lunedì 11 luglio 2022

Elvis (Luhrmann 2022)

Baz Luhrmann rimonta l'ottovolante di Moulin Rouge (2001) e ci porta tutti in un altro viaggio psichedelico, fatto di musica, colori e movimenti di macchina incessanti. La storia di Elvis Presley si trasforma così in una giostra che corre per due ore e mezzo, senza rallentare mai, a ritmo forsennato, perfettamente in consonanza con l'immagine usata nella sceneggiatura per la vita del re del rock dell'uccello senza zampe che non poteva atterrare mai (trailer).

Elvis, interpretato dal trentenne Austin Butler, non è il solo protagonista, poiché a raccontarci la sua storia è il colonnello Tom Parker, nome d'arte dell'olandese Andreas Cornelis van Kuijk, il suo manager, a cui presta il volto, trasfigurato dal trucco, un fantastico Tom Hanks. La pellicola, infatti, è strutturata come un lungo flashback a cannocchiale, con vari salti nel passato, partendo dal 20 gennaio 1997, il giorno precedente alla morte d Parker.
Luhrmann, soprattutto nelle sequenze iniziali, ricorre continuamente allo split screen, dividendo lo schermo in due, tre, quattro, otto scomparti, diversamente disposti, mostrando droga, siringhe, palchi e pubblico. Siamo nel 1973, Elvis ha trentotto anni e quattro anni dopo morirà, tutto è già in nuce. La voce off di Tom Parker ci riporta al 1955, raccontando la scoperta del giovane Elvis, quando ci si meravigliava che un ragazzo che cantasse e si muovesse in quel modo fosse bianco e non nero. E in effetti Elvis aveva imparato tutto dagli afroamericani, in quella realtà del sud, nel Mississippi prima e nel Tennesse poi, dove la musica era fatta soprattutto di rhythm and blues e gospel, come ci mostra il regista australiano in una bellissima sequenza all'interno di un capannone nel nulla, che all'interno si trasforma in un sogno musicale, che i bambini spiano dalle fessure, concludendosi con un'inquadratura dall'alto davvero fantastica.
Elvis e B.B. King
In quegli stessi contesti, quando sarà più grande, ammirerà un giovane Little Richard cantare Tutti Frutti e diventerà amico di personaggi come B.B. King (Kelvin Harrison Jr).
E poi una continua rassegna di dettagli, puntine di giradischi e radio, da cui la musica si diffonde ovunque. Carrelli avanti e indietro, panoramiche a schiaffo, dolly (droni probabilmente oggi), ralenti, ogni tecnica è lecita per aumentare il ritmo e il pathos della storia.
Luhrmann ci ammalia anche con una bella sequenza a fumetti, stile Roy Lichtenstein, in cui ci racconta il difficile sentimento di Elvis nei confronti del gemello Jesse, morto subito dopo essere nato, che in quelle pagine si trasforma in un supereroe, il suo preferito.
Le prime apparizioni di Elvis sul palco lo mostrano con capelli lunghi, trucco, vestiti rosa, un invito a nozze per le offese omofobiche degli uomini del sud, che contrastano con l'eccitazione delle ragazze ad ogni colpo d'anca, pronte a lanciargli anche la biancheria intima. E Tom ricorda quel successo con una sintetica battuta dal sapore biblico: "era un morso al frutto proibito".
Il passaggio dalla vecchia musica alle novità rappresentate da Elvis sono riassunte dal cantante country, che prima prova a sfruttare il nome del ragazzo facendolo suonare con lui, ma subito dopo prende le distanze quando lo vede danzare sul palco e si rende conto delle reazioni scomposte del pubblico femminile.
"Tutti gli intrattenitori sono degli imbonitori" gli dice Tom e aggiunge che persino Hollywood è così, in una sequenza non a caso girata nella casa degli specchi del luna park, illusione di realtà iconica e ovviamente cinefila. Inevitabile che il pensiero vada a La signora di Shanghai (Welles 1947) o a Misterioso omicidio a Manhattan (Allen 1993) che da quella deriva. Tom è una figura centrale: è lui che trasforma Elvis in una star moderna, è lui che lo porta dalla piccola Sun Records al colosso della RCA - e da lì vediamo imperversare il simbolo della casa di produzione, un cane -, ed è lui che inventa attorno al suo assistito il merchandising che ne caratterizzerà il personaggio con ogni tipo di oggetto griffato con la sua immagine.
E mentre Elvis diventa tutto questo, Luhrmann si sofferma sul rapporto morboso con la madre, preoccupata di perderlo, gelosa delle fan, ma rassicurata dal figlio, che la considera sempre la sua "ragazza perfettissima". Eppure in Germania, durante il servizio militare, conoscerà Priscilla (Olivia DeJong), figlia di un ufficiale americano, che sarà sua moglie e compagna di sortite cinematografiche.
Il romantico bacio sulle note dell'immancabile Can't help falling in love, il matrimonio e l'utilizzo del jet di Frank Sinatra, la nascita della piccola Lisa Marie, tutto in un unico montaggio che punta ancora ad aumentare il ritmo vertiginoso della storia.
Qui si innesta qualche citazione cinefila, con Priscilla che si mostra gelosa di Nathalie Wood, Elvis che mira a diventare un secondo James Dean, e i vari poster dei film girati in quegli anni, nonché la possibilità di girare con Barbra Streisand il remake di È nata una stella (Pierson 1976), in cui poi apparve Kris Kristofferson nel ruolo che sarebbe stato di Elvis, complice la poca lungimiranza di Tom Parker.
Elvis, Priscilla e Lisa Marie a confronto
Le polemiche non si arresteranno, i suoi continui ancheggiamenti sembrano la maggiore provocazione per i puritani benpensanti, che non esistano a definirli movimenti "da negro", "un comportamento animalesco", affibbiandogli l'offensivo nomignolo di "Elvis the pelvis".
Il razzismo e il puritanesimo malcelati verranno nascosti dal capo della polizia, in occasione di un concerto, dietro il pretesto dell'ordine pubblico in un'altra scena madre: l'impositivo invito "non devi dimenare nemmeno un dito" sarà per Elvis l'ennesima e intollerabile provocazione. Come è ovvio che sia dopo una libertà così repressa, esploderà con molta più forza del solito cantando la mitica Trouble tra ancheggiamenti, allusioni sessuali e un mignolo dimenato su cui indugia la mdp di Luhrmann come segnale d'inizio alla sfrenata danza sul palco e al conseguente intervento della polizia che arresterà Elvis per "reati di libidine e perversione".
Gli anni sessanta saranno quelli dell'inizio del declino, il momento in cui Elvis, con l'ascesa dei Beatles, dei Rolling Stones, sarà ormai il passato. Sono gli anni della maturità, delle lacrime per la morte di Martin Luther King, ucciso nel 1968 proprio a Memphis, ai cui funerali, seguiti in TV, canterà Mahalia Jackson, uno dei miti di Elvis; ma anche per l'attentato a Bobby Kennedy, ucciso nello stesso anno. A contestualizzare il momento, nei corridoi degli studi televisivi, vediamo anche le foto di Star Trek, la serie tv ideata da Gene Roddenberry, andata in onda per la prima volta nel 1966, e più avanti la morte di Sharon Tate, avvenuta il 9 agosto 1969.
Sarà proprio la televisione a dare nuova vita a Elvis. Anche questo passaggio epocale ha una scena iconica, che vede Elvis sdraiato all'interno dell'ultima O del leggendario Hollywood Sign sul Monte Lee, ed è proprio la celebre iscrizione che grazie ad un'ellissi passa da "Hollywood" a "Television".
La casa degli specchi al luna park
Il rapporto con Tom Parker è complicato e costellato di momenti di tensione fino allo scontro totale, anche se i tanti debiti contratti da Elvis, e soprattutto da chi gli sta intorno, lo tengono legato comunque al suo manager in maniera indissolubile (Tom: "io sono te e tu sei me"; "siamo uguali, siamo due strambi bambini che vogliono raggiungere l'eternità"). È Tom a ostacolarne il sogno di una grande tournée, con il pretesto della sicurezza, ma in realtà nasconde altro. E così Elvis continuerà a ripetere i suoi tour statunitensi e dovrà "accontentarsi" del famoso concerto Aloha from Hawaii, trasmesso da Honolulu in diretta televisiva via satellite il 14 gennaio 1973. La parabola discendente, tra divorzio, depressione e farmaci, è ormai imboccata inesorabilmente...
Graceland
Scenografie e costumi, firmati da Catherine Martin e Karen Murphy, sono eccezionali, tra ville classicheggianti e Cadillac rosa (quella regalata alla madre), nella ricostruzione di Graceland, nonché per tutti gli abiti di scena di Elvis. Ognuno di questi elementi ruba la scena, talvolta persino alla colonna sonora, che in un biopic musicale come questo, tocca i suoi momenti più alti, oltre che con la già citata Trouble, con brani come Suspicious minds o Unchained Melody. Quasi tutti i pezzi, peraltro, sono cantati dallo stesso Austin Butler e c'è spazio anche per i Maneskin che interpretano If I can dream.
Le canzoni, d'altronde, sono sempre una soluzione, come recita una delle battute della sceneggiatura che Elvis ricorda come consiglio ricevuto da un sacerdote da bambino: "quando le cose sono troppo difficili da dire, canta".

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