mercoledì 24 luglio 2019

La famiglia (Scola 1987)

Ettore Scola racconta il suo Novecento in maniera intima, chiuso nello spazio teatrale di un appartamento romano del nuovo quartiere di Prati, simbolo di una città che improvvisamente iniziava ad ampliarsi e, appunto, al posto dei larghi spazi di verde, conosceva una lottizzazione che non si sarebbe più arrestata fino ad oggi.
All'opposto del capolavoro di Bertolucci (1976), che utilizzava una storia particolare per narrare quella nazionale, però, il film di Scola sceglie la via minimalista, sfiorando solo tangenzialmente quello che accade fuori dalla vita personale dei protagonisti, appartenenti ad una famiglia alto borghese, che fatalmente deve fare i conti con le guerre, il fascismo, la ripresa economica, di cui si ode un'eco lontana.
Presentato a Cannes, dove fu nominato per la palma d'oro, e poi rappresentante per l'Italia agli Oscar del 1988 come miglior film straniero, fece incetta di David e Nastri d'argento.
Una pellicola malinconicamente romantica - come sottolinea la musica di Armando Trovajoli (ascolta) - che mostra i segni del tempo, con una sceneggiatura, scritta dal regista insieme a Ruggero Maccari e a Furio Scarpelli, che alterna passi ben riusciti ad altri incerti, con indubbi elementi di interesse, tra cui, la possibilità di identificazione dello spettatore, a seconda dell'età e ad ogni nuova visione, con un personaggio differente.
Un cast di alto livello per una miriade di personaggi, non sempre ben approfonditi, spesso interpretati da diversi attori che si alternano col passare degli anni: Carlo (Emanuele Lamaro, Andrea Occhipinti, Vittorio Gassman) è il protagonista, nipote del nonno omonimo (ancora Vittorio Gassman) che vediamo solo nella scena iniziale, quel pater familias da cui tutto origina e che rileva l'appartamento in cui si svolgerà l'intera azione. Carlo è il primogenito di Aristide (Memè Perlini), figlio del Carlo più anziano, funzionario dell'allora Ministero dell'educazione pubblica che si diletta di pittura con scarsi risultati, e di Susanna (Hania Kochansky), appassionata di lirica. Suo fratello minore è Giulio (Ioska Versari, Alberto Gimignani, Massimo Dapporto, Carlo Dapporto), secondogenito più ribelle di lui che, invece, come accade quasi sempre, è maggiormente vicino alle logiche familiari, che protrarrà nel tempo. Ritenuto il più maturo, Carlo verrà responsabilizzato dal padre anche sulle sorti del fratello, considerato "debole", una differenziazione di stima che puntualmente Carlo ripeterà quando sarà il suo turno di dare raccomandazioni ai propri figli.
Adriana e Carlo
Non caso, Carlo rimarrà tutta la vita a Roma, nella casa di famiglia, mentre Giulio vivrà esperienze lontane, complice anche la guerra, per poi tornare e sposare la figlia della domestica, Adelina (Consuelo Pascali, Ilaria Stuppia, Ottavia Piccolo), per cui ha nutrito una certa simpatia sin da adolescente. Carlo, invece, non sceglierà mai ciò che vuole veramente, facendo prevalere sempre la stabilità e la vita familiare al resto: innamoratosi della bellissima Adriana (Jo Champa, Fanny Ardant), sorella della propria allieva Beatrice (Cecilia Dazzi, Stefania Sandrelli), a sua volta invaghitasi di lui, inizierà una relazione segreta ma, quando Adriana si allontanerà per seguire la sua vocazione musicale, sposerà Beatrice, porto sicuro in grado di garantirgli figli e di assicurargli quel modello familiare da cui non può in fondo separarsi. Da loro nasceranno Paolino (Alessandro Pizzolato, Fabrizio Cerusico, Ricky Tognazzi) e Maddalena (Barbara Scoppa), entrambi segnati dalla personalità del padre professore di lettere di liceo e assistente di Natalino Sapegno alla Sapienza. Per inciso, è questo l'unico indizio che il Carlo protagonista sia ispirato a Carlo Salinari, famoso letterato e insegnante di Ettore Scola, per stessa ammissione del regista.
Di Paolino sappiamo che vince diversi concorsi ma rifiuta sempre i posti per studiare ancora, per poi diventare bibliotecario all'Alessandrina (non a caso la biblioteca della Sapienza); Maddalena si innamora di un sindacalista, un uomo che ha passioni e le persegue (quello che avrebbe voluto fare Carlo ma non ha avuto la forza di fare), ma poi lo lascia per seguire un nuovo amore.
Proprio questo momento è uno di quelli in cui trovano sostanza visiva le contraddizioni di Carlo che, in maniera comica, prima sostiene le scelte di donna libera della figlia, esaltandola perché capace di seguire le proprie passioni, ma subito dopo le assesta un inaspettato schiaffo a piena mano.
La separazione dei due, però, permetterà a Carlo di fare il nonno a tempo pieno con il piccolo Carletto (Marco Vivio, Sergio Castellitto), ça va sans dire, che rimarrà a vivere nella grande casa di via Scipione l'Emiliano, strada inesistente (anche se il nome è quello del figlio del ben più noto Scipione l'Africano), ma che ben si accorda con un quartiere ricco di figure dell'antica Roma nella toponomastica.
Carlo e Giulio
Il film, strutturato in maniera circolare, si apre e si chiude con due foto di famiglia, a ottant'anni di distanza, che immortalano tutti i membri attorno ai due Carlo citati. Nel mezzo otto scansioni cronologiche, all'incirca decennio dopo decennio, dal 1906 al 1986, introdotte ogni volta da un carrello nel lungo corridoio della casa, espediente che segna il passaggio del tempo e spesso il cambio di attori. Scola, però, li avvicenda diversamente da come ci si aspetterebbe e da come siamo abituati a vedere in pellicole in cui questo accade, cosicché, invece di mostrare il nuovo attore sin dall'inizio della sequenza cronologicamente più avanzata, nella prima inquadratura del "momento di passaggio" utilizza ancora l'interprete precedente e, dopo un controcampo, lo sostituisce, creando maggiore continuità narrativa e aiutando lo spettatore nell'identificazione.
Beatrice e Carlo
L'introduzione e la descrizione dei personaggi è affidata alla splendida voce off di Gassman, che inizia la sua storia dal giorno del proprio battesimo, come in un racconto che prende avvio dagli album di famiglia. Dopo il nonno, i genitori e il fratello, passa in rassegna gli altri abitanti della casa, le tre sorelle del padre, Luisa, Margherita e Millina (Alessandra Panelli, Athina Cenci, Monica Scattini), figure macchiettistiche, le "zitelle" che litigano per ogni nonnulla tra strepiti e porcellane lanciate; la domestica e soprattutto la figlia, Adelina, più tutti quelli che nel tempo passeranno in quella casa, amici, studentesse (Beatrice e Adriana) e, ovviamente, le nuove generazioni della famiglia.
Di Carlo viene raccontata principalmente la sua storia d'amore, fondata, come visto, su una scelta di compromesso e che giustifica la malinconia del suo personaggio, sempre insoddisfatto e mai felice fino in fondo. Avendo sposato la sorella di Adriana, inoltre, non mancano le occasioni di nuovi incontri con il suo amore più genuino, che negli anni torna più volte, anche fidanzata con l'architetto Jean Luc (Philppe Noiret), ma sempre sentimentalmente indipendente poiché, come dice a Carlo che pur in preda alla gelosia vede nel compagno un uomo gentile e che le vuole bene, "io non voglio bene a nessuno, lo sai", altra frase di pieno disincanto per una sconfitta amorosa che vale per lei quanto per Carlo e che si ripeterà in una lettera in cui gli farà sapere di essersi sposata con tale Victor, che non esita a definire "un tenero amico". In un'altra occasione, Adriana mette a nudo l'incapacità di Carlo di prendere in mano le sorti della propria vita, quando, per l'ennesima volta, chiama un taxi per andare via, non prima di averlo messo di fronte alla realtà e cioè che lui non andrà mai a Parigi per vivere con lei e tutto ciò che le può offrire è una vita da amante segreta a Roma, per di più mentre è sposato con sua sorella.
Carlo e Adriana
Impossibile non notare, peraltro, che nei panni di quella sorella, Beatrice, ci sia Stefania Sandrelli, che in Novecento era Anita, la maestra contadina di cui si innamorava Olmo-Depardieu, contrapposta alla sofisticata Ada-Dominique Sanda, secondo uno schema che sembra ripetersi nel film di Scola con la Ardant.
Oltre i rapporti con le due donne più importanti della sua vita, di Carlo viene approfondita la relazione con Giulio, caratterizzata da frequenti scontri ideologici. Carlo, ovviamente, anche nei momenti difficili, è per rimanere a Roma, senza lasciare il territorio al nemico, il fratello invece è per andare via e aspettare tempi migliori. Si tratta dell'eterno conflitto tra responsabilità e senso del dovere contrapposto alla soluzione più facile e personalistica, condensato in una bella battuta di Carlo che, parlando del fascismo come Leviatano, dice a Giulio "se ce ne andiamo tutti, credi che muoia prima?". Carlo combatte a suo modo, rifiuta di iscriversi al PNF, perde il lavoro per questo tra la derisione del fratello convinto che in fondo non cambi nulla e l'inconsapevole ingenuità dello zio Nicola (Renzo Palmer), che ha acriticamente accettato di unirsi ai fascisti senza rendersi nemmeno conto di cosa significhi.
Carlo e Carletto
È questo l'unico momento del film che ricorda quell'epoca storica, con Nicola che si presenta in casa con il fez in testa, dopo aver partecipato ad una marcia guidata dal duce in persona. Un po' poco, decisamente, ma il racconto corre troppo veloce per soffermarsi di più e la narrazione è focalizzata sugli stati d'animo dei personaggi piuttosto che sulla situazione del paese.
Giulio, dal canto suo, rimarrà prigioniero in India, mentre loro cugino, Enrico (Maurizio Marsala, Giuseppe Cederna), finirà persino ucciso in Spagna durante la guerra civile del 1937. Ed è Giulio, naturalmente, che in una famiglia di artisti senza talento - nonno Carlo che poetava gareggiando con Carducci; Aristide che si dilettava dipingendo; Carlo fa entrambe le cose senza grandi successi -, scrive un romanzo, Lo sperpero. Diario di un fallito, rimasto su un soppalco per incuria e disinteresse del fratello, che lo legge ormai ottantenne rendendosi finalmente conto di aver sottovalutato Giulio per tutto quel tempo.
Carlo e Paolino
"Litighi sempre con quelli che la pensano come te, forse dovresti metterti con quelli che la pensano diversamente", dice al padre il giovane Paolino, in una bella e intima sequenza tra padre e figlio in cui recitano il giovane Ricky Tognazzi e il grande amico del padre Vittorio Gassman, mentre mangiano grandi fette di cocomero - "un desiderio che non viene mai appagato" - affondandoci il viso in maniera passionale, rigorosamente senza coltello o altri orpelli inutili, se non un tovagliolo sulle gambe.
In questi e tanti altri dettagli, nonostante l'ambientazione teatrale, Roma c'è sempre, e spesso compare sullo sfondo della storia. Del "nuovo" quartiere sabaudo di Prati si è già detto, ma Aristide cita anche Piazza dell'Esedra (oggi Repubblica, ma per molti romani conserva ilsuo vecchio nome), dove per punizione non porterà i figli a mangiare la cassata. E ancora, negli anni '50 Adriana, ormai pianista affermata, va in RAI per un'audizione; e poi riconosciamo il 1956 per la grande nevicata che scola immortala fuori dalle finestre. Tra l'altro che sia quello l'anno, Scola ce lo precisa anche poco prima, attraverso la neonata televisione, che mostra a Carlo e Adriana, sdraiati sul divano, la notizia dell'Andrea Doria affondata (25 luglio) e quella del matrimonio tra Maryilin Monroe e Arthur Miller, avvenuto, però, un mese prima (29 giugno).
La vita romana, inoltre, si amplia nei luoghi di villeggiatura per le vacanze, confermando l'appartenenza all'alta borghesia, con la casa di Santa Marinella come meta marina e quella di Ovindoli per la montagna.
Una meravigliosa curiosità cinefila è inserita proprio nella sequenza in cui la famiglia parte per la nota località balneare a nord di Roma: poco dopo che Carletto ha chiuso la porta e spento le luci, parte l'automobile; l'impostazione del film non prevede uno stacco con un'inquadratura in strada, ma Scola fa in modo che lo spettatore veda tronfiamente Vittorio Gassman alla guida, solo facendogli sentire l'inconfondibile clacson di Bruno ne Il sorpasso (Risi 1962). La storia del cinema italiano è lì, insieme ad uno dei suoi più grandi interpreti...

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