venerdì 13 ottobre 2023

Asteroid City (Anderson 2023)

Che bello il nuovo film di Wes Anderson!
Tante idee, tante trovate, un'ambientazione altra, come a lui riesce sempre così bene, tanto più con l'ormai consueto overcasting, che fa il paio, nei titoli di coda, con i ringraziamenti del regista a nomi come Baumbach, Scorsese, De Palma e Spielberg, non un dettaglio.
Una giostra da cui non si vorrebbe scendere così presto e un incipit che appassiona. L'idea del metaspettacolo, a dire il vero, non è nuova, ma l'inizio del film che fa da cornice all'opera è davvero entusiasmante. In un rigoroso bianco e nero Bryan Cranston è il narratore che parla a noi spettatori dal palco di un teatro vuoto: dietro di lui uno scrittore, Conrad Earp (Ewan McGregor), che in vestaglia è seduto e lavora alla macchina da scrivere sullo stesso palco (trailer).
È tutto così coinvolgente che non si vede l'ora che quel foglio ci racconti qualcosa e il passaggio dalla cornice alla storia narrata arriva subito dopo, quando il bianco e nero lascia il posto al colore e lo spettatore viene catapultato a ovest delle Montagne Rocciose nel 1955, per una commedia divisa in atti e scene, proprio come se fossimo a teatro, ma è tutto completamente cinematografico.
Asteroid City è una città-non città, che deve il nome a un asteroide caduto lì il 23 settembre 3007 a.C. e lì ogni anno soldati (il generale è Jeffrey Wright) scienziati e studenti commemorano quel giorno sul cratere davanti a uno sparuto gruppo di astanti e agli junior stargazers, cioè dei cadetti spaziali, cinque ragazzi che hanno un quoziente intellettivo più alto della media e che si ritrovano lì per ricevere dei premi, passando il resto del tempo a fare giochi davvero improbabili per il resto dei loro coetanei.
La cittadina sorge tra quelle che sembrano le strutture effimere di un set. Il realismo di Wes Anderson è situazionale, non certo materiale, e vedere edifici e luoghi intonsi, in cui i personaggi interagiscono come se fossero su una piattaforma lego o playmobil non può sorprendere chi conosce l'immaginario andersoniano. Quando poi, in quel contesto di deserto e montagne, vediamo uno struzzo attraversare la strada al suono di "Beep Beep", abbiamo la certezza che il regista texano stia nutrendo anche il nostro immaginario, citando il celebre personaggio della Warner Bros - creato nel 1949 da Chuck Jones e Michael Maltese - sempre in fuga da Willy il Coyote.
In quel luogo desertico e teatro di frequenti test atomici che fanno parte della routine quotidiana, arrivano Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), fotografo di guerra, con la sua pipa, e i suoi figli, l'adolescente primogenito un po' nerd, Woodrow (Jack Ryan), uno dei geni che parteciperà all'Asteroid Day, e le tre piccole gemelle pestifere, che si dichiarano streghe e che a tratti sembrano l'evoluzione, accresciuta di un'unità e di parola, delle gemelle di Shining (Kubrick 1980). La loro mamma non c'è più da tre settimane, ma il padre, che ancora non ha detto nulla ai ragazzi, imbeccato a distanza dal suocero (Tom Hanks), trova il modo per dirlo.
Gli Steenbeck non sono una famiglia tradizionale, e non solo perché la moglie e madre è scomparsa, poiché basta ascoltare Augie per capirlo: "diciamo che è in cielo, che per me non esiste, ma voi siete episcopali". Una sola frase basta a comprendere il razionalismo ma anche la bizzarria di Augie che, per inciso, mostra le ceneri della mamma ai ragazzi, conservate in un portapranzo stile Tupperware.
Tra uno split screen e l'altro una sequela di personaggi minori interpretati da grandi attori che non ti aspetti, come il manager del motel e il meccanico cui prestano il volto rispettivamente Steve Carell e Matt Dillon, ma anche la dottoressa Hickenlooper, nei cui panni è Tilda Swinton, e lo "psicoterapeuta da palcoscenico" Saltzburg Keitel, impersonato da Willem Defoe, che strizza l'occhio alla pratica terapeutica del social dreaming con tutti gli attori del film.
Tantissimi i momenti divertenti, su cui spicca l'arrivo dell'astronave con l'alieno (altro cameo "invisibile" di un grande attore come Jeff Goldblum), che guarda in soggettiva, recupera il meteorite e si mette in posa a favore dei fotografi, ma anche la stessa Tilda Swinton che mostra a tutti un "bip a lucette" di cui non conosce esattamente la funzione e che tanto ricorda il mitico "apparecchio che fa pin" dei Monty Python (Il senso della vita, Jones 1983).
Sono tantissimi i personaggi e nella folla ci sono anche l'attore pieno di sé, Schubert Green (Adrien Brody); un altro padre di un adolescente geniale, J.J. Kellogg (Liev Schreiber); e un cowboy che sembra uscito da un film dei Coen, Montana (Rupert Friend), che passa il tempo davanti ai numerosissimi distributori automatici che, in un posto come Asteroid City, forniscono anche contratti di appezzamenti di terra pronti da firmare.
L'arrivo dell'alieno scatena un'ossessione generalizzata. Tutti lo vedono ovunque: i militari sparano contro sagome che ne riproducono le sembianze; ragazzi di una scuola, accompagnati da June (Maya Hawke), scrivono canzoni in suo onore (Dear alien è un altro momento decisamente Coen) e persino i giovani geni lo identificano nelle macchie delle tavole di Rorschach, feticcio cinefilo comico sin da quando, nel 1969, Woody Allen ci vedeva scene di violenza sessuale tra elefanti e zanzare in Prendi i soldi e scappa (vedi).
Naturalmente, come mamma di una ragazzina geniale, non può mancare l'attrice di Hollywood, su cui si posa l'interesse di Augie: Midge (Scarlett Johansson) è bellissima, sia in versione bionda e hitchockiana - in una sequenza su un treno si chiama Kim, veste un impeccabile tailleur e ha lo stesso chignon di Madeleine-Kim Novak di Vertigo (1958) -, ma anche mora e con la pelle lunare.
Augie le scatta foto, che l'attrice ovviamente non disdegna, e l'aiuta con i copioni guardandola e ascoltandola mentre recita, scene di nudo comprese. In una di queste il suo imbambolamento davanti a tanta bellezza genera una delle battute più folgoranti del film: "volevo dirlo ma la bocca non ha parlato". Il suo ruolo di ottima attrice, però, è apprezzato anche dalle donne e Sandy (Hope Davis) si complimenta con lei per un vecchio film dal soggetto irresistibile di un "astronauta che aveva un'amnesia e diventava una pediatra".
Wes Anderson gioca molto con la dimensione riservata allo spettatore e interagisce con lui, portandolo continuamente dalla cornice alla storia principale e, in questo tourbillon, persino il narratore interpretato da Bryan Cranston si ritrova a far confusione quando compare fuori luogo a spiegarci ciò che accade e, guardato in maniera interrogativa dagli altri attori, arguisce che "non devo esserci in questa?".
E, più di lui, è in confusione la stessa Midge, che ormai non distingue più la realtà dal set, un po' come noi davanti a quel paesaggio volutamente finto di Asteroid City. Il cineasta texano, poi, utilizza Scarlett Johansson anche per citare la storia dell'arte più famosa, mostrandola immersa nella vasca e con un braccio abbandonato come ne La morte di Marat di Jeacques-Louis David (1793, Bruxelles, Musée des Beaux-Arts). Sull'eterno femminino Anderson non lesina e, per questo, c'è un piccolo spazio anche per Margot Robbie, nei panni della moglie defunta di Augie, che a stento riconosciamo in una vecchia foto, ma che poi vediamo dialogare in tutta la sua bellezza con il marito in un'onirica realtà, in cui al cinema proiettano un fantomatico Death of a narcissist. Il puro surrealismo della poetica andersoniana è una delle chiavi della pellicola: la si percepisce costantemente e diventa ancora più evidente quando i personaggi ripetono "non puoi svegliarti se non ti addormenti", un mantra imprescindibile!

1 commento:

  1. Da vedere il prima possibile, mi sfagiola poi questa citazione alla morte di Marat!

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