tra inquadrature dall'alto in cui gocce di sciroppo rosso, fragole e dolci tagliati con un coltellaccio fanno da premessa e alludono alla violenza sempre curata e formalmente ineccepibile che dominerà la storia.
Bateman, infatti, è sì un consulente finanziario, ma anche un uomo represso, arrivista, invidioso, misogino e violento, i cui disturbi lo condurranno ad un delirio di onnipotenza che ne farà un serial killer privo di scrupoli, che uccide per necessità e quasi per gioco, una forma di droga che gli dà quell'adrenalina che, giunto al culmine del successo professionale e sociale, nessun'altra attività potrebbe dargli. Tra le tante frasi che ne riassumono il pensiero, una delle più illuminanti lo vede ripetere che "ho tutte le caratteristiche di un essere umano; carne, sangue, pelle, capelli, ma non ho sentimenti, eccetto l'avidità e il disgusto".
Le premesse di tutto questo sono percepibili sempre, in ogni sequenza in cui vediamo Bateman, costantemente al limite, ma i minuti che ne rappresentano meglio le psicosi sono indubbiamente quelli in cui si prepara al mattino (vedi), una sequenza diventata un cult assoluto, tanto da essere usata anche per una pubblicità di Vogue con Margot Robbie protagonista (vedi).
Il monologo interiore, con la voce off, evidentemente ripreso dal testo di Bret Easton Ellis, è ancora più notevole associato alle immagini: la mdp entra lentamente nelle stanze, fino a incontrare il protagonista, che sciorina i suoi comandamenti sulla cura della persona, la dieta, l'esercizio fisico, gli impacchi di ghiaccio agli occhi, la doccia, la maschera facciale, le lozioni varie, una routine quotidiana, che Bale seguì realmente per tutta la durata della produzione del film e che prosegue con il sottofondo della musica di Monologue one John Cale.
La colonna sonora del co-fondatore dei Velvet Underground è perfetta per lo stile del film e, oltre a quello appena citato, va ricordato almeno il bel brano baroccheggiante usato per i titoli di testa (Main title) e gli altri usati per i monologhi di Christian Bale (Monologue 2, 3). La musica del film, però, è soprattutto quella pop che ascolta Bateman, di cui spesso parla con insolito trasporto, prima di uccidere le proprie vittime: lo vediamo esaltarsi con Hip To Be Square di Huey Lewis and the News, con Sussudio di Phil Collins e persino con Greatest Love of All di Whitney Houston, non senza suscitare qualche sorriso in chi gli è di fronte. Infine, non può mancare la musica da discoteca nei pieni anni '80 e, nelle sequenze lì ambientate, in cui Patrick e i colleghi si recano in bagno per "incipriarsi il naso", come direbbe Mia Wallace, ascoltiamo pezzi di successo come True Faith dei New Order e Pump of the volume, che nel 1987 fecero ballare milioni di ragazzi.
Al di là del personaggio principale, tutti gli altri esistono in sua funzione: i suoi colleghi, Paul Allen (Jared Leto) più degli altri, sono sue appendici, appartengono allo stesso contesto e si distinguono in base a quanto sono più o meno lontani da lui; le donne, tra cui la segretaria Jean (Chloë Sevigny), a cui dice come vestirsi per essere più sexy e con cui flirta sistematicamente, e, persino la sua fidanzata, Evelyn (Reese Witherspoon), che è convinto abbia una relazione con un altro suo collega, Bryce (Justin Theroux), mentre per certo è lui che ne ha una con Courtney (Samantha Mathis), la migliore amica della sua ragazza.
Patrick offende tutti, donne, amici, sconosciuti e gli basta andare a ritirare dei vestiti per lanciare improperi razzisti contro i gestori orientali della lavanderia. Con i colleghi a tavola fa lo stesso parlando degli ebrei, in una sequenza che, mutatis mutandis, fa pensare a quella che apre Le iene (Tarantino 1991), in cui l'analisi del testo di Like a Virgin è l'occasione per commenti sessisti, ma surreali e comici, di tutti i personaggi. È naturalmente omofobo e la sua reazione, quando Luis (Matt Ross) gli rivela il proprio interesse, lo dimostra a pieno. E con le donne non è da meno, se Evelyn è solo un attributo sociale, il sesso è riservato a prostitute ed escort, che porta a casa insieme, per dei giochi erotici a tre, in cui però Bateman non ha occhi che per sé, guardandosi i muscoli mentre fa sesso e ignorando totalmente i corpi che ha di fronte.
L'odio e il disprezzo per il prossimo sono anche di natura classista, cosicché chi non appartiene al suo mondo e che non ha avuto successo nella vita viene condannato dal suo giudizio sempre più intollerante, che però sopraggiunge dopo un iniziale sentimento umano, segno della schizofrenia del personaggio. E così, quando si avvicina ad un barbone, inizialmente prova ad aiutarlo economicamente, ma poi prevale l'odio, in una scena che non può non far pensare ad Arancia Meccanica (Kubrick 1971).
In questa logica di classe, in cui l'apparenza è tutto, gli status symbol sono ovunque: gli abiti di Valentino, gli occhiali di Oliver, il taglio di capelli, le fidanzate, ottenere un tavolo al Dorsia nel finesettimana... e poi, ovviamente, il biglietto da visita. Anche in questo caso, la sequenza in cui Bateman si incupisce e arriva a sudare per la qualità del biglietto di Paul Allen - dotato persino di filigrana - è un momento cult del film, che evidenzia quanto dettagli formali ed estetici possano far saltare i nervi del protagonista fino alle estreme conseguenze.
Eppure, nonostante la straordinaria prova di Christian Bale - che si ispirò alla figura di Tom Cruise per il suo Bateman - e la regia attenta che muove la mdp con sapienza, il film non convince a pieno e si riduce soprattutto ad una sequela di momenti poco organici in una escalation che condurrà il protagonista ad un liberatorio, almeno per lo spettatore, "credo di essere un uomo piuttosto malato".
American Psycho annienta la perfezione del sogno americano nella sua versione anni '80, quella reaganiana (e il volto del presidente-attore degli Stati Uniti compare anche in una tv durante il film): sulla ricchezza, il potere, la bellezza e l'autostima incombe l'altra faccia della medaglia, fatta di egotismo e violenza senza freni. La pellicola resta un cult, non c'è dubbio, ma il suo valore è da ricercare soprattutto nel romanzo da cui è tratto e in un grande attore che da qui in poi porterà sempre un po' di Bateman in tutti i personaggi che interpreterà.
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