Garrone, dopo Il racconto dei racconti (2015), torna alla fiaba e passa da Giambattista Basile a Carlo Collodi, dal Seicento immaginifico medievalizzante all'Ottocento toscano capace di accostare realtà antipodali come verismo e fantasia (trailer).
Lunga la storia degli adattamenti del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, uscito tra 1881 e 1883, prima a puntate e poi come volume unico, che già all'epoca del muto ebbe la prima trasposizione cinematografica, con Pinocchio di Giulio Antamoro (1911).
A questa sono seguite oltre 50 pellicole, tra cui, solo per citare le più rilevanti, quella italiana animata, mai completata, che nelle intenzioni avrebbe dovuto contrastare lo strapotere Disney (CAIR - Cartoni Animati Italiani Roma, 1935-36), e che invece si impose con l'ancora famosissimo Pinocchio (1940) ampiamente edulcorato delle parti più dure e malinconiche della storia; il film di Giannetto Guardone (1947); la versione animata sovietica di Ivanov-Vano e Pavličenko (1959), in realtà adattata sulla rivisitazione di Pinocchio scritta nel 1939 da Aleksej Nikolaevič Tolstoj, lontano discendente di Lev, col titolo di La piccola chiave d’oro, in Italia uscito come Il compagno Pinocchio, secondo una tradizione di titoli stranieri storpiati che evidentemente da molto caratterizza il nostro paese.
E poi, naturalmente, la versione teatrale che ne fece Carmelo Bene (1961), più volte replicato e anche adattato per la tv nel 1999 (vedi), il bellissimo sceneggiato RAI firmato da Luigi Comencini nel 1972 (vedi), diviso in cinque puntate per un totale di 280 minuti, che per alcune generazioni di ragazzi italiani si è andato a sovrapporre al romanzo vero e proprio, ma anche il non certo riuscito Pinocchio di Benigni (2002), che resta a tutt'oggi il film italiano più costoso di sempre (45 milioni di euro).
Ci vuole tanto coraggio e forse un pizzico di incoscienza per riprendere una tradizione così ricca, ma in questo caso il coraggio premia, perché ciò che Garrone ha realizzato è un film bello, non solo dal punto di vista estetico, in cui comunque brillano fotografia (Nicolaj Brüel), senso della scena e delle inquadrature, costumi e scenografie (Massimo Cantini Parrini e Dimitri Capuani), ma anche per l'evidente studio del testo, delle fonti e dei personaggi.
A questa sono seguite oltre 50 pellicole, tra cui, solo per citare le più rilevanti, quella italiana animata, mai completata, che nelle intenzioni avrebbe dovuto contrastare lo strapotere Disney (CAIR - Cartoni Animati Italiani Roma, 1935-36), e che invece si impose con l'ancora famosissimo Pinocchio (1940) ampiamente edulcorato delle parti più dure e malinconiche della storia; il film di Giannetto Guardone (1947); la versione animata sovietica di Ivanov-Vano e Pavličenko (1959), in realtà adattata sulla rivisitazione di Pinocchio scritta nel 1939 da Aleksej Nikolaevič Tolstoj, lontano discendente di Lev, col titolo di La piccola chiave d’oro, in Italia uscito come Il compagno Pinocchio, secondo una tradizione di titoli stranieri storpiati che evidentemente da molto caratterizza il nostro paese.
E poi, naturalmente, la versione teatrale che ne fece Carmelo Bene (1961), più volte replicato e anche adattato per la tv nel 1999 (vedi), il bellissimo sceneggiato RAI firmato da Luigi Comencini nel 1972 (vedi), diviso in cinque puntate per un totale di 280 minuti, che per alcune generazioni di ragazzi italiani si è andato a sovrapporre al romanzo vero e proprio, ma anche il non certo riuscito Pinocchio di Benigni (2002), che resta a tutt'oggi il film italiano più costoso di sempre (45 milioni di euro).
Ci vuole tanto coraggio e forse un pizzico di incoscienza per riprendere una tradizione così ricca, ma in questo caso il coraggio premia, perché ciò che Garrone ha realizzato è un film bello, non solo dal punto di vista estetico, in cui comunque brillano fotografia (Nicolaj Brüel), senso della scena e delle inquadrature, costumi e scenografie (Massimo Cantini Parrini e Dimitri Capuani), ma anche per l'evidente studio del testo, delle fonti e dei personaggi.
Roberto Benigni (che ha sostituito Toni Servillo, scelto inizialmente) è un Geppetto formidabile e orgoglioso del suo lavoro, forse il suo miglior personaggio negli ultimi anni, con il quale riscatta in parte il suo flop di diciassette anni fa. Povero in canna, lo vediamo in apertura di film scavare con martello e scalpello, i suoi strumenti del mestiere, una vecchia forma di formaggio per raggranellare le ultimissime briciole e poi andare nella vicina osteria facendo di tutto per ottenere qualche lavoretto per potersi permettere di pagare un pasto. Per il resto la storia prosegue filologicamente attenta al romanzo, dalla visita da Mastro Ciliegia che si libera del pezzo di legno alla realizzazione del burattino, dal primo giorno di scuola di Pinocchio al teatro dei burattini, per poi iniziare le scorribande con il Gatto e la Volpe, il campo dei miracoli, l'incontro con la Fatina, il Tribunale, Lucignolo, il Paese dei Balocchi, il circo, il pescecane, il tonno e la nuova vita da bambino vero.
Tantissimi i momenti difficili da dimenticare di questa nuova versione della storia, che non può fare a meno di recuperare quella di Comencini, che un bambino cresciuto negli anni '70 come Matteo Garrone non può non avere fisse in mente, e le tante immagini delle edizioni illustrate entrambe inevitabili fonti iconografiche della pellicola, tanto più che il regista romano ha raccontato che a soli sei anni già realizzava i suoi primi disegni degli episodi di Pinocchio. Va, però, detto che rispetto alle illustrazioni passate, lo scenografo Dimitri Capuano ha dichiarato di aver considerato soprattutto quelle che Enrico Mazzanti realizzò per la prima edizione del 1883, pubblicata dalla Libreria Editrice Felice Paggi di Firenze, e quelle di Carlo Chiostri per l'edizione del 1901.
Molti particolari rimandano a quei disegni: dalla giubba rossa indossata da Pinocchio al burattino impiccato dal Gatto e la Volpe, dall'arrivo alla casa della Fatina al mostro marino. Proprio sulla casa in cui Pinocchio incontra per la prima volta Fatina e Lumaca, il risultato ottenuto da Capuano è magnifico: i personaggi si muovono in ambienti cupi, recuperando l'originaria idea di luogo abitato da fantasmi, che si assesta sui toni del cinema di Tim Burton, punto di riferimento dichiarato di Garrone.
Molti particolari rimandano a quei disegni: dalla giubba rossa indossata da Pinocchio al burattino impiccato dal Gatto e la Volpe, dall'arrivo alla casa della Fatina al mostro marino. Proprio sulla casa in cui Pinocchio incontra per la prima volta Fatina e Lumaca, il risultato ottenuto da Capuano è magnifico: i personaggi si muovono in ambienti cupi, recuperando l'originaria idea di luogo abitato da fantasmi, che si assesta sui toni del cinema di Tim Burton, punto di riferimento dichiarato di Garrone.
Garrone si sofferma su alcuni dettagli che nella favola di Collodi richiamano i classici, Ovidio ed Esopo su tutti. Il momento in cui Pinocchio (Federico Ielapi), ancora sbozzato, inizia a parlare, è palesemente desunto dal mito di Pigmalione che scolpisce la sua statua d'avorio; la metamorfosi di Lucignolo e Pinocchio da bambini ad asini, ovidiana di per sé, è raccontata come non mai, anche grazie all'ausilio dei moderni effetti speciali, che permettono di vedere la trasformazione fisica in atto accompagnata da quella vocale, con i pianti che si fanno ragli. Gli stessi effetti che permettono al regista di mostrare un cuore che batte all'interno del ciocco di legno iniziale. Di grande effetto cinematografico è anche la trasformazione da ciuchino a burattino che, come da testo, avviene in mare, sott'acqua, in una poetica sequenza che fa subito pensare a Il racconto dei racconti e che vede l'asino avviluppato dai flutti e circondato dai pesci.
Garrone recupera anche i tanti animali della fiaba, a partire dai più rilevanti nella storia, il Gatto (Rocco Papaleo) e la Volpe (Massimo Ceccherini), il Grillo parlante interpretato da Davide Marotta (ricordate la pubblicità anni '80 della Kodak? vedi), la lumaca-governante della fatina (Maria Pia Timo), con la gag della sua bava sul pavimento che rischia di far cadere tutti. Ci sono anche il giudice del tribunale della giustizia ribaltata (Teco Celio), uno scimpanzè (gorilla nel libro) che punisce gli innocenti e mette in libertà i colpevoli, assistito da due grosse guardie cinocefale; il pappagallo (interpretato da Marcello Fonte), che avverte Pinocchio dei zecchini rubati dal Gatto e la Volpe; i mortiferi conigli-becchini che arrivano al capezzale di Pinocchio con la piccola bara bianca quando il burattino rifiuta di prendere la medicina per guarire dalla "truciolosi", come sentenziato da uno dei dottori-uccelli arrivati a visitarlo, il Corvo e la Civetta.
E, poi, il Tonno (Maurizio Lombardi) - "che bella persona, quel tonno" - ibrido uomo-animale che del primo ha solo il volto, in maniera identica ai pesci nell'acquario del ristorante nella folgorante sequenza iniziale di Monty Python - Il senso della vita (Jones 1983, vedi).
Tra i personaggi totalmente umani, risultano ben riusciti l'impresario del circo (Massimo Gallo) e soprattutto gli ambigui e sadici personaggi del maestro di scuola (Enzo Vetrano) e dell'omino di burro (Nino Scardina), nocchiero dei ragazzi diretti al Paese dei Balocchi e poi cinico venditore di asini il giorno dopo.
La Fatina e Mangiafuoco vengono risolti rispettivamente da una doppia attrice, Alida Baldari Calabria, per la versione bambina, e Marine Vacth, per la conturbante fatina adulta; e dalla presenza di Gigi Proietti, nei panni di un Mangiafuoco bonario, solo e bisognoso d'affetto, che ha perso tutta l'arcigna caratterizzazione mefistofelica del personaggio originario.
Bellissima, a tal proposito, l'intera sequenza del burattino speciale tra gli altri burattini coi fili, quell'essere diverso, perché vivo in un mondo oltre il reale, come il Dante della Commedia, che culmina negli abbracci di tutte le maschere sia sul palcoscenico sia al momento della commovente separazione.
In questa parte, Garrone è clamorosamente debitore del cinema italiano del passato: all'interno del teatro la mdp inquadra i volti dei bambini emotivamente partecipi, in stile cinema neorealista, e poi, Pinocchio si sveglia tra i burattini accasciati e dormienti nel carro di Mangiafuoco, che tanto ricordano i personaggi del meraviglioso Cosa sono le nuvole di Pier Paolo Pasolini (1967).
Garrone ha un grande senso della messa in scena, e qui dà il massimo in una ripresa in soggettiva di Pinocchio e Lucignolo che, dall'interno di una barca rovesciata, osservano l'esterno assolato, incorniciato dalle assi di legno, in un'inquadratura che sa tanto di western e soprattutto di Sergio Leone.
Nulla nasce dal nulla, come sempre, e anche il celeberrimo naso di Pinocchio Collodi lo ricavò probabilmente da The book of Nonsense (1846), opera del vignettista inglese Edward Lear che tanto visse in Italia e che forse conobbe persino lo scrittore fiorentino (leggi). Di certo una delle tante vignette di quel libro con personaggi dai lunghi nasi è un parallelo perfetto per l'episodio, e per la relativa sequenza del film, del naso cresciuto a dismisura dopo una serie di bugie pronunciate da Pinocchio davanti alla fatina e poi "ridotto" da uno stormo di picchi che lo beccano.
Enorme, come sempre e soprattutto come ne Il racconto dei racconti (2015), il lavoro fatto sulle location.
Garrone recupera anche i tanti animali della fiaba, a partire dai più rilevanti nella storia, il Gatto (Rocco Papaleo) e la Volpe (Massimo Ceccherini), il Grillo parlante interpretato da Davide Marotta (ricordate la pubblicità anni '80 della Kodak? vedi), la lumaca-governante della fatina (Maria Pia Timo), con la gag della sua bava sul pavimento che rischia di far cadere tutti. Ci sono anche il giudice del tribunale della giustizia ribaltata (Teco Celio), uno scimpanzè (gorilla nel libro) che punisce gli innocenti e mette in libertà i colpevoli, assistito da due grosse guardie cinocefale; il pappagallo (interpretato da Marcello Fonte), che avverte Pinocchio dei zecchini rubati dal Gatto e la Volpe; i mortiferi conigli-becchini che arrivano al capezzale di Pinocchio con la piccola bara bianca quando il burattino rifiuta di prendere la medicina per guarire dalla "truciolosi", come sentenziato da uno dei dottori-uccelli arrivati a visitarlo, il Corvo e la Civetta.
Il Tonno del film e i pesci dei Monty Python |
Tra i personaggi totalmente umani, risultano ben riusciti l'impresario del circo (Massimo Gallo) e soprattutto gli ambigui e sadici personaggi del maestro di scuola (Enzo Vetrano) e dell'omino di burro (Nino Scardina), nocchiero dei ragazzi diretti al Paese dei Balocchi e poi cinico venditore di asini il giorno dopo.
La Fatina e Mangiafuoco vengono risolti rispettivamente da una doppia attrice, Alida Baldari Calabria, per la versione bambina, e Marine Vacth, per la conturbante fatina adulta; e dalla presenza di Gigi Proietti, nei panni di un Mangiafuoco bonario, solo e bisognoso d'affetto, che ha perso tutta l'arcigna caratterizzazione mefistofelica del personaggio originario.
Bellissima, a tal proposito, l'intera sequenza del burattino speciale tra gli altri burattini coi fili, quell'essere diverso, perché vivo in un mondo oltre il reale, come il Dante della Commedia, che culmina negli abbracci di tutte le maschere sia sul palcoscenico sia al momento della commovente separazione.
In questa parte, Garrone è clamorosamente debitore del cinema italiano del passato: all'interno del teatro la mdp inquadra i volti dei bambini emotivamente partecipi, in stile cinema neorealista, e poi, Pinocchio si sveglia tra i burattini accasciati e dormienti nel carro di Mangiafuoco, che tanto ricordano i personaggi del meraviglioso Cosa sono le nuvole di Pier Paolo Pasolini (1967).
La scena del naso e la vignetta di E. Lear |
Nulla nasce dal nulla, come sempre, e anche il celeberrimo naso di Pinocchio Collodi lo ricavò probabilmente da The book of Nonsense (1846), opera del vignettista inglese Edward Lear che tanto visse in Italia e che forse conobbe persino lo scrittore fiorentino (leggi). Di certo una delle tante vignette di quel libro con personaggi dai lunghi nasi è un parallelo perfetto per l'episodio, e per la relativa sequenza del film, del naso cresciuto a dismisura dopo una serie di bugie pronunciate da Pinocchio davanti alla fatina e poi "ridotto" da uno stormo di picchi che lo beccano.
La Fratta a Sinalunga |
La prima parte del film è girata soprattutto in Valdichiana, tra Siena e Arezzo, con le crete senesi che fanno da sfondo paesistico a diverse inquadrature in campo lungo e, poi, la bellissima località La Fratta, a Sinalunga, dove Garrone ambienta il paesino in cui vive Geppetto, una vecchia tenuta rurale sulla via Cassia esistente fin dal 1208, che tanto ricorda le ambientazioni di film come Novecento (Bertolucci 1976) o L'albero degli zoccoli (Olmi 1978). Anche i maiali che compaiono qua e là, naturalmente, sono di cinta senese!
La masseria Sansone come Paese dei Balocchi |
Nel primo, ad esempio, si trova la casetta di campagna dove Geppetto e Pinocchio vanno a vivere dopo essere fuggiti dalla pancia del pescecane (qui esemplato su una rana pescatrice). Questa ed altre location, infatti, si trovano nel vasto territorio di Villa Catena a Poli, 86 ettari nei pressi di Roma sui monti prenestini, già citata nel 1563 da Annibal Caro e poi passati ai Torlonia, prima che Dino de Laurentiis la acquistò per Silvana Mangano, già usata per numerosi film in passato.
Gravina di Puglia |
Altre scene di campagna sono girate nelle Murge di Altamura e nel territorio di Spinazzola, mentre di Gravina di Puglia vediamo sia il famoso ponte-viadotto Madonna della Stella, sia il fianco della cattedrale di Santa Maria Assunta.
Un film riuscito, da cui lasciarsi cullare e accompagnare attraverso miti, allegorie, sogni e luoghi... a patto di tornare un po' bambini!
che avverte Pinocchio dei zecchini rubati
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