lunedì 6 ottobre 2025

Paternal leave (Jung 2025)

Presentato al festival di Berlino nella sezione “Generation”, il primo lungometraggio di Alissa Jung è una coproduzione italo-tedesca con tanti pregi, a partire dal rigore della messa in scena, pienamente europea, e da una scrittura asciutta, secca, essenziale. Una pellicola che racconta una storia di ricerca, di ricerca d'identità familiare e personale, di ricerca d'amore, di responsabilità genitoriale, laddove non sembra esserci mai stata. e che è giunto il momento di risvegliare (trailer). 
Immerso in un'atmosfera malinconica, che tanto ricorda il mare d'inverno di film come La prima notte di quiete (Zurlini 1972), Paternal leave è una pellicola intima, profonda, in grado di commuovere a patto di entrare completamente in empatia con i suoi personaggi, i cui interpreti principali rappresentano l'altro grande pregio di questa opera. Brillano sia la giovanissima Juli Grabenhenrich, sia il consueto bravissimo Luca Marinelli, da anni compagno di Jung, conosciuta sul set della miniserie televisiva Maria di Nazaret (Campiotti 2012), in cui i due erano Maria e Giuseppe.
Leona, per tutti Leo (Juli Grabenhenrich), è una quindicenne che parte dalla Germania - Alissa Jung è nata a Münster - per rintracciare il padre, Paolo (Luca Marinelli), maestro di surf a Marina Romea, piccolo centro sul litorale ravennate, dove nel 2008 ha avuto una breve storia estiva con Anna, da cui è nata Leo.
La ragazza, che da bambina a scuola diceva di aver perso suo padre, lo conosce solo dai pochi racconti della madre e per qualche filmato su youtube che lo vede cavalcare le onde con i suoi allievi.
Paolo e Anna hanno fatto una scelta diversa, non condivisa, lui per nulla pronto alla paternità, lei invece disposta a farlo in maniera autonomia e senza alcun tipo di contributo fisico, emotivo, economico da parte di Paolo, che ha continuato a vivere - un po' incredibilmente - senza sapere nulla della figlia, pur ammettendo di non aver avuto più storie per una decina di anni dopo quell'esperienza traumatica.
L'uomo, nato nel 1987, peraltro, ora ha una figlia di 5-6 anni, Emilia, avuta dall'attuale compagna, con cui le cose non sembrano andare molto bene. 
L'arrivo di Leo sconvolge il già precario equilibrio di Paolo, che non sa come rapportarsi all'adolescente, d'altronde il suo atteggiamento è stato sempre quello di ignorarne l'esistenza: non ha mai chiesto notizie alla madre e nessuno intorno a lui ha mai saputo di lei. Alle sue domande, turbato, riesce a rispondere solo "non si conosce una persona intervistandola"; colpendo nel segno, invece, la ragazza gli rinfaccia "pare che a te piaccia dimenticarle [le cose]".
Eppure Leo si avvicina al padre lentamente, e in silenzio si affeziona anche a Emilia, oltre a conoscere Edoardo, un ragazzo poco più grande di lei nel quale trova amicizia ed empatia. È lui ad insegnarle che in Italia tutto ruota intorno a quello [al cazzo] e alla religione" e a condividere con lei le sue difficoltà nell'affermare la propria identità omosessuale. È fatale, quindi, che il loro rapporto trovi nello scontro con i rispettivi padri un territorio comune.
Eppure piano piano, nonostante queste premesse Leo e Paolo troveranno qualcosa di simile a un'intesa.
Diversi i momenti lirici di quest'opera prima. Sul molo di Marina Romea, per esempio, un uomo canta Anna e Marco di Lucio Dalla. Siamo in Emilia Romagna e il cantante bolognese è un nume tutelare, ma il testo della canzone fa istintivamente pensare a quello che sarebbe potuto essere tra Anna e Paolo se fossero rimasti insieme, magari prima in Germania e poi in Italia: "qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano".
E così Leo e Paolo, che camminano di spalle uno di fianco all'altro, scoprendosi con un'andatura simile dettata dal comune DNA, fanno pensare anche a qualcosa di clamorosamente cinefilo: Charlie Chaplin e Jackie Coogan ne Il monello (1921).

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