Un Pedro Almodovar sorprendentemente politico, questa l'indubbia novità di Madres Paralelas, in cui il maestro spagnolo affronta l'ennesima vicenda di un nucleo familiare non tradizionale - e per questo sempre molto affascinante - al quale, inoltre, unisce una componente storico-politica che la dice lunga sulla situazione attuale in Spagna e sull'avvertita esigenza di essere così esplicito.
Sia chiaro, non che Almodovar abbia mai nascosto le sue propensioni politiche, ovviamente, tanto più che la sua carriera iniziò con il cortometraggio Film político (1974), ma che appaiano in maniera così evidente in una sua pellicola, si tratta di una rarità (trailer).
Le madri parallele del titolo sono Janis (Penelope Cruz), una fotografa di moda che, dopo una breve e disimpegnata relazione con Arturo (Israel Elejalde), marito in crisi, rimane incinta e decide di tenere il bambino anche senza l'aiuto del padre; e Ana (Milena Smit), adolescente che si ritrova ad avere un figlio dopo una serata di poca lucidità naufragata in violenza sessuale trascorsa con dei compagni di scuola.
Naturalmente le storie delle due donne si intrecceranno, complice il caso, in maniera totale e non solo per la contemporaneità della nascita delle figlie, Cecilia e Anita, ma vivranno sorprese e colpi di scena che sono parte della tradizione almodovariana, così come la loro indipendenza dagli uomini. Le due si incontreranno mesi dopo, si riavvicineranno e si conosceranno molto più profondamente, aiutandosi e superando insieme le difficoltà che la vita ha messo loro di fronte. Se Janis, infatti, ha perso la mamma molto giovane e ne rimpiange la figura, Ana ne ha invece una, Teresa (Aitana Sánchez-Gijón), decisamente inadeguata, come rivela la donna stessa in un significativo dialogo con Janis, durante il quale spiega il suo pessimo rapporto con l'ex marito, la sua rinuncia alla figlia e il proprio ordine di priorità, in cui a dominare è la carriera da attrice teatrale.
Teresa, infatti, totalmente autocentrata ed egoista, ha solo parole di rancore nei confronti del marito, colpevole di aver lasciato la figlia troppo libera e aver creato un problema a lei piuttosto che ad Ana ("ricordati di come me l'hai restituita"). D'altronde, le parole che usa per autodefinirsi sono quanto di più insopportabile Almodovar possa mettere in bocca ad un suo personaggio femminile, "io sono apolitica. Il mio scopo è piacere a tutti", frase che, per citare una famosa lettera di Cesare Pavese indirizzata nel 1943 all'ex allieva Fernanda Pivano, è l'apoteosi dell' "arrivare" anteposto all' "essere", nonché il modo migliore per togliere significato alla propria vita.
E il regista spagnolo torna sulla necessità di prendere posizione anche quando, parlando proprio dei desparecidos spagnoli, la cui vicenda come visto fa da cornice al film, Janis nota il disinteresse di Ana e la rimprovera seppur con affetto, consigliandole di "decidere dove vuoi stare tu!"
Neanche a dirlo, al melodramma cinematografico si affianca quello teatrale: Teresa sta preparando la sua interpretazione in Dona Rosita nubile, dramma di Garcia Lorca (1935), storia di una ragazza orfana innamorata del cugino che però, una volta partito per affari in Argentina, non tornerà mai più in Spagna per sposarla come promesso.
E la musica contribuisce al melodramma, con brani di Alberto Iglesias, collaboratore di Almodovar dal 1995, che spesso strizzano l'occhio al Bernard Hermann hitchcockiano (ascolta), su tutti brani come Las visitas o Terrible certeza, aumentando così anche la supence di un film dall'intreccio aggrovigliato e ricco di mistero.
E la musica contribuisce al melodramma, con brani di Alberto Iglesias, collaboratore di Almodovar dal 1995, che spesso strizzano l'occhio al Bernard Hermann hitchcockiano (ascolta), su tutti brani come Las visitas o Terrible certeza, aumentando così anche la supence di un film dall'intreccio aggrovigliato e ricco di mistero.
Meritato il premio come miglior attrice al festival di Venezia per Penelope Cruz, il cui personaggio è il trait d'union tra la componente più prettamente almodovariana, fatta di sentimento, indipendenza femminile e autodeterminazione, e quella storico-politica di cui si è già detto, poiché è proprio il paese d'origine di Janis, in Navarra, che conserva una fossa di vittime dei falangisti durante la guerra civile degli anni Trenta, che Arturo si propone di scavare per far riemergere i resti degli uomini uccisi ottanta anni prima.
Janis, che deve il suo nome alla madre yippie, amante di Janis Joplin e come lei morta di overdose a 27 anni, è una donna autonoma, benestante, che vive con una ragazza alla pari per aiutarsi nella gestione della figlia, e che chiede di lavorare, in caso di bisogno, all'amica Elena (Rossy de Palma), direttrice di una rivista di moda, davanti alla quale pronuncia una battuta divertente, ma che in poche parole sintetizza perfettamente la propria personalità. Janis, ancora a letto poco dopo la nascita della piccola Cecilia, nome ripreso dalla nonna navarrese, spiega ad Elena che la bambina è in osservazione perché ha avuto semplici difficoltà nell'adattamento extrauterino, e riflettendo prorompe con un eloquente "è questa la vita che la aspetta, extrauterina".
Almodovar gira con la consueta passione. La scena di sesso tra Janis e Arturo non necessita di parole della sceneggiatura: la mdp li inquadra a letto per poi uscire dalla finestra, a ridosso della quale il vento gonfia la tenda, chiaro simbolo sensuale, e scende fino in strada, con uno splendido movimento di dolly, oggi forse ottenuto attraverso un drone. La regia sfrutta spesso il montaggio alternato, che ben si accorda con il parallelismo delle due vite delle protagoniste, soprattutto nella fase del parto, che la mdp segue con attenzione.
Tanti i dettagli scenografici su cui vale la pena porre l'attenzione, tutti coloratissimi come sempre. Primo nel gruppo di vinili di Janis, è ben visibile il Greatest Hits di Janis Joplin (1973), ancora prima che la donna riveli ad Ana l'origine del suo nome, davanti ad una bella foto della madre. Foto, quadri, vestiti, asciugamani, mobili, coperte, elettrodomestici, una splendida fruttiera al centro della sala e persino lo spioncino della porta nell'appartamento di Janis catturano l'occhio e, in salotto, compaiono addirittura sculture dadaiste che ricordano quelle di Hans Arp e un mobile d'arte cinetica di Alexander Calder.
Madres Paralelas è l'ennesimo inno alla donna da parte di Almodovar, che non a caso mette indosso a Janis una maglietta con una scritta dal concetto forte e chiaro, "we should all be feminists". Stavolta, però, oltre alla donna e alla vita, il film è anche un inno alla storia, in cui i dettagli sono importantissimi perché in grado di parlare del passato, e lo saranno anche all'interno della fossa del piccolo paese navarrese, poiché, come giustamente ricorda la pellicola, citando Eduardo Galeano, "non esiste la storia muta"...
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