lunedì 30 dicembre 2019

Ritratto della giovane in fiamme (Sciamma 2019)

Céline Sciamma regala ad Adèle Haenel uno di quei personaggi che restano nella storia del cinema per l'amore con cui la mdp li guarda. Sono tanti i casi di registi che hanno diretto la persona di cui erano innamorati ed è inevitabile pensare a famosi coppie cinematografiche come Vadim-Bardot, Godard-Karina, Fellini-Masina, Minnelli-Garland, solo per citare alcune delle più famose. La relazione tra Sciamma e Haenel, però, è durata dal 2014 al 2017, eppure lo sguardo della regista è poetico e idealizzante (trailer).
Héloïse è una ragazza che si ritrova a sostituire la sorella primogenita improvvisamente morta e, richiamata dal convento, dovrà cambiare totalmente la propria vita, da suora a moglie di un nobile milanese cui è stata promessa dalla sua famiglia.
Siamo nel XVIII secolo e, per far conoscere il volto di Héloïse al futuro marito, c'è la necessità di farle un ritratto, per il quale la contessa sua madre (Valeria Golino) ha ingaggiato la giovane Marianne (Noémie Merlant), sperando che con lei sua figlia si trovi maggiormente a suo agio rispetto al pittore precedente che ha messo in fuga. Héloïse, infatti, non vuole essere ritratta e Marianne dovrà fingere di essere una semplice dama di compagnia, conversando e passeggiando con lei, per poi ritrarla "a memoria". Le due ragazze, giorno dopo giorno, si avvicineranno sempre di più, il loro legame si farà più profondo e, di conseguenza, il ritratto migliorerà di versione in versione, nonostante la consapevolezza che l'amore e la reciproca attrazione dovranno far posto al dovere di un percorso già stabilito.
La storia viene narrata dal punto di vista di Marianne e in flashback: la pittrice, infatti, insegna all'accademia e su domanda delle sue studentesse, che le chiedono cosa sia quel dipinto che c'è in aula, risponde che il suo titolo è Ritratto della giovane in fiamme...
Héloïse, pur non essendo una fervente religiosa, rimpiange una serie di vantaggi del convento, come il dolce sentimento dell'uguaglianza, ma anche più semplicemente l'accesso alla biblioteca, alla musica e al canto, attività in cui eccelleva e che ora le mancano. Proprio Marianne, che ci è cresciuta, le ricorderà che Milano è considerata "la città della musica", una definizione che può dare maggiore entusiasmo a Héloïse per il suo futuro trasferimento.
La pellicola è completamente al femminile e oltre le due protagoniste e la contessa, un ruolo rilevante è affidato a Sophie (Luàna Bajrami), la giovane domestica arrivata a casa della contessa tre anni prima di Marianne.
L'impianto teatrale agevola l'ottima sceneggiatura, che prevede molti scambi di battute tra le due ragazze, spesso caratterizzate da un notevole tenore aforistico.
"Dato che potete scegliere non potete capirmi", dice ad esempio Héloïse, costretta a sposarsi per dovere, a Marianne che, quando la vede ridere per la prima volta, prorompe in un calibrato "bisogna essere in due per essere allegri". In una bellissima sequenza, in cui Marianne nasconde le mani sporche di colori per non far scoprire all'interlocutrice il proprio mestiere, lei ed Héloïse parlano di libertà che per la pittrice coincide con la solitudine, mentre la nobildonna le dimostrerà come si possa passare del tempo piacevolmente da soli sentendo comunque la mancanza di qualcuno.
Allo stesso modo, quando Marianne le mostrerà la prima redazione del suo lavoro, la riprenderà insoddisfatta "voi mi vedete così?", e alle successive giustificazioni incentrate sulla difficoltà di cogliere la fuggevolezza del momento, replicherà rincarando la dose, "non tutto è passeggero".
Marianne anche rimarrà delusa dal suo successivo tentativo di ritrarre Héloïse: "non riesco a darvi il sorriso... penso di averlo colto ma poi non lo trovo", finché poi la profonda conoscenza reciproca - ben sintetizzata dai dettagli delle reazioni emotive che ognuna sa descrivere dell'altra -, aumenterà anche la qualità del dipinto.
Céline Sciamma gioca con le pareidolie, mostrando ad esempio il vestito verde con cui verrà ritratta  Héloïse indosso a una ragazza che la mdp non inquadra se non a partire dal collo in giù. Tutto lascia pensare che finalmente vedremo il volto della protagonista, e invece no, poiché l'abito lo sta tenendo davanti a sé Sophie.
E così lo spettatore vedrà il volto di Héloïse solo alla prima passeggiata con Marianne, in cui Sciamma inizia il poetico uso della mdp, di derivazione palesemente bergmaniana, sovrapponendo i volti delle due ragazze, facendone scomparire uno dietro l'altro, mettendone uno frontale e l'altro di profilo, come accadeva in Persona (Bergman 1966) con i volti di Bibi Andersson e Liv Ullmann.
Più avanti la regista si lascerà andare ad un'altra pareidolia quando Sophie, rimasta incinta e volendo interrompere la gravidanza, sembrerà impiccata in virtù di un'inquadratura volutamente ambigua, mentre in realtà sta solo facendo degli sforzi che le consentano di ottenere l'obiettivo prefissato.
Anche la musica ha un ruolo rilevante e non solo per la passione di Héloïse, poiché almeno due sequenze vedono la colonna sonora protagonista. Nella prima, uno splendido notturno rischiarato dalla luce di un fuoco, le donne del popolo che animano la scena cantano un motivo in maniera ossessiva, ai limiti del tribale, La Jeune Fille en Feu, proprio mentre inizia ad infiammarsi l'abito di Héloïse, l'immagine con cui il film si era aperto immortalata nella tela di Marianne e che è anche il titolo della pellicola.
La seconda, invece, è data dalla commozione di Héloïse, ormai a Milano, spettatrice a teatro di un concerto di cui ascoltiamo le note dell'Estate di Vivaldi, osservata da Marianne di cui però non si accorge.
La tensione amorosa e sessuale tra le due protagoniste viene anche letterariamente connessa al mito di Orfeo ed Euridice, così come narrato nel X libro della Metamorfosi di Ovidio. Proprio quella storia viene inizialmente letta da Marianne ad Héloïse e a Sophie, in una serata passata insieme in casa tra cibo e letture, ignorando i ruoli e le convenzioni sociali, con la domestica che cuce, la contessina che cucina, la pittrice che beve vino e legge.
La discussione che ne segue, con la sorpresa di Sophie, che trova incomprensibile la necessità di Orfeo di girarsi nonostante le raccomandazioni, porta Marianne a dire che "Orfeo non fa la scelta dell'innamorato, fa la scelta del poeta", mentre Héloïse crede persino che possa essere stata una responsabilità di Euridice, "può darsi sia stata lei a dirgli girati", un'idea non così balzana e che tornerà nel corso della storia.
In quella pagina del libro, la 28, Marianne lascerà il proprio autoritratto a Héloïse, che anni dopo si farà ritrarre con il dito a tenere il segno proprio in corrispondenza di quel numero, messaggio immediato per la sola Marianne e dettaglio iconologico che solo la magia del cinema può rendere in maniera così diretta.
Nella pellicola, in effetti, c'è anche tanto amore per la pittura e per la sua storia. Marianne inizia il ritratto dipingendo sulla tela una preparazione bruna, una tecnica impensabile prima del Seicento. E così, c'è spazio anche per una riflessione politica sul ruolo delle pittrici all'epoca: Marianne spiega come sia considerato illegale per una donna dipingere nudi maschili, un divieto ammantato di pruderie e moralismo, ma che in realtà nasconde la programmatica volontà di tenere le artiste lontano dai soggetti più importanti richiesti dalla committenza.
Con una regia così attenta alla messa in scena, in cui le inquadrature hanno spesso i caratteri delle composizioni pittoriche, sono diversi i rimandi espliciti alle opere d'arte. Quando, ad esempio, la prima versione del dipinto viene rovinata da Marianne, colpita dalle parole di Héloïse, ormai messa al corrente del suo lavoro, il ritratto viene deformato come nelle celebri distorsioni di Francis Bacon.
In un'altra sequenza, le due ragazze si avvicinano con i volti velati a protezione del vento, in un'immagine che sembra essere quella immediatamente precedente all'immagine fissata ne Gli amanti altrettanto velati di René Magritte, e non a caso, forse, il loro primo bacio avverrà subito dopo, con un bellissimo movimento della mdp, che va a scovarle all'interno di una grotta tra gli scogli.
Più avanti ancora, Héloïse, dopo aver visto una donna lavorare per interrompere una gravidanza, proverà a riprodurre la scena chiedendo a Marianne di dipingerla mentre è davanti a Sophie in posizione ginecologica, nello stesso modo in cui Albrecht Dürer aveva concepito una celebre incisione sullo studio della prospettiva.
All'osservazione del corpo femminile e alle Veneri nude rimanda invece il già citato momento in cui Marianne si autoritrae e, per farlo, utilizza uno specchio che poggia su Héloïse, in un'immagine che, nonostante le differenze, fa subito pensare alla Venere allo specchio di Diego Velazquez.
E, naturalmente, in un film romantico e con esterni marini, non può mancare Caspar David Friedrich, il cui Viandante sul mare di nebbia viene più che citato in una bella inquadratura di Héloïse, che di spalle contempla il mare in tempesta come nella più celebre rückenfigur della pittura dell'Ottocento.
Questa sorta di excursus iconografico non può che chiudersi con la natura morta di un vaso di fiori che Sophie ricama, e che non ha ancora finito quando questi ormai sono appassiti, una riflessione per immagini che sembra spiegare come l'arte possa durare più dell'amore stesso, proprio come è successo con questo film per Céline Sciamma e Adèle Haenel. Una battuta della sceneggiatura appare quanto mai appropriata, "le cose stanno così", dice la saggia e razionale Héloïse a Marianne quando questa sta per incupirsi per l'inevitabile separazione che le attende. Inutile rovinarsi anche gli ultimi momenti insieme per recriminare su un destino di cui si era già a conoscenza e contro cui è impossibile combattere...

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