lunedì 20 novembre 2017

Borg McEnroe (Metz Pedersen 2017)

L'epica applicata allo sport è un genere cinematografico da almeno ottanta anni, a partire da Olympia che Leni Riefenstahl girò per i giochi olimpici di Berlino '36; ma i film che hanno contribuito a determinare la forza di questo genere hanno sempre regalato al pubblico qualcosa di nuovo. Se l'inarrivabile pellicola della regista tedesca influenzò persino Orson Welles per le sue inquadrature dal basso di Quarto potere (1941), quello incentrato sul match Alì-Foreman, il celebre "rumble in the jungle" di Kinshasa '74, il bellissimo Quando eravamo re (Gast 1996), è stato piuttosto un docufilm che ha messo voglia a chiunque lo abbia guardato di approfondire quell'evento storico, attraverso filmati d'epoca, interviste e scrittura appassionante. Non vale invece la pena di scomodare un capolavoro assoluto come Toro scatenato (Scorsese 1980), anche perché il pugilato ha una tradizione cinematografica ben più gloriosa degli altri sport... (trailer).
Borg-McEnroe (trailer), rappresenta un'altra via: la ricostruzione di un avvenimento sportivo epocale, il torneo di Wimbledon del 1980 e, soprattutto, la finale tra i due campioni del titolo, con la loro rivalità al centro della trama, come fatto nel recente Rush (Howard 2013) per i piloti di Formula 1 James Hunt e Niki Lauda. Il film, che difficilmente rimarrà nella storia, data l'assenza di caratteristiche che possano elevarlo dalla media dei suoi omologhi, pur non essendo un biopic, come ad esempio Alì (Mann 2001) o il meno riuscito Pelè (Zimbalist 2016), sceglie comunque di privilegiare il punto di vista di Borg - la produzione è svedese, danese e finlandese -, lasciando a McEnroe il ruolo di un semplice sparring partner dell'eroe scandinavo. Non è forse un caso che i due ex tennisti si siano espressi in maniera diametralmente opposta rispetto al film: lo svedese ha ringraziato Janus Metz Pedersen, mentre lo statunitense ha confermato che non è mai stato realizzato un buon film sul loro sport.
Il risultato finale è sicuramente piacevole e mette voglia di rivedere quella magnifica partita (v. sintesi), ma a parte questo, bisogna concordare con John McEnroe, poiché la pellicola dal punto di vista cinematografico non fornisce molti motivi di interesse.
Una regia piuttosto piatta in cui fanno eccezione una bella inquadratura iniziale, che mostra Borg esercitarsi sulla ringhiera di un terrazzo del principato di Monaco, che occupa l'intera ampiezza dello schermo, e qualche ripresa dall'alto del terreno di gioco durante le partite; una sceneggiatura che non regala battute degne di rilievo. Non risulta brillante nemmeno la scelta dell'esergo iniziale, una banale metafora tra una partita di tennis e la vita tratta dall'autobiografia di Andrè Agassi, Open (2011).
La parte dedicata alla finale, con gli attori che riproducono gli scambi tra i due tennisti, non solo fa rimpiangere il mancato ricorso ai filmati d'epoca che avrebbero arricchito la pellicola, ma restituisce allo spettatore anche quella sensazione di scarso realismo che ad esempio caratterizzava un film come L'altro uomo (Hitchcock 1951), dove però la partita di tennis era "solo" una sequenza finalizzata ad aumentare la tensione all'interno del thriller e non come in questo caso, dove sono essere stesse il centro della vicenda.
Borg-McEnroe è soprattutto un esercizio di stile sul montaggio alternato: ad ogni momento vissuto da Björn Borg, interpretato dallo svedese Sverrir Gudnason, fa da contraltare il corrispettivo di John McEnroe, a cui presta il volto un bravo Shia LaBeouf che, insieme a Stellan Skarsgård, nei panni dell'allenatore del tennista svedese, Lennart Bergelin, è indubbiamente il nome più altisonante del cast. Il contrasto tra i due personaggi così diversi viene, se possibile, acuito dal montaggio, che ci mostra Björn silenzioso, maniacale, con una vita ai limiti dell'ascesi, in equilibrio con la sua compagna che sta per sposare, e John come un continuo fracasso, single, pronto agli eccessi, noncurante della dieta, festaiolo e ben più socievole. Anche le loro infanzie sono agli antipodi: proveniente da una classe media il primo, è un bambino - interpretato da Leo Borg, il vero figlio del campione - che sfoga in campo le proprie frustrazioni con intemperanze che gli costano persino l'espulsione dal circolo che frequenta, con tanto di ramanzina classista che deve subire insieme alla madre ("il tennis non è come gli altri sport, non è adatto a tutti i ceti sociali"); di famiglia agiata il secondo, bambino con ottimi risultati scolastici che il padre ostenta davanti agli amici. Fatalmente i loro temperamenti si invertiranno una volta cresciuti: compresso e algido Borg, ormai trasformato in una macchina priva di emozioni; espansivo, furente e iracondo McEnroe, temperamento che un poster del suo sponsor ricordato nel film riassunse con lo slogan cinefilo Rebel with a cause (il titolo originale di Gioventù bruciata è Rebel without a cause - Kazan 1955).
Il poster Nike con John McEnroe
Tutta la pressione è per Borg, che ha già vinto quattro volte il torneo, ma vive nella fondata certezza che, qualora perdesse, "nessuno ricorderà che ho vinto quattro Wimbledon". Si scontra con il suo allenatore, con la fidanzata, la tennista rumena Mariana Simionescu (Tuva Novotny), fatica a dormire, patisce lo stress che combatte attraverso pratiche rassicuranti e ossessive, che la sceneggiatura fa riassumere al collega Vitas Gerulaitis (Robert Emms): in campo non pesta mai la riga di fondo; per il torneo di Londra affitta sempre la stessa auto e la stessa stanza d'albergo, che mantiene fredda per abbassare le pulsazioni a 50 al minuto.
Borg non parla quasi mai, il suo splendido corpo parla per lui: un Cristo laico, più biondo che mai e che, come quello evangelico, si sente abbandonato a se stesso. Se si volesse pensare ad un personaggio vicino al tennista svedese in questo film la scelta ricadrebbe indubbiamente sul Gesù-Defoe di Scorsese ne L'ultima tentazione di Cristo (1988), massimo interprete della solitudine dell'eroe. Questo continuo stress, che non prevede la possibilità di una sconfitta, dodici mesi dopo avrebbe messo fine alla carriera di Björn Borg, dopo undici anni di successi ma a soli 26 anni d'età. L'amicizia con McEnroe, invece, è durata fino ad oggi...

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