lunedì 5 agosto 2019

C'era una volta a... Hollywood (Tarantino 2019)

E sono nove! Percorso netto per uno dei più grandi registi dell'ultimo cinquantennio. Dal magnifico esordio de Le iene (1992) non sono passati ancora trent'anni e Quentin Tarantino ha inanellato l'ennesimo capolavoro (trailer).
Questa volta l'horror vacui del regista gli fa cambiare ancora genere e scandagliare proprio il mondo del cinema, come forse non accadeva da Effetto notte (1973), la pellicola con cui istintivamente può essere avvicinato C'era una volta a... Hollywood. Del film di Truffaut condivide la grande passione cinefila e, ovviamente, il soggetto metacinematografico, ma Tarantino, come suo solito, va oltre... ed è una gran fortuna per lo spettatore, che dimentica durata e altri impegni e resta saldo alla poltrona come un bambino che sale sulle giostre!

Inizio febbraio 1969. Rick Dalton (Leonardo Di Caprio), che non si separa quasi mai dalla sua controfigura e amico Cliff (Brad Pitt), è un attore celebre soprattutto per il suo ruolo nella fortunata serie tv western Bounty Law, in cui è il cowboy Jake Cahill, anche se amerebbe qualche sortita in più nel cinema che conta.
L'umore negativo per la propria carriera peggiora quando il suo agente, Marvin Schwarzs (Al Pacino), gli fa notare che interpretare costantemente personaggi negativi e "da cattivo" non gli darà tante possibilità di varcare i confini televisivi e, come alternativa, gli propone gli "spaghetti western" in Italia, dall'attore e non solo ritenuto un genere di serie B, versione buffa del genere autoctono statunitense per antonomasia. Un dettaglio non secondario: Tarantino adora gli spaghetti western e, anche nell'anteprima italiana al cinema Adriano di Roma, ha tenuto a prendere le distanze da quello che pensano i personaggi su Leone, Corbucci e gli altri. D'altronde il titolo della pellicola è esso stesso un omaggio al più grande dei cineasti italiani che ebbero successo fingendosi statunitensi (Sergio Leone divenne Bob Robertson sui poster di Per un pugno di dollari, 1964), anche se l'incipit fiabesco stavolta è anche chiave basilare dell'intero film.
Rick e Cliff sono sempre insieme anche perché le intransigenze di Rick gli sono costate il ritiro della patente e Cliff è di fatto diventato anche l'autista dell'amico. I due, però, complici le carriere opposte, abitano in luoghi diversi di Los Angeles: Cliff vive in una roulotte all'interno di un drive in con la sua pitbull Brandy, mentre Rick in una villa a Cielo Drive, ad un passo da quella in cui sono andati ad abitare da appena un mese Roman Polanski (Rafal Zawierucha) e sua moglie, Sharon Tate (Margot Robbie). Inutile dire che Rick amerebbe avere l'occasione per entrare in contatto con loro e, chissà, riuscire a girare un film con il regista di cui tutti parlano per il suo gran talento...
Tarantino si tuffa nella Hollywood del 1969 e, tra magnifici dolly, parasoggettive, split screen e tanti altri movimenti di macchina ed espedienti cinematografici, porta lo spettatore a vederne i dettagli o a salire sui sedili posteriori dell'auto di Polanski, da dove, proprio come i bambini con i genitori, si ritrova a infilare la testa tra i sedili occupati da lui e da Sharon.
Di Hollywood, il regista di Knoxville ci mostra sia la realtà luminosa e festaiola, sia quella meno appariscente, tra il degrado e la campagna abitata dagli hippy.
Sharon Tate e Roman Polanski nel film
Il cast è stellare e funziona a meraviglia, grazie ad una sceneggiatura notevole, tarantinianamente aforistica, che caratterizza i personaggi alla perfezione. Di Caprio-Rick Dalton è un attore non più giovanissimo che sta vivendo sul crinale tra successo e fallimento, con il secondo sempre più vicino, in una Hollywood che è cambiata molto e nella quale sarà difficile rimanere sulla cresta dell'onda. Il suo narcisismo, gli accessi d'ira e i vertiginosi sbalzi d'umore evidenziano le sue incertezze.
Tra le tante sequenze, una su tutte, tra le più belle dell'intero film, riassume la sua condizione psicologica e professionale: siamo sul set del pilota di un'ennesima serie western (ricordate quando Uma Thurman doveva spiegare in Pulp Fiction cos'era un pilota? Sembrano passate ere geologiche, oggi sappiamo tutti di cosa si tratta). Il regista, Sam Wanamaker (Nicholas Hammond), caratterizza il personaggio di Rick, Caleb, con dei lunghi baffi "alla Zapata" per tentare di mitigare la sua riconoscibilità (concetto che torna spesso durante la pellicola quello dell'identificazione del personaggio con l'attore da parte del pubblico); Rick condivide la scena con Trudi (Julia Butters), una bambina di otto anni con le idee molto chiare sulla sua futura carriera.
In pausa, prima di girare, è lei l'attore sicuro di sé: non usa il termine al femminile "perché non ha senso"; preferisce essere chiamata col nome del suo personaggio, Mirabella, denunciando un'evidente quanto precoce formazione da actors studio; concede a Rick di sedersi a leggere vicino a lei e si interessa alla storia del romanzo western che il collega più anziano ha tra le mani. Sul set, dove oltre a Caleb e Mirabella c'è Scott (Luke Perry nella sua ultima apparizione prima della prematura scomparsa), entrambi daranno il meglio di sé e tutte le scelte di Rick, anche quelle improvvisate e rischiose, verranno accolte dal plauso del regista. Rick ha bisogno di quelle parole e del consenso in un momento in cui sente la carriera sfuggirgli di mano, ma saranno proprio i complimenti di Mirabella a commuoverlo. Di Caprio passa, così, in pochi minuti, dall'attore annoiato e privo di stimoli all'uomo incuriosito da una bambina vispa e sicura, al professionista che recita con grande capacità, fino all'interprete che riacquista fiducia e che non riesce a nascondere le lacrime. Eccezionale.
Brad Pitt non è da meno: il suo Cliff Booth non ha complicati sogni di gloria e la sua vita scorre molto più semplice e tranquilla di quella di Rick, anche se nell'ambiente è ancora noto per delle accuse di uxoricidio che non gli facilitano le cose sul lavoro. A lui l'idea degli spaghetti western non dispiace, l'importante in fondo è continuare a lavorare nel cinema. Anche nel suo caso sono tante le sequenze che meritano attenzione ma, tra una scena in cui sistema l'antenna sul tetto della casa dell'amico, rigorosamente a torso nudo e con un cinturone usato per tenere le lattine di birra, e un'altra mentre duetta con Brandy, quella che lo riassume meglio è girata sul set con Bruce Lee (Mike Moh). L'attore giapponese, chiamato Kato da Cliff, ricordando il suo personaggio della serie tv The Green Hornet (1966-67), insegna la filosofia del kung fu al resto della troupe, ma Cliff non tollera il suo atteggiamento saccente e, quando l'attore minimizza persino Cassius Clay, lo stuntman lo provoca con una battuta che dà il via ad una scazzottata fuori programma, che manda in bestia Randy (Kurt Russell) e sua moglie Janet (Zoë Bell), che sta dirigendo gli attori: "tu sei un macchia dietro i pantaloncini di Cassius Clay".
Tutto il resto gira attorno ai due protagonisti, ma non per questo i dettagli degli altri personaggi sono meno curati. La Sharon Tate di Margot Robbie è riuscitissima e non sfigura persino quando l'attrice va al cinema a vedere uno dei suoi film e i due volti sono a confronto diretto (si tratta di Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm - Karlson 1969).
Anche gli altri sono molto somiglianti, da Jay Sebring (Emile Hirsch), amico ed ex fidanzato di Sharon, a Steve McQueen (Damian Lewis), cui viene affidato il compito di spiegare quella particolare relazione a tre, in cui Sharon, Roman e Jay sembravano perfettamente a loro agio. Forse è proprio Roman Polanski, a voler cercare il pelo nell'uovo, il personaggio fisicamente meno somigliante ed è inevitabile pensare che al posto di Zawierucha avrebbe funzionato meglio Mathieu Amalric, perfetto alter ego del regista polacco, seppur forse ormai con qualche anno di troppo per essere Roman a trentacinque anni. Trucco, parrucco e costumi, però, sopperiscono bene a questa discrasia.
Il mondo hippy è delineato come un pericolo per le star di Hollywood, che diffidano di quelli che non esitano a definire con disprezzo "capelloni". Tarantino li riprende quasi sempre in gruppo, poco vestiti, poco lucidi, ma sempre sorridenti e apparentemente spensierati. C'è spazio anche per il famoso Spahn Movie Ranch, luogo in cui vive la Manson Family (tra gli altri ci sono anche Squeaky - Dakota Pfanning e Gypsy - Lena Dunham), e dove il proprietario, George Spahn (Bruce Dern), è un vecchio collega di Cliff, che invece si ritrova lì per caso, dopo un lungo flirt con una provocante ragazza che si fa chiamare Pussycat (Margaret Qualley; il personaggio è modellato su Kitty Lutesinger), che lo lusinga sulla sua professione ("stuntmen... molto meglio, gli attori sono falsi, recitano battute scritte da altri") e alla quale risponde "sono troppo vecchio per andare in galera per una trombata".
La figura di Charles Manson (Damon Herriman), invece, aleggia per tutto il film, ma compare solo per pochissimi secondi, per chiedere di Terry Melcher, il figlio di Doris Day che era stato il precedente inquilino della villa di Cielo Drive prima dei Polanski. E lo stesso vale per altri componenti della sua "family" entrati nella storia degli omicidi Tate-La Bianca, tra cui Linda Kasabian, interpretata dalla figlia di Uma Thurman e Ethan Hawke (Maya Hawke), Susan Atkins (Mikey Madison), Patricia Krenwinkel (Madisen Beatty), Tex Watson (Austin Butler), Leslie van Houten (Victoria Pedretti), tutti nomi citati da Vincent Bugliosi nel suo Helter Skelter (1975, e ed. it. 2006), che racconta la tragedia di Bel Air.
Tarantino cita anche se stesso raccontando la carriera di Rick, che tra i suoi successi annovera un altro ruolo da cattivo in un pellicola che tanto ricorda Bastardi senza gloria, intitolata I quattordici pugni di McKluskey, in cui Di Caprio, di fatto, interpreta il personaggio che nel film reale era proprio di Brad Pitt, in un continuo body double, che è esso stesso gioco cinematografico per eccellenza. Rick Dalton in scena, peraltro, urla una battuta perfetta per Inglourius Basterds: “Qualcuno qui ha ordinato crauti flambé? Bruciate nazisti di merda!”, mentre scarica un lanciafiamme contro i nemici. Il regista, in una delle tante pillole esplicative con rapido flashback, piccole digressioni narrative che rappresentano una cifra stilistica sempre presente nei suoi film, mostra le prove dell'attore nel backstage di quel film con lo stesso lanciafiamme, mentre, da insopportabile divo, si lamenta per il caldo che emana.
Per avere un'idea del perfezionismo e del metodo di Quentin Tarantino, basti sapere che il regista ha dichiarato di aver scritto davvero cinque storie western da trenta minuti per Rick Dalton e che forse, aggiungendone altre tre, potrebbero diventare una vera e propria serie tv per Netflix (leggi). Di certo ha fatto creare le locandine dei film "interpretati" dal suo personaggio in Italia, come Nebraska Jim, Operazione Dyn-o-mite, Uccidimi subito Ringo, disse Gringo Tanner, oltre a girare con lui un divertente spot per sigarette che oggi suona quasi come oltraggio a tutte le regole di Hollywood. E chissà quanto altro c'è nella versione di quattro ore che Tarantino potrebbe far circolare sempre sulla nota piattaforma e che attenderemo con impazienza. Il regista, infine, sembra alludere anche alla vita privata di Leonardo Di Caprio, a proposito di distanza tra personaggio e interprete, e fa sposare a Rick Dalton l'italiana Francesca Cappucci (Lorenza Izzo), proprio ora che l'attore è fidanzato con Camila Morrone.
Le serie tv, come visto, tornano spesso in questa Hollywood di fine anni sessanta, in versione western, arti marziali e polizieschi (Rick recita anche in FBI), ma c'è anche una citazione per quella su Batman, andata in onda tra 1966 a 1968, che Pacino-Schwarzs ricorda per le sue scritte onomatopeiche e fumettistiche.
I falsi film italiani di Rick Dalton
Nelle sale di Hollywood, inoltre, si vedono i titoli di tanti film, tra questi The Night They Raided Minsky's (Friedkin 1968; in italiano Quella notte inventarono lo spogliarello); Pendulum (Schaefer 1969), con George Peppard e Jean Seberg; Romeo e Giulietta (Zeffirelli 1969); e, ovviamente, il già citato The Wrecking Crew (Karlson 1969; in italiano Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm), quello che Sharon Tate va a vedere in un matinée per osservare le reazioni del pubblico alle sue scene. Proprio la ragazza in biglietteria, peraltro, la riconosce come l'attrice de La valle delle bambole (Robson 1967), uno dei film precedenti in cui lavorò Sharon.
Altre pellicole vengono citate in sceneggiatura, su tutte La grande fuga (Sturges 1963), in cui, come dice con rammarico lui stesso a un collega, proprio Rick Dalton avrebbe rischiato di lavorare al posto di Steve McQueen qualche anno prima. Ad ulteriore riprova dell'attenzione per il contesto, quel collega è James Stacy (Timothy Olyphant), star della serie tv western fine anni '60 Lancer, in cui recitava Eve Plumb nei panni di Mirabella Lancer, evidentemente la bambina incontrata da Rick Dalton. C'è un piccolissimo spazio anche per celebrare Rosemary's Baby, poiché a casa Polanski Tarantino non manca di inserire come soprammobile il David di Donatello che il cineasta polacco aveva vinto come miglior regista straniero il 2 agosto 1969 a Taormina, una settimana prima della tragedia.
La colonna sonora, come sempre in Tarantino, è ben curata dal regista in prima persona che questa volta sceglie solo brani ante 1969, insieme alla music supervisor Mary Ramos, in quella che la stessa collaboratrice di Quentin chiama "la stanza dei dischi", sala dedicata ai vinili nella casa hollywoodiana di Tarantino. E così si entra agevolmente nell'atmosfera di quegli anni anche grazie a brani come Mrs Robinson di Simon & Garfunkel o California dreaming nella versione di Josè Feliciano (1968), Treat Her Right di Roy Head and the Traits (1965), fino alla lisergica You Keep Me Hangin' On di Vanilla Fudge (1967).
Il biglietto dell'anteprima romana
Come in Bastardi senza gloria, il cinema può servire a cambiare la realtà quando questa non ci piace affatto... Tarantino e le sue fiabe catartiche fanno bene, non c'è dubbio, e da quella giostra non vorremmo mai scendere, questo è certo. Ve ne accorgerete soprattutto dopo l'ultima delirante e magnificamente tarantiniana parte di questo film!

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