domenica 3 maggio 2020

Il giardino dei Finzi Contini (De Sica 1970)

Leone d'oro a Berlino e Oscar per il miglior film straniero, Il giardino dei Finzi Contini è un film rarefatto, nella sua algida bellezza. E chissà, fu forse anche per questo che Giorgio Bassani, autore del romanzo autobiografico del 1962, insoddisfatto della resa delle immagini, alla fine ritirò la firma dalla sceneggiatura, che rimase assegnata a Vittorio Bonicelli e Ugo Pirro.
Si tratta di uno dei rari casi in cui Vittorio De Sica girò un film senza avvalersi della collaborazione di Cesare Zavattini, suo pressoché inseparabile sceneggiatore.
Tra l'altro, il regista di Ladri di biciclette scelse per la parte del protagonista, Giorgio, Lino Capolicchio, che era stato allievo proprio di Bassani all'accademia di arte drammatica (guarda il film).
Ferrara, 1938. Alcuni ragazzi di buone famiglie, a cavallo delle loro biciclette, raggiungono la villa dei Finzi Contini, invitati dai fratelli Micol (Dominique Sanda) e Alberto (Helmut Berger) a giocare a tennis. Dai loro dialoghi si comprende che il ritrovo apparentemente sereno è in realtà la conseguenza dell'esclusione degli ebrei dal circolo di tennis che tutti solitamente frequentano, per l'entrata in vigore delle leggi razziali fasciste.
Tra i ragazzi, il più distante dagli altri, per provenienza sociale e per atteggiamento, è Giampiero (Fabio Testi), compagno di università di Alberto, ha parole dure per la borghesia, tutta perlopiù vicina al fascismo, e vede molte più persone "vere" nella classe proletaria. E Giorgio, in effetti, appartiene a una famiglia che rappresenta la dimostrazione chiara di quanto pensato da Giampiero: ebreo anche lui, ha un padre (Romolo Valli) che, incredibilmente a questa data, continua a sostenere Mussolini, considerandolo un male minore di Hitler.
In questo complesso contesto storico e sociale, le vicende sentimentali dei quattro personaggi: Giorgio è innamorato sin da bambino di Micol, che però mantiene con lui un atteggiamento ambiguo, a metà tra il disinteresse e l'amore fraterno; Alberto, invece, sempre indifeso e afflitto dalla mancanza di "gioia di vivere", ha una simpatia per Giampiero che sembra andare oltre l'amicizia.
Giampiero e Micol appaiono evidentemente i poli più forti e i due che guidano a loro piacimento le rispettive situazioni, non a caso, invece, tra loro sembrano mal tollerarsi. In tal senso, il tagliente scambio di battute tra i due nei pressi del campo da tennis è indicativo, con Micol che, dopo essersi sentita dire da Giampiero di essere "poco portata per gli uomini", gli risponde con altrettanta durezza "innanzitutto lei è troppo sincero e quindi inevitabilmente... [maleducato], secondo troppo lombardo, comunista e, per finire, troppo peloso".
La rarefazione di cui si diceva inizialmente è ovunque, nella recitazione degli attori; nella fotografia di Ennio Guarnieri; nei frequenti flashback sognanti che ci raccontano i momenti dell'infanzia e dell'adolescenza di Giorgio e Micol. In uno di questi vediamo anche Jor, lo splendido alano arlecchino ora molto vecchio, un tempo giovane e vispo.
La pellicola, però, è fatta di alcune scene madri che, oltre alla visivamente affascinante sequenza iniziale con i ragazzi in bicicletta vestiti in completi da tennis, che girano per Ferrara e arrivano alla villa, contemplano soprattutto momenti in cui è la sceneggiatura ad essere protagonista.
Giorgio, ad esempio, litiga a casa col padre (Romolo Valli), sostenitore di Mussolini e complottista, capace dell'impresa di vedere nelle leggi razziali qualcosa di vantaggioso per gli ebrei. Il ragazzo, invece, critica con rabbia il padre e le sue idee politiche ancora attente al piccolo e meschino vantaggio del proprio orticello, ricordando con un "siamo stati zitti quando non toccava a noi", che preannuncia il peggio e ricorda da vicino il celebre sermone del pastore Martin Niemöller che criticava il silenzio e l'apatia politica degli intellettuali tedeschi di fronte all'ascesa del nazismo (leggi).
Di Giorgio seguiamo, però, soprattutto le evoluzioni sentimentali e le delusioni di fronte alla dissonanza cognitiva in cui lo pone l'atteggiamento ondivago di Micol, che parte persino per un soggiorno dagli zii a Venezia senza preavviso. Al ritorno della ragazza, nella sera in cui si festeggia la Pasqua ebraica - dopo un'altra bellissima ed evanescente sequenza caratterizzata da una distesa innevata - i due avranno il loro primo quanto straniante bacio, e soprattutto un confronto diretto nella camera da letto di Micol. Giorgio si dichiara, ma lei risponde con un monologo che disorienta il suo pretendente ancor di più del bacio: "sono io che non ti amo! L'amore è roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, ma noi così come siamo, simili in tutto come due gocce d'acqua, potremmo mai sopraffarci io e te, noi due, sbranarci? No, far l'amore con te sarebbe come farlo con un fratello: ecco, con Alberto. Io e te non siamo della gente normale, però noi due più che il possesso delle cose quello che conta è, come dire, il ricordarsi delle cose, la memoria delle cose".
La freddezza di Micol è impressionante e De Sica la accresce mettendola in contrasto con l'affetto dimostrato nei confronti dell'alano Jor.
Infine, il terzo momento più significativo legato alla sceneggiatura è quello del padre di Giorgio che consola il figlio per il suo crollo sentimentale. Uno straordinario Romolo Valli interpreta quello che è probabilmente il più bel monologo del film, in cui l'uomo analizza la differenza tra classi sociali, poiché Micol, a suo avviso, ha fatto breccia nel cuore Giorgio per la bellezza, ma anche perché "era superiore a noi, socialmente", e soprattutto evidenzia con malinconia e saggezza lo scarto generazionale tra sé e il figlio: "ti passerà e molto più presto di quanto tu non creda [...] un pochino ti invidio, credi, nella vita, se uno vuole capire, capire veramente come stanno le cose a questo mondo, deve morire almeno una volta, e allora meglio morire da giovani quando uno ha tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e resuscitare; capire da vecchi è molto più brutto, sai, come si fa? Non c'è mica il tempo per ricominciare da zero e la nostra generazione ne ha prese talmente tante di cantonate. Tra  qualche mese vedrai, non ti sembrerà nemmeno vero di essere passato in mezzo a tutto questo, sarai magari persino contento, ti sentirai più ricco, non so, più maturo".
La Biblioteca Angelica "nei panni" della Comunale di Ferrara
Chiudo con qualche curiosità, a partire dalle citazioni letterarie, che seguono quanto raccontato dal romanzo: Giorgio, mandato via dalla biblioteca comunale perché ebreo (la scena è girata nella Biblioteca Angelica di Roma), va in quella dei Finzi Contini (in realtà quella di Palazzo Primoli a Roma) per studiare Panzacchi, poeta della cerchia di Carducci, su cui sta scrivendo la sua tesi di laurea. E così, Micol, nella sequenza descritta nella sua camera da letto sta leggendo Cocteau, ma al tempo stesso ricorda malinconicamente quando da bambina leggeva I tre moschettieri o Guerra e pace, mentre la soggettiva dello sguardo di Giorgio effettua una panoramica a 360 gradi della stanza.
Merita un accenno il giardino che dà il titolo al film, il cui muro è spesso trattato come diaframma tra la città e la famiglia dei Finzi Contini, lì "rinchiusa", scavalcato da Micol da bambina per parlare con Giorgio e così da questo, quando da adulto, ormai escluso da quel luogo dall'atteggiamento di Micol, spia cosa avviene nel campo di tennis. 
Quel giardino, però, sia chiaro, a Ferrara non esiste: nella città emiliana De Sica riprese solo l'ingresso, mentre per inscenarlo utilizzò parti di Villa Ada e dell'Orto Botanico a Roma (Micol, peraltro, ricorda che proprio da questo provengono le palme), ma anche del Parco Reale di Monza, dove utilizzò come set Villa Litta Modigliani.
Di Ferrara in realtà, durante il film, qualcosa si vede e, fatta eccezione per il cinema in cui vanno Giorgio e Giampiero, in realtà il Teatro Verdi dell'omonima piazza, e il cimitero ebraico di Via delle Vigne, davanti al cui portale marmoreo termina il corteo funebre di Alberto, le altre sono tra le maggiori emergenze storico-urbanistiche della città. I cittadini ascoltano, stolidamente festanti, il discorso con cui il duce dichiara l'entrata in guerra dell'Italia davanti alla Cattedrale di San Giorgio, di cui vediamo la facciata gotica; Giampiero, saputo di dover partire in guerra, chiama Giorgio per chiedergli di vedersi per un saluto da un telefono pubblico nei pressi del Castello Estense che si vede dietro di lui, e proprio a Largo Castello i due si incontreranno poco dopo.
Il Castello Estense dietro la cabina telefonica
E poi, ovviamente, Corso Ercole I, la via intitolata al duca dell'addizione erculea, appunto, che diede alla città l'immagine che ancora conserva, è teatro di diverse scene. È la strada in cui si entra  qui accedono i ragazzi in bicicletta nella villa dei Finzi Contini, nella realtà all'altezza di Parco Massari, ed è qui il portone a cui bussa Giorgio quando scopre che Micol è partita per Venezia, mentre la mdp riprende la lunga direttrice su cui si intravedono una lesena marmorea di Palazzo Prosperi-Sacrati, il balcone d'angolo del Palazzo dei Diamanti che affaccia sul cosiddetto Quadrivio degli Angeli e, sul fondo, in lontananza, una delle torri del Castello.
Corso Ercole d'Este nel film
Proprio su alcuni dettagli di una Ferrara deserta indugia la mdp nel drammatico finale, con una panoramica che passa ancora dal Castello Estense  alla cattedrale, dal corso alla villa dei Finzi Contini, fino al campo da tennis in cui tutto era iniziato, in una perfetta chiusura circolare.

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