sabato 10 ottobre 2020

Alps (Lanthimos 2011)

Un paramedico dall'aria seriosa (Aris Servetalis) fa parte di un piccolo gruppo di quattro persone, in cui, oltre a lui, ci sono un allenatore (Johnny Vekris), una ginnasta (Ariane Labed) e un'infermiera (Angeliki Papoulia).
È proprio lui a proporre il nome 'Alpi' per questa squadra, consigliando ai singoli componenti di scegliere i nomi dei principali picchi di quella catena montuosa, e prendendo per se stesso il Monte Bianco, perché "nessun altra montagna può sostituire una montagna delle Alpi, ma possono sostituire tutte le altre" (trailer). 
Con questo surreale monologo, che spiega anche il titolo della pellicola, si apre il terzo lungometraggio di Yorgos Lanthimos, che segue Dogtooth (2009) e precede The Lobster (2015). Ebbene, se i due film che lo incorniciano vi erano sembrati bizzarri, Alps lo è ancora di più! Così come negli altri casi, il surrealismo dominante aveva giustificato il parallelo con Buñuel, stavolta l'ironia e il nonsense che caratterizzano la pellicola ne permettono l'accostamento alle atmosfere di un regista come Aki Kaurismaki.
Difficile parlare di protagonisti, ma la più presente sullo schermo è sicuramente l'infermiera che, per sé, ha scelto il nome di Monte Rosa. La seguiamo sin dall'inizio, quando assiste una sedicenne, arrivata in ospedale dopo un incidente d'auto. Nella stanza della ragazza ci sono i genitori, con cui l'infermiera entra subito in empatia: è una famiglia di tennisti e lei non manca di avvicinarsi a loro dichiarando il proprio amore per il tennis. In una sequenza di un'ironia non certo politically correct, che genera disagio nello spettatore - un sentimento che in un film di Lanthimos sappiamo di dover affrontare -, l'infermiera mette la racchetta in mano alla degente e prova a farle colpire una pallina lanciandogliela dalla sedia non sempre con precisione. Difficile non ridere, per l'assurdità della situazione, ma non è nulla, se si pensa che lo stesso personaggio proporrà di fare la figlia a quella coppia di genitori, per aiutarli a superare quel trauma.
Sembra essere proprio questo il principale interesse dell'infermiera e dell'intero gruppo di Alpi: essere delle montagne, delle rocce, che possono sostituire tutte le altre, appunto. L'idea di rappresentare un sostituto di affetti perduti (dopo quattro incontri gratuiti, naturalmente, gli altri saranno a pagamento), è l'impegno quotidiano dell'infermiera che, oltre a fare da figlia per i genitori della tennista adolescente, che interpreta con ogni dovizia di particolari, usando persino il suo profumo (Eternity, per la cronaca), ha relazioni con un'anziana signora cieca, con un commerciante di lampade britannico con cui si comporta da fidanzata (parlandoci solo in un incerto inglese), con un signore a cui fa da figlia. Si mostra un degno sostituto anche con l'allenatore, che le confessa di aver perso il proprio barbiere e, così, quando intercede in favore della collega ginnasta per convincerlo a farla esibire su un pezzo pop, la merce di scambio è proprio tagliare i capelli al burbero tecnico.
Tutti questi, però, non saranno certo gli unici momenti imprevedibili e sorprendenti della storia, poiché sul grande schermo si susseguiranno scene con ginnaste che vengono "punite" a recitare ripetutamente una frase, rimanendo appese per i piedi agli anelli; tentati suicidi per impiccagione su quegli stessi anelli; racconti su amici defunti, il cui profilo è riassunto dall'amore per gli 'spaghetti alla napoletana' e dall'uso frequente di 'comunque' a inizio frase; approcci sessuali tra figlie e padri (ammesso che lo siano), che il regista aveva già mostrato in Dogtooth dove, però, tutto era reso "plausibile" dalla cattività in cui erano costretti i membri della famiglia protagonista. Il sesso, quindi, è sempre disturbante e, come nella pellicola precedente, l'unica pratica sessuale soddisfacente è il cunnilingus, piacevole ossessione del cineasta greco che gli dedica una sequenza anche questa volta. Ma nulla può mai essere veramente rilassante in un film di Lanthimos, cosicché tutto è quantomeno stemperato nell'inespressivo inglese usato dall'infermiera, che continua a ripetere "don't stop it" senza alcun trasporto.
La mdp si muove raramente, è algida e stilisticamente perfetta nelle inquadrature: si pensi al lungo corridoio dell'ospedale ripreso con punto di fuga diagonale; allo spogliatoio piastrellato in cui la ginnasta siede su un lato, lasciando molto spazio all'ambiente (un'immagine simile apriva lo stesso Dogtooth). A volte la mdp è disturbante e, come nel film precedente, riprende i personaggi escludendo le loro teste, così come la scenografia ripropone camere per ragazzi tipicamente anni '80, con adesivi sulle testiere dei letti e una scritta sul muro che celebra Who's that girl di Madonna.
L'inizio del film è di grande impatto, con la ginnasta che prova il suo numero al nastro accompagnata dai Carmina Burana, che danno alla scena un'aura di solennità difficilmente eguagliabile.
Che poi, però, la stessa ginnasta sia delusa perché vorrebbe muoversi sulle note di una musica pop e si senta rispondere di non essere ancora pronta da un allenatore, ormai detto Cervino (Johnny Vekris), che non trova di meglio da dire se non "ti spezzo le gambe", la dice lunga su come quell'aria solenne venga abbattuta in un sol colpo dalla sceneggiatura spiazzante del film.
Tra le tante battute curiose messe in bocca ai personaggi, un tormentone cinefilo sembra riguardarli tutti: una sorta di ossessione per il proprio attore preferito. Si alternano così i nomi di Brad Pitt e Johnny Depp, di Jude Law, Morgan Freeman e Robert Redford, e, quando l'infermiera va a casa della non vedente per leggerle qualcosa, sceglie un articolo sulla giornata quotidiana di Winona Ryder. La stessa donna propone un ulteriore riferimento cinematografico ricordando un film con un veterano che accetta una missione che inizialmente voleva rifiutare, citando il soggetto di Rambo (Kotcheff 1982).
Saltano fuori, infine, anche nomi di cantanti, come Harry Bellafonte, Elvis Presley e, soprattutto, Mick Jagger, su cui viene pronunciata un'altra frase indicativa rispetto all'intento programmatico di "sostituzione affettiva": "non puoi sostituire chi non è ancora morto!"
L'infermiera, naturalmente, è quella a cui sono destinate alcune delle linee di sceneggiatura più bislacche: dopo un bagno invernale in mare, dice al compagno inglese "freddo è una parola che i nuotatori invernali non conoscono", ma da spettatori è davvero arduo non provare imbarazzo quando, al cospetto dei genitori che hanno appena perso una figlia, la sentiamo rompere il silenzio per inanellare frasi come "vostra figlia ha perso la più importante della sua vita", "il suo avversario è stato più forte".
Come accade sempre in Lanthimos, non mancherà un accesso di violenza, stavolta tutto giocato sul disattendere valori come l'affidabilità e la competenza. Hitchcockianamente, peraltro, la violenza verrà perpetrata con un oggetto d'uso di contesto, in questo caso una clavetta da ginnastica ritmica.
Anche la musica, infine, ha la sua parte nel disorientamento generato dal film, che si apre con O fortuna dei Carmina Burana e termina in maniera circolare nella stessa palestra, ma con l'agognato pezzo pop, il celeberrimo Pop Corn di Gershon Kingsley (1969). Tra i due estremi, musica completamente lontana da entrambi, brani latino-americani come Aqui Está Mercadonegro (Mercadonegro) o  La Ruñidera (Los Jubilados), soul come Love is hard to find (Stephane Huguenin, Christian Padovan / Yves Sanna), fino alla dance elettronica del gruppo dark greco Phoenix Catscratched, con Ed e Denim Hunger.
Non il miglior film di Lanthimos, ma sicuramente da vedere per comprenderne meglio la poetica e l'origine degli esiti più convincenti degli ultimi anni.

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