venerdì 10 settembre 2021

Il gioco del destino e della fantasia (Hamaguchi 2021)

Strameritato Orso d'argento a Berlino, la pellicola di Ryūsuke Hamaguchi ha quella capacità di metterci in equilibrio con il mondo come solo i grandi film giapponesi sanno fare.
Come riferimento principale, quindi, è il caso di scomodare Yasuhiro Ozu, che in questo senso è stato il più grande di tutti, e in alcune inquadrature a mdp fissa e in quelle a campo vuoto il maestro nipponico viene inevitabilmente alla mente. Il gioco del destino e della fantasia è un bellissimo film, in grado di affrontare temi sentimentali, e già per questo sdrucciolevoli, con una leggerezza invidiabile, paragonabile a quella di Eric Rohmer, accentuata dal tema musicale portante, le Waldszenen (Scene della foresta) Op. 82 di Robert Schumann (1848-49).

Tre storie, tre racconti tipologicamente diversi: un triangolo amoroso, una potenziale relazione allieva-professore, il fantomatico incontro di due donne che al liceo sono state insieme. Il tutto governato dal caso, dalle coincidenze, dagli equivoci e da dialoghi sopraffini, in cui lo spettatore non può non avvilupparsi e rimanere rapito (trailer).
In Magia (o qualcosa di meno rassicurante), Tsugumi (Hyunri) racconta a Mejko (Kotone Furukawa) di aver conosciuto un ragazzo, Kazuaki (Ayumu Nakajima), con il quale pur percependo la sua propensione alla conquista, si è creata sin da subito un'intesa incredibile a cui non vuole resistere. Il loro dialogo si svolge in un taxi e va avanti, con le due ragazze sedute sui sedili posteriori, mentre le luci della città scorrono nel lunotto dell'auto, come nei trasparenti del cinema hollywoodiano classico. Parlano di tutti i dubbi di due donne della loro età, evidenziando le rispettive caratteristiche: chi si lascia andare prima, chi dopo, chi cede al sesso sin da subito, chi decide di pensarci bene, nonostante avverta la "magia" dichiarata nel titolo.
La storia si complica e diventa avvincente, quando scopriamo che l'ex fidanzata di Kazuaki è proprio Mejko, che forse ne è ancora innamorata, anche se l'ha tradito per frustrazione sessuale, per curiosità. Bellissimo anche il confronto tra i due ex, in cui al litigio fa seguito la pace e poi si torna allo scontro; in cui viene detto tutto e il contrario di tutto; in cui si alternano rabbia, amore, comprensione, sensi di colpa, rassegnazione, vittimismo ("tutto quello che so fare è ferire chi amo") e tanto altro. Cosa fare? Rincorrere chi fugge? Tentare la riconquista? Accettare che la storia è finita? E, soprattutto, coinvolgere in tutto questo l'ignara Tsugumi?
Hamaguchi racconta tutto questo con un tocco davvero superbo e ci inganna anche con una sequenza che poi si rivela essere solo il pensiero di una delle ragazze, un'ellissi registicamente segnalata solamente da uno zoom e dalle mani sul volto dell'attrice. La semplicità al servizio della narrazione. Non servono effetti speciali o movimenti di macchina straordinari, tutto è semplicemente perfetto così, come l'inquadratura dell'albero che chiude l'episodio, che si staglia su un enorme cantiere urbano, quasi a ricordarci che si può trovare un equilibrio anche quando tutto attorno è caos.
Nella seconda storia, Porta spalancata, il professor Segawa (Kiyohiko Shibukawa) si ritrova a dover fronteggiare i palesi tentativi di seduzione di Nao (Katsuki Mori), un'ex allieva del suo corso di francese, spinta dal suo giovane amante, Sasaki (Shouma Kai), che ha voglia di vendicarsi dell'insegnante. Nao, sposata e con un figlio, sottostà ad un ricatto sessuale, ma tutto sommato è felice dell'opportunità, perché, come dichiara, ha una libido più forte degli altri e non disdegna affatto il fascino del professore, che invece è single, ma attentissimo a tenere la porta del suo studio ben spalancata, come dice il titolo, per evitare ogni tentazione. 
Il confronto tra i due, così come quello tra Nao e Sasaki, si basa sulla dinamica dei rapporti di forza e potere, ma nel caso dell'allieva e dell'insegnante, dopo i primi secondi di presentazione, si ribaltano, ed è Nao a dominare la scena, soprattutto quando chiede di poter leggere un passo del libro di Segawa, scegliendo le pagine più erotiche del romanzo. Il professore è sempre più soggiogato e Nao è eccitata ed eccitante, oltre ad essere molto esplicita nel commentare le parole di Segawa, che peraltro si complimenta con lei perché fuori dai canoni sociali imperanti in Giappone, ma allo stesso tempo le consiglia uno psicoterapeuta. Il twist narrativo finale lascia di stucco lo spettatore dimostrando come il caso e la distrazione possano superare le barriere imposte dalla razionalità...
Infine, Ancora una volta, racconto che una premessa ci dice essere ambientato in un presente in cui un virus informatico ha costretto il mondo a tornare a posta ordinaria e telegrafo.
Moka (Fusako Urabe) è una sistemista che dopo venti anni si è recata da Tokyo a Sendai per un ritrovo con i compagni del liceo, che non vede da allora. Entrando in stazione per il ritorno, però, incontra una donna che le ricorda un'altra amica di quel tempo che la invita a casa a prendere un tè. Anche in questo caso il confronto tra le due è l'essenza dell'episodio, formalmente perfetto e davvero degno di Ozu: gran parte di esso di svolge davanti una grande vetrata che dà sul giardino della corte interna, ricco di vegetazione. Moka si stanca presto di parlare di argomenti vari e senza impegno, si intuisce che voglia affrontare altro, c'entrano i sentimenti ("sei felice in questo momento?"), e alla fine chiede alla donna di ricordare la loro relazione, ma l'altra, Nana (Aoba Kawai), non ricorda nemmeno il suo nome, non ha mai avuto una storia con una compagna di scuola e, anzi, l'ha scambiata per un'altra persona: andavano in scuole diverse!
Un equivoco e una coincidenza così grandi porteranno le due a non voler rinunciare a quell'occasione e ad "interpretare", a turno, l'amica che ognuna di loro aveva visto nell'altra. Ne verranno fuori rimorsi per non aver lottato abbastanza per il vero amore, confessioni sull'attuale mancanza di entusiasmo per aver scelto una vita troppo convenzionale e un incredibile affetto nostalgico per le persone che non hanno realmente di fronte.
Cinema, metacinema, sceneggiatura sublime, minimalismo, leggerezza infinita. Chapeau!

1 commento:

  1. ma questa volta, dr. Pittiglio, era troppo preso... ci ha raccontato tutto! per fortuna che, da quel che intendo, il vero godimento non è nei fatti ma nelle proiezioni e istanti.. si vedrà comunque ;)

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