Eleanor Marx in versione punk!
Susanna Nicchiarelli, come Sofia Coppola nel 2006 aveva associato Marie Antoinette alla musica pop, racconta parte della vita della sesta figlia di Karl Marx e Jenny von Westphalen, accompagnandola con gli spiazzanti arrangiamenti punk dei Downtown Boys, che rivisitano persino un brano iconico come L'internationale. Ed è sul loro arrangiamento di Dancing in the dark di Bruce Springsteen che vediamo la protagonista ballare come una menade in un finale che da solo vale il prezzo del biglietto e la visione in sala di un film non perfetto, molto teatrale, ma sicuramente importante, per il suo lato didattico, dal punto di vista storico, filosofico e, soprattutto, politico (trailer).
La regista romana, che ha lavorato alacremente sugli archivi Marx, chiarisce subito di non voler incentrare la storia sul rapporto di Eleanor con il padre, aprendo il film con i funerali del filosofo, economista e politologo tedesco nel 1883. È proprio la figlia minore che ne celebra la vita, davanti agli affetti e agli amici di sempre, ricordando l'amore dei genitori, sopravvissuto a povertà, calunnie e indifferenza, ma anche a tante altre difficoltà, che scopriremo nel corso delle vicende narrate.
L'orgoglio di Eleanor, detta Tussi (Romola Garai), per la propria famiglia traspare in ogni scena: è lei che si occupa del nipote John (Célestin Ryelandt), da quando la sorella Jenny Caroline è morta, ed è lei quella che mantiene i rapporti con Friedrich Engels (John Gordon Sinclair) e Helene Demuth (Felicity Montagu), storica domestica di casa Marx. Allo stesso tempo, però, è sempre lei che, in un momento di sfogo, esplode con un eloquente "ho passato tutta la mia vita ad occuparmi della mia famiglia ... ora tocca a me vivere!"
E di quella vita, con tutte le sue contraddizioni, il film ci narra gli aspetti sentimentali, con il suo amore per Edward Avelling (Patrick Kennedy), attivista politico anche lui, l'impegno sociale e sindacale, nella difesa dei lavoratori, delle loro condizioni nelle fabbriche inglesi e statunitensi, con particolare attenzione alle donne e ai bambini.
La battuta citata è solo una delle tante di una pellicola fatta soprattutto di sceneggiatura, scritta dalla stessa Nicchiarelli. C'è il materialismo, spesso evidente, a partire dallo scambio del piccolo Johnny con la zia, a cui chiede se è sicura che non ci sia una vita dopo la morte, sentendosi rispondere "sono sicura ... se ci fosse, tuo nonno, mio padre, starebbe bruciando all'inferno ora". Si prosegue con l'evoluzionismo sociale, che Edward collega a Shelley in una conferenza, in cui la criminalità è spiegata con l'influenza del contesto e come un'inevitabile conseguenza delle storture sociali, tra il disgusto dei benpensanti che si alzano e si allontanano dalla sala; e con la profonda sfiducia nel matrimonio, senza mezzi termini "un'istituzione obsoleta" per Eleanor, ma anche per Friedrich Engels, che risponde "non devi certo dirlo a noi".
È su queste comuni affinità intellettuali che si avvicinano Eleanor ed Edward, poi distanti in quasi tutto il resto, dalla gestione del denaro alla fedeltà, dalla morale ai sensi di colpa, assenti in Ed, che reputa poco importanti anche le bugie, al cospetto di una donna che sin da bambina (e la regista ce lo mostra in un flashback) aveva messo la verità sull'altare dei propri valori.
L'estasi di Ostia di Ary Scheffer, di Benozzo Gozzoli e di Schelte von Bolswert |
Diversi anche i rimandi culturali da cogliere. Olive Scheriner (Karina Fernandez), la scrittrice sudafricana amica di Eleanor, che in quegli anni lottò contro il razzismo e per i diritti delle donne, tira in ballo il rapporto tra sant'Agostino e santa Monica, come ideale rapporto tra madre e figlio, mai più ripetuto e utilizzato per screditare quelli a lei più vicini. In questo momento Olive, con memoria iconografica, ricorda i due affacciati alla stessa finestra: probabilmente il riferimento è al famosissimo dipinto di Ary Scheffer, conservato al Louvre, che immortala l'Estasi di Ostia (1846), un soggetto che nella storia delle immagini del santo, però, ha una lunga tradizione che va da Benozzo Gozzoli alle incisioni di Schelte von Bolswert, solo per citare due dei cicli più famosi dedicati al vescovo d'Ippona.
Che Susanna Nicchiarelli abbia presente le immagini del passato, poi, appare evidente non solo nei paesaggi che rimandano alla pittura ottocentesca inglese, Constable e Walbourn su tutti (si pensi alla sequenza della dispersione delle ceneri di Engels nel Tamigi), ma nella stessa scena appena citata: Eleanor, Olive ed Edward stanno fumando oppio in salotto e, quando la mdp si alza, riprendendo la stanza dall'alto, il tappeto rosso a racemi vegetali che domina l'inquadratura, fa immediatamente pensare ad un altro celebre quadro, La stanza rossa di Henri Matisse (San Pietroburgo, Ermitagae, 1908).
Il film ha una caratterizzazione teatrale molto spiccata e la stessa protagonista, in alcuni casi, la accentua rivolgendosi direttamente allo spettatore. Lo fa significativamente anche quando parla di lotta di classe, precisando che gli intellettuali borghesi non hanno simpatia per certe teorie, ma che invece orari troppo ampi, produzione sempre in aumento, sicurezza ignorata, dimostrano quanto l'accumulazione dei profitti dei padroni sia possibile solo attraverso lo sfruttamento dei lavoratori.
E al teatro vero e proprio è dedicata anche la sequenza straniante, in cui Edward ed Eleanor sembrano dialogare della propria vita di coppia, con Tussi che lamenta di essere stata una "bambolina" per il padre e ora per lui ("mi sono trasferita dalle sue mani alle tue") e di non aver mai raggiunto la felicità, pur credendo di averla, mentre in realtà stanno impersonando Nora e Torvald in Casa di bambola di Ibsen, non a caso il capolavoro sull'ipocrisia della società borghese. Qui forse un piccolo errore in sceneggiatura (o quantomeno una semplificazione storica), poiché la scena viene ambientata nel 1890, anno della traduzione del testo teatrale norvegese da parte di Eleanor, che tradusse anche Madame Bovary in inglese, ma quell'interpretazione con lei, Edward e persino George Bernard Shaw come Krogstad avvenne quattro anni prima, nel 1886.
Tra le sequenze più dense di significati, oltre alle visite alle fabbriche, inframezzate dalla regia con foto d'epoca che evidenziano le condizioni e il disagio cui erano sottoposti gli operai, peraltro spesso più realisti del re e, ad esempio, tra i primi a non voler alzare il tetto dell'età oltre i dieci anni dei lavoratori, perché bisognosi dello stipendio dei figli, c'è quella in cui Eleanor mette in parallelo lo sfruttamento degli operai con quello delle donne: "le donne sono vittime della tirannia organizzata dagli uomini così come gli operai sono vittime della tirannia degli inoperosi". In entrambi i casi, per la figlia di Marx, la soluzione non può che essere la forza, pur sognando, per il rapporto di coppia socialista, una relazione che si fondi su amore, rispetto, affinità intellettuale e autonomia. Ciò che ancora oggi tutti sogniamo...
Susanna Nicchiarelli, infine, raccontando gli ultimi anni dell'Ottocento, omaggia anche la storia dei primordi del cinema, a cui dedica due momenti: il primo particolarmente emozionante, quando Eleanor accompagna Johnny alla festa di un amico e, in una sala buia, tutti gli invitati assistono a un piccolo spettacolo di diapositive sovrapposte che creano piccoli movimenti sullo schermo, mentre il proiezionista e un suo collaboratore generano rumori con diversi oggetti davanti a un microfono. La mdp si sofferma sulla reazione dei bambini totalmente rapiti dalla parete illuminata: facile pensare al teatro dei burattini in Pinocchio o, cinematograficamente parlando, all'omologa scena de I 400 colpi di Truffaut (vedi). L'altra sequenza, invece, è racchiusa nel regalo della zia al nipote, un piccolo caleidoscopio che entusiasma il bambino.
Oltre la già evidenziata connessione con Marie Antoinette (Coppola 2006), il cinema moderno sembra far capolino anche nel racconto di Paul Lafargue, il genero franco-cubano di Karl Marx, che ricorda la sua passione in carcere per un uccellino, un'immagine che gli amanti della settima arte non possono non legare a L'uomo di Alcatraz (Frankenheimer 1962), in cui uno straordinario Burt Lancaster-Stroud da ergastolano arrivava a diventare un vero ornitologo. E poi, poco prima del finale danzante, come non notare che Eleanor fuma da una pipa da oppio e guarda la mdp, proprio come De Niro nel finale di C'era una volta in America?
Di fatto, quindi, se il motto della piccola Eleanor è "sempre avanti", a fianco all'ideale paterno della lotta come felicità, quello di Susanna Nicchiarelli, invece, mantiene, almeno nelle suggestioni cinematografiche, un apprezzabile occhio al passato.
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