domenica 26 marzo 2017

Il mondo dei robot (Crichton 1973)

Impossibile oggi guardare il primo film da regista di Michael Crichton senza confrontarlo con la serie tv omonima, Westworld (questo il titolo originale anche della pellicola), di cui finora è andata in onda la prima stagione (2016).
La produzione HBO, decisamente più complessa e dettagliata del film, peraltro, è solo l'ultimo tentativo di serializzare il soggetto originale, che ebbe un seguito nel 1976 con Futureworld - 2000 anni nel futuro (Heffron), e fu già ampliato in cinque puntate nel 1980 con la miniserie Alle soglie del futuro - Beyond Westworld.

L'idea crichtoniana è quella di un futuro distopico non troppo lontano (siamo nel 2000), in cui la tecnologia è avanzata al punto da garantire la realizzazione di androidi praticamente identici agli uomini, rispetto ai quali presentano solo dei lievi difetti alle mani, ancora non perfettamente riuscite.
Tale possibilità ha generato la creazione di Delos, un parco dei divertimenti abitato da robot umanizzati, in cui i visitatori possono decidere di vivere alcuni giorni scegliendo tra diversi scenari storici, quelli che in originale prendono il nome di Romanworld, Medievalworld e Westernworld, e che nell'edizione italiana sono state tradotte in Romamunda, Medievonia e Westerlandia.
Chi arriva nel parco, il cui slogan è "Delos, la vacanza del 2000 oggi", può tutto (non a caso il sottotitolo moralistico dell'edizone italiana è "dove tutto è concesso"), persino uccidere gli altri abitanti, con la certezza che il servizio di manutenzione, che interviene nottetempo (nella serie del 2016, invece, gli "autori" possono fermare l'azione per far intervenire gli inservienti in qualunque momento del giorno), riparerà gli androidi e gli darà nuova vita.
Tutto il sistema, naturalmente, si basa sul totale controllo dei robot da parte di chi dirige il parco, ma la continua corsa alla perfezione tecnologica porterà gli androidi ad essere sempre più simili agli uomini, anche nella volontà di ribellarsi...
Un tema, quello della ribellione delle macchine, da sempre alla base della letteratura fantascientifica che ha portato a capolavori cinematografici del calibro di Metropolis (Lang 1927) o dello stesso 2001. Odissea nello spazio (Kubrick 1968).
L'idea più specifica di androidi così realistici da confondersi con gli umani e senzienti al punto da non accettare di essere schiavi dei propri creatori, invece, proprio pochi anni prima, con Il cacciatore di androidi di Philip Dick (1968), aveva visto nascere quello che sarebbe stato il soggetto migliore trasposto al cinema, ma per quello bisognava aspettare il 1982 e il capolavoro di Ridley Scott, Blade Runner. Prima, a livello decisamente inferiore, e con una sensibilità più simile all'immaginario letterario di Isaac Asimov, in cui la separazione uomo-macchina resta sempre più netta e manicheista rispetto a quella di Dick, ci fu il film di Crichton.
La vicenda segue il gruppo di visitatori sin dal loro arrivo al parco, dove naturalmente tra i tre mondi a disposizione i personaggi principali, l'incerto Peter (Richard Benjamin) e il cinico John (James Brolin), scelgono quello più statunitense di tutti, il west nel 1880.
La ricostruzione storica è molto approssimativa e vivere pienamente lo spirito dell'epoca, perlopiù significa risolvere ogni minimo contrasto con l'uso della pistola e divertirsi facendo sesso con le prostitute dei saloon, dato che, come dice John, "le macchine sono al servizio dell'uomo" e che, rispetto al realismo di quel luogo, che lascia esterrefatto Peter, "paghi anche per crederci".
Gli altri due mondi sono davvero mal sviluppati e all'insegna dei luoghi comuni, cosicché il regno dell'antica Roma si limita ad un un giardino con fontane, sulla cui balaustra compare il famoso busto di Caracalla dei Musei Vaticani; mentre per quello medievale la semplificazione è ancora peggiore e ciò che emerge è una società castellana in cui a farla da padrone sono le infedeltà della regina consumate con uno dei visitatori.
La ribellione delle macchine, che iniziano a non seguire più il copione, prende il via con un serpente-robot che morde John. Da quel momento in poi la situazione degenererà...

Gli attori non brillano e anche la presenza del divo Yul Brynner, che interpreta il pistolero silenzioso, antagonista di Peter e John, usando gli stessi abiti di scena indossati per I magnifici sette (Sturges 1960), appare stanca e da viale del tramonto. Nel cast, a titolo di curiosità, compare con una piccola parte tra i visitatori, Dick Van Patten, per gran parte del pubblico il papà dell'indimenticata Famiglia Bradford televisiva (1977-81).
Il film, peraltro, mostra i segni del tempo: vederlo oggi significa notare soprattutto i contrasti tra il futuribile eccessivo degli androidi così vicini all'uomo o di armi dotate di un "congegno sensorio" che non permette di sparare su esseri con temperatura umana, e i molti dettagli che invece appaiono arcaici, come computer che occupano intere sale e che funzionano con grossi nastri anni '70. Tra questi ultimi restano un cult le scene in soggettiva dello stesso pistolero, che vede una realtà fotografata con enormi pixel, anche quando, ustionato, continua a camminare, sì, proprio come farà il Terminator di James Cameron (1985)...

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