sabato 9 marzo 2024

La zona d'interesse (Glazer 2023)

Jonathan Glazer adatta per il cinema l'omonimo romanzo storico e psicologico dell'inglese Martin Louis Amis (2014) e analizza l'indifferenza del Male, mettendo la mdp all'interno della vita di chi ha vissuto dalla parte sbagliata come se niente fosse, dimostrando come potesse essere semplice quotidianità anche quella, raccontando la borghesia nella sua espressione peggiore.
Se si prova a pensare a qualcosa di paragonabile a La zona di interesse, la memoria va istintivamente a ripescare Il nastro bianco, capolavoro di Michael Haneke (2009): oggi l'analoga implacabile e disturbante analisi sociale, che definirei psico-entomologa, presente in queste pellicole, permette a tutti di avere un'accoppiata perfetta da mostrare a chi non sa cosa siano stati gli anni delle due guerre mondiali in Germania (trailer). 
La vita narrata da Glazer è quella di Rudolf Höss (Christian Friedel) e di sua moglie Hedwig (Sandra Hüller), con i loro quattro figli (nel 2013 Brigitte, ottantenne, parlò di quegli anni - leggi), inquilini di una casa con giardino e piscina, alloggio di servizio spettante a quello che fu il comandante del campo di sterminio più terribile del nazismo, Auschwitz, dal 1940 al 1943 e, poi, dal 1944 al 1945 (per chi volesse approfondire il tema, legga Rudolf Höss, Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico, pubblicato in Italia per Einaudi in varie edizioni, anche corredate di improtanti contributi di Primo Levi, ed. 1985, e di Alberto Moravia, ed. 1996).
I muri della villa e quelli del campo di concentramento sono confinanti, eppure tutto scorre normalmente, con i problemi di una famiglia che vive lontano da casa, ma che ha acquisito diritti e benefici a cui è difficile rinunciare. Hedwig dimostra proprio questo quando il marito le spiega che potrebbe essere trasferito altrove grazie al successo ottenuto nella direzione di quel campo e si infuria come qualsiasi moglie che, dopo aver seguito il marito per una lontana destinazione lavorativa, non vuole più tornare indietro.
Il regista ci mostra poco altro oltre la famiglia Höss, cui si unisce per alcuni giorni anche la suocera del militare e criminale nazista, anche lei felice per la posizione raggiunta dalla figlia, soprannominata ormai "la regina di Auschwitz", con la quale non esita a complimentarsi, "sei proprio caduta in piedi, figlia mia".
La presenza di alcuni ebrei che svolgono mansioni da servitori all'interno della casa, in una condizione di privilegio fatta pesare loro, è l'unico contatto visivo che abbiamo con l'altra metà di quel piccolo universo infernale, in cui anche vestiti, scarpe, pellicce passano dai detenuti alle famiglie dei funzionari nazisti. Questo senso di rivalsa nei confronti della ricchezza degli ebrei si fa ancora più evidente nei racconti della mamma di Hedwig, in passato collaboratrice domestica di una ricca famiglia ebraica, ancora invidiosa del loro arredamento e delle tende che per anni ha ammirato e su cui lamenta di non essere riuscita a mettere le mani nemmeno ora. 
Il cineasta londinese, in realtà, porta la sua mdp anche dentro Auschwitz, ma lo fa solo per pochi secondi e mostrandocelo oggi, come luogo di memoria, musealizzato, in cui gli addetti alle pulizie lavorano in quelle sale dominate da vetrate con oggetti, vestiti e scarpe delle vittime di allora.
Strameritati il gran premio della giuria ottenuto a Cannes e le cinque nomination agli Oscar, tra cui miglior film internazionale. Bravissimi i due interpreti principali e, soprattutto, Sandra Hüller nei panni di Hedwig, ma un posto d'onore meritano anche la fotografia di Łukasz Żal e le musiche di Mica Levi.
L'altro grande protagonista della pellicola, però, è indubbiamente il sonoro, cupo, agghiacciante e persistente per tutta la durata del film, un personaggio ingombrante che meriterebbe un saggio di Michel Chion, il più grande studioso del sonoro nel cinema. Fatta eccezione per il fumo, quello delle ciminiere che lo vomitano in cielo e quello sbuffante dei continui treni che arrivano in quella stazione senza ritorno, non vediamo nulla del campo, da cui lo sguardo degli Höss è escluso del tutto. A tal proposito raggela, come tante sequenze di questo film, il momento in cui Hedwig descrive a sua madre la ricchezza del giardino - la cui perfezione è degna di una scenografia di una pellicola di Lars Von Trier - che cura personalmente e di come abbia previsto la crescita di alcuni alberi proprio in quella direzione, per coprire le eventuali brutture. Pensare il futuro in quel posto e considerarlo un punto d'arrivo che, come già detto, non si vuole lasciare, perché comodo e di prestigio, rende tutto ancor più violento.
Il sole, le gite al lago, i picnic, le passeggiate nel bosco, i fiori, gli uccellini che cinguettano, il padre che fa il bagno con i figli in piena armonia (se non fosse per qualche osso umano che può capitare di vedere riaffiorare a galla) sono la serena quotidianità di quella follia, in cui i bambini riproducono con la bocca i rumori provenienti dal campo, giocano con i denti delle vittime e si vestono da giovani nazisti per emulare i grandi.
Gli adulti non sono quasi mai quelli da seguire se si vuole andare avanti, ma in questo caso tale affermazione assume un valore ben più ampio di quello letterale. Eppure a tratti sembrano umani, mostrando la sensibilità nell'amore per i fiori, anche se poi le ceneri del campo vengono utilizzate come fertilizzante, o la dolcezza con i figli ai quali Rudolf legge le fiabe prima del sonno: il passo che Glazer sceglie, però, è significativamente quello di Hansel e Gretel nel momento in cui uccidono la vecchia chiudendola nel forno...
Una vera e propria fabbrica del Male continua a produrre morte lì a un passo e, tra le sequenze più atroci e terrificanti per la loro algida normalità, segnalo la breve riunione tecnica in cui gli ingegneri spiegano, attraverso disegni e progetti, le innovazioni all'interno del campo per mettere in opera un sistema di rotazione che permetta di ottimizzare i "risultati" per uccidere più persone possibili. Su quei fogli si legge persino il nome dell'azienda, la J.A. Topf und Söhne di Erfurt, che dopo la guerra si riciclò nell'incenerimento di rifiuti, fino alla chiusura definitiva nel 1996.
Quel riunirsi per risolvere problemi "tecnici" dà i brividi e lo stesso avviene quando i direttori dei principali campi di sterminio nazisti si ritrovano per programmare la gestione di settecentomila ebrei ungheresi che arriveranno di lì a breve. Qualche conato di vomito, magari, segno di una breccia all'interno di quel vuoto assoluto, ma poi si torna in posizione eretta, come se nulla fosse...
Fatalmente, in questo panorama privo di speranza, le azioni che mirano al Bene e alla solidarietà sono condannate a essere virate in negativo, come ci mostra la mdp di Glazer che filma con telecamera termica il sogno ricorrente che mostra una bambina inserire mele nei cumuli di terra del campo.
La realtà però è lo schermo buio, quei rumori angoscianti e il cielo nero che sovrasta il giardino della villa nella locandina... eppure la storia si ripete senza sosta, da secoli.

2 commenti:

  1. Incredibile, davvero, il lavoro sul sonoro. Io non sono un tecnico ma questo film (capolavoro) è un esempio tangibile di quanto ormai gli effetti speciali (visivi e sonori) se usati nel modo giusto, siano determinanti per la riuscita di una pellicola.

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  2. Volevo esprimere la mia gratitudine per il tuo post ben studiato ed eloquente.

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