lunedì 8 dicembre 2014

Moon (Jones 2009)

Moon è il primo lungometraggio di Duncan Jones, nome con cui è meglio noto il figlio del celebre David Bowie, Zowie, autore di una sorta di thriller psico-fantascientifico fondato sul prolificissimo - cinematograficamente parlando e non solo - tema del doppio.
 
Leggi la trama:
Sam Bell è un astronauta sotto contratto con la Lunar Industries per un programma di recupero dell'energia che lo tiene lontano dalla Terra da quasi tre anni. Sulla Luna vive da solo in una base in cui a fargli compagnia c'è solo Gerty, un robot che lo assiste in ogni attività quotidiana, con una voce suadente che non può non far pensare ad Hal 9000 di 2001 Odissea nello spazio (Kubrick 1969), il film a cui inevitabilmente va la memoria anche quando Sam si collega in videotelefonata con la moglie Tess che gli mostra la loro bimba Eve.
Un giorno Sam esce dalla base per il suo consueto lavoro sul suolo lunare e rimane vittima di un incidente, un evento dopo il quale scoprirà di non essere completamente solo, anche se chi troverà al rientro nella base è un uomo davvero troppo simile a se stesso. Dopo i primi duri scontri, in cui prenderanno sempre più coscienza della loro assurda condizione, i due passeggeri inizieranno ad allearsi, mettendo Gerty alle strette, soprattutto dopo aver scoperto che in un'area segreta della base spaziale esistono celle frigorifere in cui sono conservati altri cloni di Sam Rockwell. Diverrà tutto più terribile quando, poco prima dell'arrivo di una nuova spedizione dalla Terra, uno dei due Sam riuscirà a mettersi in contatto con quella che ritiene essere la propria casa terrestre, scoprendo che ormai le cose sono cambiate: Tess è morta e Eve è un adolescente che, per dare maggiore informazioni allo sconosciuto in collegamento, è pronta a chiamare il padre nell'altra stanza...
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Il giovane regista britannico riesce a creare un'opera di forte impatto pur avendo a disposizione un budget decisamente ridotto (ogni riferimento al recente e tanto dispendioso Interstellar di Nolan non è certo casuale): di fatto si tratta di un film con un unico attore, il bravissimo Sam Rockwell, eccezion fatta per la voce prestata a Gerty da Kevin Spacey (nella versione italiana doppiato dal consueto Roberto Pedicini). Dimenticate, quindi, in una pellicola come questa, effetti speciali di alto profilo: per averne la conferma basta dare un'occhiata alle espressioni di Gerty, comunicate da uno schermo con il vecchio smile anni '80, antenato delle odierne emoticon..
Tutto il film, quindi, è nell'ottimo soggetto, nella buona sceneggiatura e nell'intricato sviluppo di una storia che, privata dell'azione, si rivela una valida alternativa a quella che potremmo definire una fantascienza "ortodossa". 
Sam verrà messo alla prova dal confronto con l'altro se stesso, che minerà le sue certezze: il secondo Sam, infatti, oltre ad avere le sue stesse fattezze, ha anche i suoi stessi ricordi, ma appare più energico e prestante - fa continuamente ginnastica -, lasciando supporre che i tre anni di contratto per i cloni siano l'effettiva durata della loro efficienza prima di deperire (negli ultimi giorni si ammalano, perdono denti, capelli, ecc.), e che l'ibernazione a cui vengono sottoposti non sia la preparazione al viaggio di tre giorni che li farà tornare sulla Terra, ma la  loro effettiva dismissione.
In questo schema profondamente cinico, di quello che si presenta come una soluzione al problema della forza-lavoro per un assurdo compito in solitaria sulla Luna, fa da clamoroso contrasto l'aspetto sentimentale dell'essere clone, con le debolezze e le irritazioni che sconfinano nello scontro fisico tra i due uomini (?) e che sembra mutuato dai replicanti di Blade Runner (Scott 1982), caratterizzati dalle medesime fragilità umane e dalla stessa difficoltà di arrendersi all'idea di essere stati creati con una memoria installata del passato e non realmente vissuta.
In una condizione così tragica e priva di speranza, sembra infine dirci Duncan Jones, un eventuale ritorno sulla Terra di uno dei cloni non farebbe altro che generare la repulsione e il disprezzo dell'opinione pubblica, che li tratterebbe come delle persone mentalmente instabili e come degli immigrati clandestini, in un mondo in cui esserlo significherebbe provenire ormai da altri pianeti: l'atteggiamento umano, di fatto, non cambierebbe, ma sarebbe solo maggiormente ampliato... 

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