giovedì 17 marzo 2022

Voyage of time: life's journey (Malick 2016)

Il sublime fatto cinema.
Finalmente, dopo cinque anni, il documentario di Terrence Malick esce anche in Italia e la sua forza sullo schermo è dirompente.
Il regista texano, che al progetto pensava sin dagli anni Settanta col provvisorio titolo di Q, unisce le sue grandi doti visive e la sua formazione filosofica, mettendo in immagine concetti che troviamo nelle pagine di filosofi come Burke e Kant, nell'arte di Turner e Friedrich, nel cinema di Herzog e Kubrick.
Prodotto tra gli altri da Brad Pitt (che nella versione IMAX, di 40 minuti, prestava anche la voce), il film, in questa edizione di 90 minuti, con la voce narrante di Cate Blanchett, è un'elegia filosofica e spirituale che inneggia panteisticamente alla natura (trailer).
Il viaggio nel tempo del titolo è un itinerario che racconta l'origine del mondo, dal Big Bang ai dinosauri, dalla glaciazione agli uomini primitivi, fino ai giorni nostri.
Le poche parole della sceneggiatura, scritta dallo stesso Malick, che ascoltiamo esclusivamente dalla voce narrante, sono un dialogo con la Madre (Natura), sin da prima della nascita di tutto, nella quiete del Nulla, a schermo nero.
L'universo, lo spazio, i pianeti, le nebulose deflagrano in fragori, terremoti, fuoco e lava che escono da voragini terrestri e si spengono nelle acque del mare, cascate e rocce magmatiche fumanti. Tutto è lentezza, in un inizio della storia della Terra davvero emozionante. 
Di lì in poi la nascita della vita, l'acqua, le prime cellule, i molluschi, i granchi e gli scorpioni, per poi vedere un dinosauro anfibio, gli pterodattili in volo e le uova schiuse a terra e, quindi, un dinosauro bipede (un tirannosauro?) passeggiare in completa solitudine lasciando le sue enormi impronte su una spiaggia.
La caduta del grande meteorite, la glaciazione e il ritorno alla vita: scimmie, leopardi, giraffe, elefanti, ma anche pesci spada, squali, banchi di pesci e gabbiani che li insidiano.
Ogni fase preistorica si alterna ad inserti del mondo contemporaneo e il "dove sei andata?", chiesto a più riprese alla Madre, è conseguenza delle immagini che raccontano la vita dei senzatetto in strada, degli anziani negli ospizi, dei popoli del terzo mondo senza cibo, ma anche le guerre e le manifestazioni in Siria. Il dolore (concetto sublime per antonomasia in Burke) e la devastazione di un mondo che sembra implodere e che, per dirla con James Hillman, abbraccia la "fantasia archetipica di tracollo presente in tutta la società occidentale".
Per ogni inquadratura un sussulto, una riflessione, di Malick e dello spettatore, immagini che evocano altre immagini, in un susseguirsi intenso e continuo di impressioni, entusiasmi e commozioni. Scenari e inquadrature di una bellezza e di una potenza incredibili, a cui il regista di Tree of Life (che contiene parti del girato di questo film) ci ha già abituato da decenni, ma che qui non sono più digressione filosofica ed estatica all'interno di una storia più o meno principale, ma sono sostanza del film tout court.
Eccezionale la fotografia di Paul Atkins, così come gli effetti speciali di Douglas Trumbull e la musica, per cui nel 2015 il regista aveva pensato ad Ennio Morricone (con lui già per il magnifico I giorni del cielo, 1978), un'idea che avrebbe reso il film ancora più emozionante. La colonna sonora, invece, alla fine è costituita da brani originali di Hanan Townshend e Simon Franglen e da un'antologia costituita, tra gli altri, da Bach, Beethoven, Mahler, Arvo Part, Poulenc, Paul Horn (elenco dei brani).
La parte destinata ai primi uomini, poi, non può non far pensare alla sequenza iniziale di 2001. Odissea nello spazio, pellicola con cui il film di Malick si confronta inevitabilmente e non solo in questo frangente. In poche immagini, come nel celebre precedente, il cineasta statunitense riassume la scoperta del fuoco, la caccia, lo scontro con i propri simili, la procreazione, che avviano la vita sociale che caratterizzerà il pianeta fino ad oggi.
Voyage of time, in fondo, può essere considerato un 2001 privo della storia degli astronauti, che racconta con le immagini la storia del mondo e la interpreta, la vive con intensità e la restituisce a noi spettatori non certo in maniera didattica e piana, ma con tutti i tormenti e la passione del caso. 
La sceneggiatura, in un continuo dialogo dell'uomo con la sfera superiore, si chiede perché la gioia non sia per sempre, cosa ci sia di davvero duraturo in questo mondo, in cui l'unico possibile senso è da trovare nell'amore che ci tiene uniti gli uni agli altri.
Dalla pellicola di Malick ci si lascia trasportare, ci si inabissa, per poi riemergere scoprendone la valenza psicagogica... accogliendo quella temporanea eternità che ci ricorda come "quello che vive in te non può morire".

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