martedì 8 dicembre 2020

Brazil (Gilliam 1985)

Onirico come tutte le pellicole di Terry Gilliam, Brazil deve tanto a Kafka, a Orwell, a Fellini, a Kubrick e, ovviamente, ai Monty Python. E, infatti, uno dei titoli che il regista aveva pensato per il film era proprio 1984 1/2, con cui aveva l'intenzione di omaggiare il romanzo distopico per eccellenza di George Orwell, nonché 8 1/2 di Federico Fellini.
Alla fine, però, ha prevalso quello che si deve ad Aquarela do Brasil di Ary Barroso (1939), brano che fa spesso capolino all'interno della storia, diegeticamente diffuso dalle radio o fischiettato dai personaggi, riarrangiato da Michael Kamen e Kate Bush, autori della colonna sonora (trailer).

Nel futuro distopico di un qualche luogo nel XX secolo ("somewhere in the XX century" è la didascalia che apre il film), durante le feste natalizie, i televisori sono ovunque, perché "in una società libera l'informazione deve penetrare ovunque" (vedi il film).
Terry Gilliam, come David Cronenberg prima di lui in Videodrome (1983), intuisce e prevede la degenerazione schermocratrica dei decenni seguenti, e, come nel precedente del regista canadese, in una delle prime sequenze fa esplodere uno di quei televisori: scena metaforica, liberatoria, dissacrante. 

In uno di quegli schermi, inoltre, vediamo una sequenza di The Cocoanuts (Florey-Santley 1929), film che rimanda immediamente alla carriera di Gilliam, membro di quei Monty Python che ebbero nei fratelli Marx uno dei principali riferimenti artistici.
Ed è decisamente Python l'arresto di Harry Buttle per uno scambio di persona, al posto di Harry Tuttle, che ricorda la scena di Monty Python - Il senso della vita (Jones 1983), in cui dei chirurghi entravano in un appartamento e asportavano gli organi a un uomo sano e soprattutto vivo, che aveva fatto richiesta di donazione (vedi). La situazione comica da sketch del Flying circus diventa in Brazil il momento iniziale di una storia kafkiana che durerà per l'intera pellicola.

È Sam Lowry (Jonathan Pryce), dipendente del Ministero dell'Informazione, ad avere l'ingrato compito di spiegare alla moglie dell'uomo l'accaduto, quando ormai suo marito è morto, ucciso da quello che è chiaramente un regime subdolo. Sam è un uomo qualunque, particolarmente stimato dal suo superiore Kurtzmann (Ian Holm), un dirigente inetto che non può fare a meno del suo sottoposto per ogni cosa.
Tantissima la burocrazia negli uffici ministeriali e gli archivi dell'enorme palazzo appaiono costituiti da grandi ambienti con infinite scaffalature ricolme di raccoglitori per documenti, che danno un senso di oppressione che la scenografia di Norman Garwood, John Beard e Keith Pain rende perfettamente.
La follia del sistema, d'altronde, era alla base di un altro possibile titolo scartato da Gilliam, che avrebbe occhieggiato al dissacrante Dottor Stranamore di Stanley Kubrick (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, 1964): The Ministry of Torture, How I Learned to Live with the System - So Far. E in effetti il ministero dell'informazione è anche un ministero della tortura dei dissidenti, e non è certo un caso che i baffi di Kurtzmann siano tagliati come quelli di Adolf Hitler e che i soldati che vediamo intervenire qua e là in diverse sequenze abbiano elmi decisamente simili a quelli delle SS naziste.
A contrastare tutto questo, pur nella maniera più improbabile e scalcagnata possibile, c'è il personaggio più epico del film, Harry Tuttle (Robert De Niro), il ribelle, l'uomo che il ministero sta cercando, considerato un terrorista, ma in realtà un semplice tecnico dell'aria condizionata intollerante alla burocrazia e che per questo opera in clandestinità.
È lui che arriva nell'abitazione di Sam per riparare l'impianto e, di fatto, lo difende dai due tecnici della Central Service che, seguendo la "procedura d'emergenza", gli devastano la casa. Uno di questi, Spoor, interpretato da Bob Hoskins, che all'opposto di Tuttle dichiara "io sono molto pignolo, amo la burocrazia e la rispetto", ricorda molto il Mario Bros del celebre videogioco, uscito nel 1983. Sarà lo stesso attore ad essere chiamato per impersonare Super Mario Bros nell'omonima pellicola (Morton-Jankel 1993). E nel 1983 uscì anche Pipeline, videogame che ebbe meno fortuna, ma che potrebbe aver offerto qualche suggestione a Gilliam per il film, che si apre proprio con una pubblicità sulle condutture, che hanno un ruolo rilevante all'interno della storia, proprio come nel platform anni '80.
Il poster nel film e quello diffuso durante
la Grande Depressione negli USA
Va precisato, inoltre, che Archibald "Harry" Tuttle non accetta compensi per il proprio lavoro e va via salutando con "we're all it together", ironico riferimento ad una frase politica e reazionaria, che viene ribadita in un manifesto visibile all'interno del film che inneggia alla felicità facile, che Gilliam e gli scenografi recuperano davvero da un poster statunitense diffuso durante la Grande Depressione, che cercava di rasserenare la popolazione con il mito del sogno americano.
Sam ha un appartamento completamente tecnologico e automatizzato ma, in un ennesimo tocco di ironia pythoniana, il suo "complesso elettrico" è difettoso, così lo vediamo aggirarsi invano per l'appartamento fino ad uscire di casa senza essere riuscito nemmeno a lavarsi né a fare colazione.
Appare evidente che il futuro non sia certo positivo nella visione di Terry Gilliam e l'amara e tagliente comicità della sua sceneggiatura, scritta insieme a Charles McKeown e Tom Stoppard, si ravvisa anche nei personaggi della madre di Sam, Ida (Katherine Helmond), e delle sue amiche, ossessionate dal ricorso alla chirurgia plastica. Il viso della signora Lowry, in una sequenza che è diventata simbolo dell'intero film, viene letteralmente stropicciato e avvolto nella pellicola trasparente, un wrapped in plastic ante litteram (sarà il tormentone di Twin Peaks nel 1990) al servizio di una feroce satira, ancora una volta dotata di preveggenza.
Proprio durante una colazione con la madre e le sue amiche, a cui partecipa anche Sam e alla quale Ida Lowry si presenta con un assurdo cappello a forma di scarpa rovesciata, leopardato come il vestito, il cameriere è un'altra riproposizione pythoniana: lo spiccato accento francese e i modi affettati lo rendono un gemello dell'omologo interpretato da John Cleese ne Il senso della vita, costretto a servire il temibile e grassissimo monsieur Creosoto.
Le donne di questo gruppo sono disposte a tutto pur di apparire più giovani e una di loro rappresenta una continua gag: dall'inizio del film la vediamo sempre più incerottata, per poi passare a muoversi in sedia a rotelle, a causa di progressivi peggioramenti sintetizzati da un magnifico "la complicazione ha avuto una leggera complicazione". La totale fiducia verso la sperimentazione chirurgica, com'è ovvio che sia, la porterà alle estreme conseguenze... e ai suoi funerali, ciliegina sulla torta, la mamma di Sam sarà ormai irriconoscibile anche per il figlio.
In una realtà così alienante ed asfissiante, è giocoforza che tutto il bene e il romanticismo siano confinati nella fase onirica di Sam. È lì che il protagonista si innamora di Jill (Kim Greist), che sogna in maniera ricorrente e che incontra anche nella realtà, poiché è la vicina della vedova Buttle. Alcune delle sequenze che riguardano la loro storia sono tra le più affascinanti e meglio girate della pellicola, a partire da quella in cui i due si abbracciano ripresi dall'alto e in una sorta di soffice nuvola, che prelude all'amplesso, lo spazio si chiude sopra di loro con un iris che riproduce un meccanismo a diaframma, chiara metafora fotografica che autorizza speculazioni sulla natura voyeuristica della settima arte, qui declinata in pure poesia visionaria.
In altre versione del sogno, invece, Sam è un arcangelo Michele in ali e armatura che combatte per salvare la sua bella, affronta un gigante samurai: come non pensare all'immaginario che da sempre ha caratterizzato molte animazioni di Terry Gilliam ai tempi dei Python, ma anche a quelli del recente L'uomo che uccise don Chisciotte (2018), che ovviamente combatte contro i mulini a vento.
Peraltro, evidentemente vittima dei sensi di colpa per quanto avvenuto, vede la moglie di Buttle in un gruppo di prigionieri con ceppi a polsi e caviglie ed è altrettanto significativo che, dietro al volto del grande samurai, ci sia proprio quello dello stesso Sam. 
Completamente diverso dal suo, l'atteggiamento di Jack Lint (Michael Palin), un suo vecchio amico che continua a sbagliare il nome della moglie e delle figlie e che, alla domanda di Sam sulla morte di Buttle, risponde seraficamente "purtroppo il mal di cuore di Buttle non risultava sulla scheda di Tuttle".
Oltre la già citata scena con i Marx, un altro omaggio cinematografico è per Casablanca (Curtiz 1942): mentre Kurtzmann sta parlando con Sam nel suo ufficio, a fare da sottofondo musicale c'è As time goes by, quella che Ingrid Bergman chiede al pianista Sam, già proprio Sam, come il protagonista di Brazil che, quando esce dall'ufficio del capo lo rassicura con un "stia tranquillo, tornerò", pronunciato in contemporanea con la stessa battuta nella pellicola degli anni '30.
Il cinema della Hollywood dell'età dell'oro è anche in casa di Sam, che alle pareti ha appeso una serie di foto di attrici, tra cui si riconosce il volto di Marlene Dietrich.
L'ambiguità caratterizza la pellicola fino in fondo e il finale è un modello da manuale in tal senso: ambientato all'interno di un'enorme struttura, luogo di tortura kubrickiano (Sam è seduto su una poltrona e in una condizione simili a quella di Alex in Arancia Meccanica, 1971) e, allo stesso tempo, tanto assimilabile a quella de Il maratoneta (Schlesinger 1976), galleggia tra realtà, fantasia, salvezza, morte, mentre malinconicamente risuonano, stavolta fuoricampo, le note di Brazil, cantata con il testo in tedesco... sogni e incubi sono fatti della stessa sostanza. Il capolavoro è servito!

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