mercoledì 27 marzo 2024

Ferrari (Mann 2023)

Esistono i film belli e i film brutti, e Ferrari non appartiene al primo gruppo.
Eppure il progetto partiva con un'ottima prospettiva, grazie al nome del regista, quel Michael Mann, figlio d'arte, autore di ottimi film in carriera, su tutti L'ultimo dei Mohicani (1992), Heat - La sfida (1995) e principalmente Alì (2001), biopic sportivo ben riuscito che lasciava ben sperare anche per questo su Enzo Ferrari. E poi i nomi dei due attori protagonisti, Adam Driver, tra i più grandi interpreti maschili nell'attuale panorama cinematografico mondiale (con buona pace della provinciale e autarchica polemica di Pierfrancesco Favino a riguardo, leggi), e Penelope Cruz, anche lei raramente sottotono (trailer).
Purtroppo invece, la pellicola delude molto, non regala alcun momento indimenticabile e il suo interesse, escludendo le buone prove degli attori, è relegato al feticismo storico-edonistico delle auto d'epoca e al riconoscimento delle location.
Fatta eccezione per un inizio che unisce filmati di gare anni '20, sui quali Mann monta dei primi piani con Adam Driver alla guida (inevitabile gioco di parole costante in questo film!), e un carrello in avanti in un corridoio casalingo, stile La famiglia (Scola 1987) per intenderci, la pellicola su Enzo Ferrari, icona del Novecento italiano, si riduce a una serie di scene ordinate. Queste, peraltro, appaiono sempre troppo spiegate dai personaggi e sono perlopiù prive di sussulti di regia e di scrittura, se si escludono - e lo farei - un paio di incidenti filmati in maniera spettacolarizzante che rendono quei momenti più vicini a un film Marvel che a una storia realistica, come si propone di essere questa.
Lina Lardi ed Enzo Ferrari nel film
Complice anche il romanzo di Brock Yates adattato per il cinema (Enzo Ferrari: The Man and The Machine, 2019), l'Italia è raccontata come una caricatura di se stessa, tra luoghi comuni e cliché. Ferrari (Adam Driver) è un uomo determinato, che vuole veder vincere le sue automobili per vedere osannato il suo nome, proprio quel nome che suo figlio, Piero, nato da una relazione extraconiugale con Lina, non può avere. Non a caso, la frase centrale del suo discorso ai piloti, con i quali definisce la loro passione comune una "passione letale", è "se salite su una delle mie auto... ci salite per vincere".
Enzo Ferrari e Laura Garello nel film
Siamo nel 1957, dieci anni dopo la nascita dell'azienda Ferrari, e l'equilibrismo di Enzo tra l'amore di un tempo, la moglie Laura Garello (Penelope Cruz), ormai per lui poco pià di una socia d'affari, e l'amore attuale, Lina Lardi (Shailene Woodley), diventa il centro della storia, tra segreti, scenate di gelosia, agnizioni e contrasti esacerbati in un'epoca i cui l'impossibilità di arrivare al divorzio non faceva altro che peggiorare le cose. Non siamo, però, negli anni '60-'70, e sottolineare così tanto questo aspetto non ha più il senso che aveva nei film di allora, come Divorzio all'italianaAlfredo Alfredo (Germi 1961, 1972) o I fuorilegge del matrimonio (Orsini-Taviani 1963), e risulta più che altro un espediente dettato dalla mancanza di argomenti.
Ferrari e i suoi 5 piloti della Mille Miglia del 1957
Ma non c'è solo l'amore passionale e furioso da raccontare, poiché non può mancare la cena in trattoria (Il Cavallino, a Maranello), tra pasta e prelibatezze emiliane alla presenza di tanti piloti; l'ironia di Enzo Ferrari dal barbiere sul Modena calcio, che perde e rende tristi i suoi dipendenti; gli scontri tra Enzo e la madre, che si rammarica di aver perso il figlio "sbagliato"; Enzo che allontana alcuni giornalisti dalla conferenza stampa per l'inizio della Mille miglia, rei di averlo paragonato a Saturno, poiché mangia i propri figli (i suoi piloti), ma anche che crea vedove. E poi, perché non inserire l'opera lirica per aumentare il tono melodrammatico dell'insieme? E così, durante La Traviata, ascoltiamo l'aria "Parigi, o cara", e tutti i nodi della trama vengono al pettine attraverso un montaggio alternato ricco di malinconia in cui sia Adalgisa Ferrari che Laura Garello pensano ai momenti felici con i propri figli morti. 
Allo stesso modo, il riferimento all'arte italiana è lasciato a una battuta infelice : Enzo Ferrari ammira una delle nuove automobili prodotte e da dietro commenta "ha un culo perfetto come una scultura di Canova".
Tra i tanti cliché, c'è anche quello tipico del film sportivo, rappresentato dal discorso motivazionale di Ferrari ai suoi piloti, a cui "manca dedizione", e che invece dovrebbero ricordare che "se salite su una delle mie auto, ci salite per vincere". Proprio in quel frangente, peraltro, il protagonista parla della passione per la guida come di "una gioia terribile", concetto che non a caso divenne il titolo dell'autobiografia di Enzo Ferrari (Le mie gioie terribili. Storia della mia vita, Milano, Mondadori,1962).
Tra le sequenze mal riuscite, poi, un posto di rilievo spetta di diritto a quella in cui "il Patriarca", uno dei tanti soprannomi con cui Enzo era noto, va a trovare al cimitero suo figlio Alfredo, detto Dino, lo stesso nome del fratello morto in guerra nel 1916. È un rituale quotidiano, in cui il patron della Ferrari parla con il ragazzo scomparso nel 1956, appena ventiquattrenne, e che diventa un'occasione per la sceneggiatura di infilarci dentro degli "spiegoni" per gli spettatori, evitando di girare flashback che avrebbero potuto dare dinamismo a un film che ne ha davvero poco. 
Enzo Ferrari, nella sua abilità nel giostrare le vite altrui a proprio vantaggio, riesce anche ad ottenere un ingente sostegno economico dalla FIAT, facendo "ingelosire" l'avvocato Giovanni Agnelli (Tommaso Baili) attraverso un finto scoop 
giornalistico in cui paventa una trattativa con Henry Ford.
Come anticipato, anche le spettacolari sequenze degli incidenti mortali non convincono. Eugenio Castellotti muore in pista il 14 marzo 1957, durante una sessione di prove, davanti allo sguardo attonito della fidanzata, Cecilia Manzini, proprio mentre Ferrari sta rifiutando l'autocandidatura di Alfonso de Portago (Gabriel Leone), poi subito ingaggiato. Il pilota viene sbalzato e lo vediamo volare fuori dall'auto, mentre questa si schianta con un'altrettanto irreale traiettoria contro il muro di cinta dell'autodromo.
Lo stesso vale per la morte di de Portago durante la Mille miglia del 1957, che causò la fine di questa manifestazione: la tragedia di Guidizzolo del 12 maggio in cui trovarono la morte due piloti della Ferrari, il campione spagnolo e il co-pilota statunitense Edmund Gurner Nelson, ma anche nove spettatori, dei quali cinque bambini. La pellicola anche qui mostra l'incidente in maniera ben poco realistica e più simile all'estetica di un videogioco, poi si sofferma sui corpi smembrati delle persone rimaste uccise.  
Il "Bacio della morte" nel film e nella famosa foto
Delle ultime ore di vita di de Portago, il film riproduce anche quello che passò alla storia, in virtù del famoso scatto fotografico del 12 maggio 1957 poi uscito su Life, come "il bacio della morte" tra lui e la fidanzata Linda Christian, attrice ed ex moglie di Tyrone Power, da cui aveva avuto Romina. Purtroppo anche in questo frangente l'approssimazione è di casa, cosicché l'abito a pois di Linda diventa un vestito a fiori, ma soprattutto il momento, avvenuto a Roma, viene girato davanti alla facciata del Palazzo Ducale di Modena.
Piero Taruffi-Dempsey a bordo della Ferrari 315S
Le auto, si diceva, sono uno dei fiori all'occhiello del film, e così vediamo Enzo Ferrari spostarsi dalla casa acquistata per Lina, a Castelvetro, nella campagna modenese, con una Peugeot 403 grigia, mentre Laura, accompagnata dall'autista, si muove con una Giulietta Alfa Romeo, la stessa con cui giungerà nello stesso luogo scoprendo l'esistenza di un bambino grazie a un giocattolo lasciato fuori dalla casa... naturalmente una piccola macchina da corsa in metallo, griffata Ferrari.
Ferrari con Linda Christian e de Portago
Tra le tante auto del Cavallino Rampante, invece, spicca la Ferrari 250 Testa Rossa di colore giallo, che la sceneggiatura dice appartenere a Re Hussein di Giordania, e poi la Ferrari 250 GT Berlinetta Tour de France, ma soprattutto quelle da gara, dalle 315S e 335S per la Mille Miglia (Piero Taruffi, interpretato da Patrick Dempsey, vinse guidando la prima) alla monoposto del 1957, la Ferrari 801. Infine, le avversarie: le Maserati 250F e la 450S, nonché la Mercedes 300 SL.
Una curiosità: nel film compare anche una stella indiscussa del cinema italiano a quattro ruote, la mitica Lancia Aurelia B50 Cabriolet, qui auto storica di Angelo Maserati, ma grande protagonista de Il sorpasso di Dino Risi (1961), quando a guidarla era Vittorio Gassman.
La colonna sonora, oltre a brani originali e d'atmosfera composti da Daniel Pemberton (ascolta), contiene anche un paio di canzoni che aprono e chiudono il film, rimandando al suo tempo d'ambientazione. O meglio, la prima, Febbre della jungla, venne incisa dall'Orchestra Jazz Dino Olivieri nel 1935, ma fa da sfondo alla sequenza iniziale già citata, che vede il giovane Enzo Ferrari ancora pilota, carriera che interruppe nel 1932, anno di nascita del figlio Dino. La seconda, invece, sui titoli di coda, è Nel giardino del mio cuor (Jula De Palma), che fu una vera e propria hit nel 1957.
Tra le location, infine, la città di Modena è protagonista assoluta, con la Cattedrale, il suo campanile, la celebre Ghirlandina, con le auto della Mille miglia che passano davanti alla facciata romanica, tra i sacchi che delimitano la pista in pieno centro, di cui si riconoscono anche e il palazzo del Comune, la seicentesca chiesa del Voto, dopo Corso Duomo, ma anche via Cavour con uno dei portali con mascherone delle scuderie ducali, che poi confluisce in corso Canalgrande (dov'è la bottega del barbiere di Enzo Ferrari), piazza Roma con la facciata di Palazzo Ducale, largo Garibaldi con la Fontana dei Due Fiumi di Giuseppe Graziosi (1938) e il teatro Storchi.
Le scuderie ducali di Modena del XVII secolo (film e realtà)
C'è spazio anche per la cosiddetta "stazione piccola" di piazza Manzoni, che si vede nelle prime sequenze, l'ottocentesco Palazzo del Foro Boario, oltre ovviamente al cimitero monumentale di San Cataldo, dove Enzo e Laura vanno per la tomba di loro figlio Dino. Una menzione speciale per la chiesa di San Pietro apostolo, dove viene organizzata una messa per la scuderia Ferrari con tanto di omelia a carattere automobilistico, in uno dei rari casi in cui Mann rende un po' più articolata la sua regia, grazie a un montaggio alternato che vede cronometri in chiesa e in pista. Dell'abbazia benedettina viene mostrato anche il presbiterio, con le tre grandi tele nell'abside, ai lati La Trasfigurazione L'orazione nell'orto di Giovan Battista Ingoni (1528-1608); al centro Il martirio dei ss. Pietro e Paolo, copia del perduto dipinto di Nicolo dell'Abate realizzata da Francesco Stringa (1635-1709 ca.).
La partenza della Mille  Miglia a Brescia
Al di là di Modena, la partenza e l'arrivo della Mille Miglia in piazza Vittoria a Brescia (il percorso era Brescia-Roma-Brescia), dove vediamo bene il pulpito dell'arengario in pietra rosa di Tolmezzo realizzato nel 1932, mentre la sequenza nella campagna di Guidizzolo, in provincia di Mantova, dove avvenne l'incidente mortale di Alfonso de Portago, viene inscenata in parte in Abruzzo, tra Campo Imperatore, Assergi e la strada di Santo Stefano di Sessanio, cioè tra le montagne, mentre lo schianto della Ferrari 335S sugli spettatori è girato sul rettilineo della Strada della Vittoria a Novellara. L'altro spettacolare incidente, quello in cui perse la vita Castellotti, che avvenne  nell’aerautodromo di Modena - utilizzato prima che fosse realizzato quello di Fiorano Modenese nei pressi di Maranello -, è stato invece girato nel circuito di Morano Po a Pontestura, in provincia di Alessandria.
In fondo anche un film piuttosto banale e sciatto come questo ha i suoi ottimi motivi di interesse...

2 commenti:

  1. Nonostante il giudizio che hai dato, tra le cose interessanti che hai menzionato e la firma di Mann io prima o poi lo vorrei guardare sto film...

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  2. A me il film invece è piaciuto molto, anche se condivido le riserve sull'uso della CGI. Ma aldilà dei gusti personali voglio farti i complimenti per la recensione dettagliatissima e particolareggiata. La critica deve (dovrebbe) servire a questo: non tanto per farci sapere se il film è bello o brutto a seconda di chi scrive, ma fornire approfondimenti e spunti di discussione, oltre a un'analisi seria dell'opera. E la tua è una degli migliori critiche che ho letto al riguardo.

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