domenica 24 luglio 2022

La viaccia (Bolognini 1961)

Tra campagna toscana, Firenze ed evocazioni pittoriche francesi, la fine '800 di Mauro Bolognini ha un incredibile fascino figurativo ispirato dal romanzo, L'eredità di Mario Pratesi (1889), da cui la pellicola è liberamente tratta.
L'esergo che apre la storia - "raccontami una storia: allegra o mesta? Allegra più che puoi. C'era una volta un cimitero" (sonetto di William Shakespeare) - la dice lunga sul tono e sull'atmosfera che aleggia sul film (guarda il film).
La "viaccia" che gli dà il titolo, infatti, è un podere che confina con il camposanto e che sta per passare in eredità, data l'imminente morte del pater familias Casamonti (Giuseppe Tosi), che prima di spirare pronuncia frasi di grande pragmatismo contadino come "si mòre quando si deve".
Ferdinando è il primogenito del defunto e, nonostante le intenzioni del padre di lasciare tutto a suo fratello, Stefano (Pietro Germi), che si è sempre occupato della proprietà, sarà lui ad imporsi e a concedere al secondogenito di continuare a lavorarci fino alla sua morte.
D'altronde la principale attività di Ferdinando è in città, dove con la sua compagna, mai sposata, la Peppa, gestisce un negozio di vini, facendo lavorare come suo aiutante il figlio di Stefano, Amerigo detto Ghigo (Jean Paul Belmondo), molto amato dal nonno, consapevole che, complice l'età del padre e dello zio, prima o poi verrà il suo turno.
La vita del ragazzo, però, viene stravolta dalla casuale conoscenza - in piazza del Carmine a Firenze - della bellissima Bianca (Claudia Cardinale), cinica e indipendente, che lavora in una casa chiusa. Per riuscire a frequentarla, Amerigo inizierà a rubare dalla cassa del negozio, ma la loro relazione è inevitabilmente complicata: Bianca non crede nell'amore ed è molto più convinta che "nella vita contano solo i quattrini". Lo scontro è inevitabile e non si limiterà a confronti verbali. La pertinacia di Ghigo lo porterà persino a lavorare come tuttofare nel bordello, pur di star vicino a Bianca, e la gelosia sarà un sentimento quotidiano per lui, con altri prevedibili accessi d'ira. La felicità, pur se sfiorata e toccata per un momento, non può durare in certe condizioni...
Come già accennato, le immagini del film sono evocative e rimandano alla pittura dell'800. Impossibile guardare i paesaggi toscani e non pensare a Giovanni Fattori e agli altri macchiaioli, ma ancora più immediato è il pensiero degli interni di Degas e di Toulouse-Lautrec per il bordello in cui lavora Bianca. Bolognini sfrutta moltissimo gli specchi per creare delle belle inquadrature con Ghigo e Bianca, i cui volti ed espressioni sono spesso da ricercare proprio all'interno dello specchio. Il bianco e nero della fotografia di Leonida Barboni è ricco di contrasti e influisce sull'atmosfera torbida del film, a cui contribuisce anche la musica di Piero Piccioni, che non disdegna sortite francesizzanti.
Le interpretazioni di Pietro Germi e, soprattutto, di Claudia Cardinale e di Jean-Paul Belmondo sono uno spettacolo. 
Un'ultima curiosità: il film è prodotto da Alfredo Bini, per tutti i cinefili l'indimenticato produttore di Uccellacci uccellini (1966), fosse solo perché viene citato alla fine della splendida sigla di Ennio Morricone a cui Pasolini chiese di usare come testo proprio i crediti del film.
Tra letteratura e realismo ottocenteschi, La viaccia è un melodramma in cui la ricostruzione d'ambiente ha un ruolo basilare. Il film è un feuilleton in cui il regista pistoiese dimostra tutte le caratteristiche del suo cinema, spesso considerato un Visconti di serie B. La famiglia patriarcale in dissoluzione, la campagna e la città, voglia di emancipazione delle nuove generazioni e contesti torbidi, con amori impossibili, per la borghesia nascente, ossessionata dal potere del denaro e, ovviamente, dall'eredità.

Nessun commento:

Posta un commento