lunedì 12 dicembre 2016

È solo la fine del mondo (Dolan 2016)

Xavier Dolan gioca con i volti dei personaggi su piani in profondità e sulla loro messa a fuoco; in una delle scene in cui gli riesce meglio vediamo tre personaggi in un'inquadratura e due nel controcampo, cioè l'intero cast di questo bellissimo Juste la fin du monde, che qua e là comunque, in pieno stile Dolan, trova lo spazio per qualche inserto da videoclip, che stempera l'enorme impatto emozionale del film. E poi gli basta una telefonata del protagonista, ripreso di spalle davanti ad una finestra smerigliata che rende tutto indefinito, per dimostrare le sue straordinarie capacità registiche...

Difficile fare molto altro in una pellicola che costituisce l'adattamento di una pièce teatrale, l'omonima opera di Jean-Luc Lagarce, qui ambientata "da qualche parte, un po' di tempo fa", con quel senso di indeterminatezza già presente in Mommy (2014).
Pur se la regia non può sbizzarrirsi al massimo, quello che  riesce a Dolan è sensazionale, poiché la sua mdp scava nei personaggi e nelle dinamiche relazionali di una famiglia per tirarne fuori i sentimenti più intimi. In qualche modo è come se Almodovar incontrasse Chabrol, in una miscela esplosiva che ai comportamenti degli algidi personaggi altoborghesi del regista francese sostituisce le passioni e le reazioni di quelli del cineasta spagnolo sull'orlo di una crisi di nervi. Ed è ancora capolavoro!
Il trentaquattrenne Louis (Gaspard Ulliel), dopo aver lasciato la casa di famiglia dodici anni prima, decide di tornare per annunciare una terribile notizia sulla propria salute, come ci racconta in apertura la sua voce narrante. Lo aspettano la madre Martine (Nathalie Baye), la sorella minore Suzanne (Lea Seydoux), il fratello maggiore Antoine (Vincent Cassel) e la moglie, Catherine (Marion Cotillard), che Louis non ha mai conosciuto prima, ma con la quale trova un'istantanea empatia che va ben oltre la farraginosa intesa con gli altri familiari. 
La giornata, infatti, si rivela ancora più difficile di quanto Louis potesse immaginare, in un susseguirsi di rancori, responsabilità assunte o evitate che hanno acuito le distanze tra fratelli, e il tanto tempo passato dalla sua "fuga", durante il quale Antoine si è sposato e ha avuto due figli, Suzanne è diventata una donna e Martine ha iniziato ad invecchiare.
Tutto è occasione di scontro, i rapporti sono sclerotizzati e basta davvero pochissimo per accendere una miccia: dai racconti di Catherine che parla al cognato dei due nipoti che non ha mai visto, facendo infuriare un sempre irrequieto Antoine, che urla anche quando vede nelle parole di Suzanne la volontà di mettersi in mostra con Louis... La netta sensazione è che Antoine abbia molto da tirar fuori, ad ogni livello, sull'intera scala delle emozioni e dei sentimenti e che in fondo non si senta capito, tanto da passare in pochi secondi da accusatore a vittima.
Tante le bellissime battute disseminate nella sceneggiatura e concentrate soprattutto nelle scene in cui Louis riuscirà, per pochi minuti alla volta, a trovarsi a tu per tu con ognuno dei familiari, in quei momenti che si riveleranno essere i più forti e indimenticabili del film.
Martine, interpretata da un'eccezionale Nathalie Baye, non può non far pensare alla "mamma-feticcio" di Dolan impersonata da Anne Dorval e, come lei, rimasta sola (ancora una volta la figura paterna è assente in un film del giovane regista canadese) alterna gioia, sorrisi e cupezza, battute adolescenziali e frasi di grande consapevolezza in cui si dimostra attenta ai sentimenti di tutti i componenti del nucleo familiare. Con affettuosa ironia, parlando di Louis, dice che "ama la moda e i colori, come tutti i gay"; riferendosi al proprio rapporto con il fumo, "ho smesso di smettere, mi sentivo una cogliona". L'amore per il figlio e il dispiacere per la sua lontananza vengono a galla soprattutto durante il loro dialogo lontano da tutti, in cui rivela "abbiamo paura del tempo che ci concedi"; giustifica gli altri figli che soffrono come lei per lo stesso motivo anche se in maniere differenti - "loro saranno bruschi" -; critica Louis perché prevede che lui concederà poche parole, come fa sempre con le sue cartoline, principale mezzo di comunicazione utilizzato con i familiari. E all'obiezione di Louis, che prova a ricordarle di non essere nemmeno il primogenito, la risposta di Martine è davvero ficcante, poiché gli spiega che non si è "l'uomo di casa" solo per età, ma per successo, bellezza, coraggio, talento... è per tutto questo che a suo avviso deve essere lui ad incoraggiare i fratelli, che cercano il suo consenso per le loro vite. Lei, come madre, non può che chiudere con un inevitabile "io non ti capisco, ma ti voglio bene... e questo nessuno me lo può levare! Appuntatela questa, la metti in una pièce": saggezza, amore e amara ironia in un'unica splendida frase, nella quale è contenuto anche l'unico accenno alla professione di Louis.
Rispetto a Suzanne vuole conoscere la giovane donna che è diventata, si sente colpevole di non averla vista crescere, ma è consapevole e orgoglioso di rappresentare per lei un punto di riferimento. In fondo, come dice Antoine, è lui che si è perso questi anni...
Antoine è il più duro con Louis o forse solo il più ferito e quello che ha digerito peggio il suo allontanamento. Istintivo, violento a parole e forse non solo, a giudicare dalle nocche screpolate, è sempre pronto a colpire chiunque per poi mettersi subito sulla difensiva. Un'irascibilità la cui vittima prediletta sembra essere la moglie Catherine, dal temperamento dimesso, abituata a subire i suoi sfoghi e a calmarlo come può. Anche quando vuole scherzare e ridere, Antoine non riesce a far di meglio che raccontare la storia di una ragazza down, con una grettezza che disturba sia Louis che Catherine. Non riesce proprio a comprendere perché il fratello voglia andare a vedere la vecchia casa in cui abitavano, oggi abbandonata, e per questo prima gli dà dello "snob del cazzo" e subito dopo gli fa il verso cercando di portare al parossismo tristezza e felicità: "volevo andare ad Auschwitz a farmi una sega e a scrivere una poesia"!
Per loro l'occasione di un tete a tete è data da un giro in auto per andare a comprare le sigarette, in cui l'interpretazione di Cassell dà il meglio di sé: Antoine vorrebbe lasciarsi andare, ma è compresso, una bomba a orologeria che esplode contro la malinconia, un sentimento che cerca di rifuggire in ogni modo, ma che i discorsi pieni di sensibilità del fratello rischiano di far prevalere anche in lui. Antoine si sente investito da tutti di un compito che non è in grado di sostenere - "io sto zitto perché la gente mi lasci in pace" -, un compito che avrebbe voluto quantomeno condividere con Louis. Inoltre, incalza il fratello sul suo viaggio e Louis, che non abita poi così lontano, prorompe in un "non è mica la fine del mondo venire qui". Le sue parole si limitano a minimizzare la distanza fisica tra i due luoghi, poi ci sono le persone e le loro indoli, la difficoltà dei rapporti interpersonali e i tanti conflitti taciuti ed emersi, componenti che contraddicono quella frase e giustificano invece il titolo del film.
Tutto deflagrerà nel dolce pomeridiano, momento in cui Louis proverà ad incitare i fratelli, a chiedergli di raggiungerlo quando vogliono, a dichiarare di essersi pentito di aver perso così tanto tempo che avrebbero potuto passare più spesso insieme.
È questo il modo di assecondare le richieste della madre o sono le reali convinzioni di Louis? Tutto lascia propendere per la prima opzione, anche perché la presenza di un uccellino che entra in casa proprio al rintocco dell'orologio a cucù (si veda Amour - Haneke 2012), sembra essere la perfetta metafora di una libertà conquistata ma mai a pieno, poiché le radici riportano al luogo da cui ci si è allontanati, con questioni irrisolte e sensi di colpa, soprattutto nei momenti più difficili della propria esistenza, e che a fare da sottofondo alla sequenza ci sia Natural Blues di Moby (1999) appare una conferma di questa interpretazione.
Ma la musica nei film di Dolan è spesso soprattutto liberatoria ed È solo la fine del mondo non fa eccezione, come dimostra il momento in cui Martine e Suzanne ballano la coinvolgente Dragostea din tei (O Zone 2004), che diventa improvvisamente anche la colonna sonora del flashback di Louis che si rivede con il fratello nei picnic domenicali ricordati dalla madre come esempi di un passato familiare felice.
Le poche narrazioni analettiche hanno il merito di spezzare l'inevitabile impostazione teatrale del film: tra queste rientra anche quella in cui Louis ricorda la sua prima relazione sessuale con Pierre, che non vede da anni, in una sequenza in cui Dolan inserisce anche il dipinto The Daydream del preraffaellita Dante Gabriele Rossetti (1880, Londra, V & A). 
Un film bellissimo, un sacrosanto premio della giuria a Cannes 2016, la candidatura come rappresentante del Canada agli Oscar,  un ottimo Dolan, come sempre!

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