giovedì 5 ottobre 2023

The Palace (Polanski 2023)

Il film di Roman Polanski lascia interdetti e senza parole all'uscita dalla sala. Chi ama il cinema non può non pensare ai suoi capolavori, da Il coltello nell'acqua a Repulsion, da Cul de sac a Rosemary's Baby, da Chinatown a Tess, da La morte e la fanciulla a Il pianista e, anche più recentemente, da Carnage a L'ufficiale e la spia.
E pensare che Polanski ha scritto il film con Ewa Piaskowska e con un altro mostro sacro come Jerzy Skolimowski, con il quale aveva collaborato proprio per il suo lungometraggio d'esordio ne Il coltello nell'acqua (1962).
Che fine ha fatto l'autore di tante opere bellissime, capace di passare da un genere all'altro come un grande regista statunitense, ma con tutta la profondità di un cineasta europeo (trailer)?
Stavolta cambia ancora genere, ma è difficile parlare di The Palace senza pensare al cinema più retrivo, a qualcosa di apparentabile ai peggiori cinepanettoni - complice anche l'ambientazione sansilvestrina -, ed è davvero lontana l'eco delle commedie alberghiere di Ernst Lubitsch; la dissacrante scrittura del Luis Buñuel de L'angelo sterminatore e de Il fascino discreto della borghesia; o le atmosfere di Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, da cui riprende anche il compositore delle musiche, Alexandre Desplat. Polanski non è Ostlund, probabilmente oggi il migliore a mettere su grande schermo il grottesco come critica a una società in dissoluzione, ma conosce bene il mondo che parodia, in cui il lusso e il denaro sono l'unico credo e l'unica ragione d'essere per autodeterminare se stessi.
È il 31 dicembre 1999 e il grande e innevato Palace, albergo a cinque stelle tra le Alpi svizzere (ovviamente la Svizzera, dato il confino del regista per le sue vicende giudiziarie), attende una lunga serie di ospiti da sistemare per la notte. Tra di loro si fa un gran parlare di tesi bimillenaristiche che partono dal millennium bug e arrivano davvero a ipotizzare la fine del mondo, un'ipotesi che lo spettatore, minuto dopo minuto, non può che rimpiangere.
Unità di tempo, di luogo e d'azione sono garantite: tutto si svolge in un giorno, all'interno dell'hotel, il cui direttore, Hansueli Kopf (Oliver Masucci) - che strizza l'occhio al Gustave interpretato da Ralph Fiennes in Grand Budapest Hotel -, si affanna per accontentare tutti gli esigenti e capricciosi clienti, aiutato soprattutto dal concierge Tonino (Fortunato Cerlino), che accoglie con espressioni incredule e sardoniche alle continue e assurde richieste che è costretto ad ascoltare.
Gustave arringa tutti i collaboratori, come se fosse un generale prima della battaglia campale di una guerra, mentre in cucina lo chef è già pronto ad assaggiare e giudicare l'operato di tutti e a ritirare enormi scatole di caviale, da aprire rigorosamente con un coltellino svizzero identitario e di contesto.
Il ritmo è altissimo e la carrellata di personaggi grotteschi che varca la porta girevole dell'hotel è infinita: buona parte della pellicola, però, è tutta qui e la narrazione è scontata e priva di acuti. Miretti, nome d'arte Bongo (Luca Barbareschi, che è anche produttore del film) è un ex attore porno, amato dalle donne e invidiato dagli uomini, che passeggia per l'hotel tronfio nella sua vaporosa pelliccia bianca. Tra le sue fan, peraltro, Mrs Robinson (Sidne Rome) e una sua amica, donne ossessionata dalla chirurgia estetica come solo Terry Gilliam aveva previsto quasi quarant'anni fa nel capolavoro Brazil (1985). E a fargli da contraltare, per par condicio, Bill Crush (Mickey Rourke), uno spiantato omone totalmente rifatto, che si infuria perché, ormai decaduto, gli vengono assegnati la stanza più misera e il tavolo del cenone più piccolo. Anche lui cerca di fare i conti con il millennium bug e persino di approfittarne, intortando Caspar (Milan Peschel), un buffo ragioniere della banca, con cui tentare una truffa che gli permetta di risolvere i suoi problemi finanziari. Come se non bastasse, però, è costretto a fronteggiare anche un sedicente e non certo acuto figlio avuto da un'avventura giovanile, che si presenta lì con moglie e figlie.
In questo scenario non può mancare il ricco chirurgo plastico, il dottor Lima (Joaquim de Almeida), che tutti apprezzano e che molti conoscono personalmente.
La marchesa Constance Rose Marie de La Valle (Fanny Ardant) è la fiera della vanità fatta persona, totalmente concentrata sul suo povero cagnolino, che ha seri problemi di evacuazione, poiché incapace di farlo dove non c'è erba. Ne consegue che lo staff dell'hotel provi a risolvere il problema facendo installare dell'erba sintetica nel bagno della stanza da un aitante idraulico dell'est, che risveglia le doti seduttive della donna. E poi dei mafiosi russi - accompagnati da guardie del corpo e da splendide escort connazionali - con grandi valigie Fendi che chiedono di chiudere nel caveau dell'hotel,  che proprio quella sera vedranno cambiare la storia del proprio paese con il passaggio da Eltsin a Putin. Infine, la coppia formata da Arthur Dallas III (John Cleese), anziano e ricchissimo, e da Magnolia (Bronwyn James), giovanissima e corpulenta donna che lo ha sposato per l'eredità,  che gli inconvenienti della giornata rischiano di mettere a repentaglio. Arthur è pronto a tutto pur di avere un po' di sesso dalla sua mogliettina e anche un semplice pompino può giustificare l'acquisto di un collier tempestato di brillanti.
Insomma cinismo e volgarità caratterizzano tutti i rappresentanti di questa società di vip, che di "very important" hanno solo il portafoglio. Un po' poco per rendere il film tagliente. Ogni tanto si sorride, ma difficilmente si va oltre. Tutto è scontato, già visto: i ricchi sono aberranti e i lavoratori i più svegli e intelligenti.. non esattamente una novità che chi non debba sbarcare il lunario si intorpidisca anche mentalmente.
Nel tentativo di salvare qualcosa, si faccia attenzione ai titoli dei film porno che rendono famoso Bongo, cose come Pulp friction, e la liberatoria scena di sesso del cagnolino della marchesa che, nel panorama devastato del pavimento del salone in cui si è svolto il veglione, tra resti di cibo, stoviglie, dentiere, reggiseni, fa sesso con il pinguino fatto arrivare da Arthur per l'anniversario di nozze con Magnolia. Peraltro, in un altro momento del film, proprio nella stanza di Arthur e Magnolia, e non può essere un caso data la presenza di John Cleese, c'è un acquario dal quale qualcuno pensa di prendere un pesce per nutrire il pinguino: sembra di tornare alla sequenza introduttiva del capolavoro Monty Pyrhon - Il senso della vita (1983).
E, infine, la moglie del chirurgo, non completamente sana di mente, ridotta a reagire con urletti davanti a uno specchio, mentre si spazzola i capelli come una diva della Hollywood anni '50 e che vediamo urlare in maniera cadenzata e inespressiva nel riflesso.
Se questo, come è stato scritto, è uno sfogo di Polanski contro il benpensantismo che lo ha circondato e una reazione cinica all'indifferenza con cui è stato accolto l'ultimo suo grande film, L'ufficiale e la spia (2019), ne prendiamo atto, ma che Roman Polanski chiuda la sua carriera così è inaccettabile... da appassionati di cinema e amanti del suo cinema, aspettiamo ben altro testamento artistico. 

1 commento:

  1. E' la stessa cosa che ho pensato io, Polanski non merita di chiudere la carriera con questo obbrobrio... gli auguro una lunghissima vita!

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