giovedì 28 luglio 2022

La donna del fiume - Suzhou River (Lou Ye 2000)

Camera a mano e soggettiva esasperata per questo bel film romantico ed enigmatico di Lou Ye, regista cinese, che racconta la sua Shanghai attraverso una storia che unisce in maniera molto evidente Hitchcock a Wong Kar Wai, con un immancabile tocco di Nouvelle Vague
"Se un giorno ti lasciassi ... mi cercheresti per sempre? Lo faresti per tutta la vita?" chiede una voce femminile all'inizio del film al suo uomo, e al sì di lui controreplica "stai mentendo". Non vediamo la coppia, ma grazie alla struttura circolare della pellicola, capiremo nel finale chi sono e perché stanno facendo quel discorso così romantico e malinconico (trailer).
Il titolo italiano, La donna del fiume, non deve confondere e riportare all'omonima pellicola di Mario Soldati (1955), anche perché in quello originale c'è solo il nome del fiume di Shanghai, 
il Suzhou, di cui ci parla la voce narrante mentre la mdp lo inquadra in più punti, poiché lì ha visto accadere di tutto. La vita trascorre lungo quelle acque e realtà e fantasia talvolta si sovrappongono, come nel caso di una sirena che in molti hanno visto pettinarsi i capelli uscendo dall'acqua.
Basterebbe questo per associare il film a Wong Kar Wai, la voce off, le immagini evocate, quell'effetto insieme documentaristico e fiabesco. Tanto più che quella narrazione ha poi un riscontro reale, quando un fotografo-operatore che ci mostra il mondo in soggettiva (e che non vedremo quasi mai, Zhang Ming Fang) conosce Meimei (Zhou Xun) che ogni sera indossa i panni della sirena e si immerge in una grande vasca all'Happy Tavern, locale sul lungofiume. E, fatalmente, se ne innamorerà...
Sarà proprio Meimei a raccontargli una storia d'amore impossibile ("pensava che tutti dovessero avere una storia d'amore così"), quella di Mardar (Jia Hongsheng), un corriere che si muove per Shanghai con la moto, vita da single, fatta di lavoro, film a casa, notti insonni. E poi l'incontro fortuito, con la giovanissima Mudan, una delle sue "consegne", l'amore nonostante l'invischiamento con la malavita, la fuga della ragazza con un tuffo nel fiume. I bellissimi momenti dell'innamoramento, i loro giri per la città, il tempo passato insieme per il solo gusto di stare insieme, le battute sulla moto ("guida come Schwarzenegger!" si lamenta giocosamente Moudan per la lentezza di Mardar).
La mdp nella sequenza del ponte prima del tuffo impazzisce, è una macchina espressionista, che rivela lo stato d'animo dei personaggi, una mdp che empatizza con loro, come accadeva in un capolavoro di Wong Kar Wai come Hong Kong Express (1994) e, come in quello, le luci della sera sono quelle delle insegne luminose che riflettono sul volto dei personaggi che dialogano. È quello stato d'animo che in fondo ci racconta la storia, tanto da non permetterci di comprendere a pieno dove termini la realtà e inizi la fantasia. Tutto diventerà ancora più complicato quando, anni dopo, le vicende del narratore e di Mardar si intrecceranno, proprio nell'Happy Tavern, quando Mardar, vedendo Meimei, rivedrà Moudan... La donna che visse due volte (Hitchcock 1958) è servita! E Meimei reagirà proprio come Judy/Kim Novak quando Scottie/James Stewart vede in lei la perduta Madeleine, tra rabbia, minacce di chiamare la polizia, che poi terminano in un più maturo atteggiamento di comprensione e dialogo. È reale oppure è tutta un'invenzione per conquistarla si chiede la donna, e noi abbiamo altre domande... è davvero sorpresa o come Judy/Madeleine sa cosa è successo in passato?
Tanti i simboli e gli oggetti significanti in un film come questo. Mardar regala a Moudan la bambola di una sirena e la ragazza, tuffandosi nel Suzhou, gli dirà proprio "tornerò come sirena". I tatuaggi: la rosa tatuata sulla gamba di Moudan e su quella di Meimei, reali, temporanei, chissà, ma bastano per far dire a Meimei "sono la ragazza che stai cercando?" E poi i capelli: la parrucca di lunghi capelli biondi che Meimei ogni sera indossa per diventare una perfetta sirena; il taglio di capelli che, dopo la prigione e i viaggi di città in città, riporta Mardar al volto di un tempo.
Due motivi nel film si impongono più degli altri: il doppio e la visione in soggettiva.
Tutto è doppio e l'identificazione Meimei - Moudan, falsa o reale che sia, è un tema portante e caratterizzante. Il film in questa doppiezza rimane sempre ambiguo, capace di restare in quello spazio liminale in cui tutto è possibile, senza mai cadere da una parte o dall'altra. Non a caso, quando Mardar raggiunge Meimei nella sua casa sul fiume (dove altro poteva vivere la sirena dell'Happy Tavern?), la donna si specchia e nello specchio vediamo la sua immagina sfocata.
La visione in soggettiva, come detto, è quella del narratore, che vedremo in un paio di inquadrature per tutta la pellicola, novello Peeping Tom (Powell 1960) in versione romantica. Lo ascoltiamo, è un protagonista assoluto della storia, ma mentre all'inizio abbiamo la sensazione che seguiremo le sue vicende, in un secondo momento capiamo che la sua vita passa tangenzialmente a quella del film. Lui sa tutto ciò che è accaduto, ma la storia d'amore principale non è la sua. Quando si incrociano, però, ne subirà le conseguenze, e un litigio con Meimei, gli costerà un bicchiere svuotato con rabbia sul suo volto... in realtà lanciato contro la mdp e contro lo schermo. 
Suzhou River è un film sull'eterno romanticismo degli amori impossibili, vagheggiare che "cose come questa accadono solo nelle favole" e poi vederle accadere, biglietti lasciati lì con scritto "cercami se mi ami", e ricordi di tramonti visti insieme o di giorni di pioggia che non rendevano malinconici.
Spetta al narratore, però, che sin dall'inizio ha dichiarato di essere inattendibile, la battuta che riporta tutto alla realtà... "niente dura per sempre, berrò un bicchiere, chiuderò gli occhi e aspetterò una nuova storia".

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