domenica 6 giugno 2021

The Human Voice (Almodovar 2020)

Pedro Almodovar adatta per il cinema il celebre monologo La voix humaine che Jean Cocteau scrisse nel 1930 per Berthe Bovy (ascolta). Che il regista lo amasse in particolar modo lo sapevamo, poiché all'interno della sua filmografia compariva in parte, inserito ne La legge del desiderio (1987), recitato da Carmen Maura, e poi nel più noto dei suoi primi film, Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988), liberamente ispirato al testo di Cocteau, ma trasformato in una storia d'amore straziato a più personaggi.
Prima e dopo Almodovar, che ora lo ha ripreso in grande stile, però, teatro, cinema e persino musica sono tornati più volte su La voce umana: da Roberto Rossellini, che nell'omonimo episodio de L'Amore (1948) l'affidò alla magistrale interpretazione di Anna Magnani (vedi), a Ted Kotcheff che invece utilizzò proprio l'ex moglie del regista italiano, Ingrid Bergman, per la sua versione del 1966 (vedi); da Francis Pulenc, che lo trasformò in opera nel 1959 (vedi), a Madonna che lo citò nel video I want you (1995, vedi). Più recentemente è stato riportato al cinema da Edoardo Ponti, che lo ha ripensato per la madre, Sophia Loren (2014, trailer) e da Patrick Kennedy, che ha scelto come interprete Rosamun Pike (2018, vedi).
Berthe Bovy nel 1930
Come in tutti questi casi, in scena c'è solo una donna al telefono (Tilda Swinton) che parla con il compagno che l'ha lasciata da pochi giorni (trailer). La telefonata è continuamente ostacolata da problemi tecnici, un tempo attribuiti da Cocteau alla rete telefonica di Parigi, oggi alle linee satellitari per i cellulari. È questa la prima grande differenza rispetto alle precedenti versioni, per la prima volta un'attrice interpreta il monologo stando al cellulare, una particolarità che non è solo un aggiornamento al passo coi tempi, ma soprattutto una possibilità cinematografica: Tilda Swinton può camminare per l'appartamento, rendendo il tutto decisamente più dinamico. Almodovar ne approfitta e la fa passeggiare per gran parte del tempo, mostrandoci i diversi ambienti e la scenografia.
I dipinti di Artemisia Gentileschi e di Giorgio De Chirico
Ogni singolo fotogramma ci dice che siamo di fronte ad un film di Almodovar, ma è proprio la scenografia l'elemento maggiormente identitario. L'appartamento è dominato da colori, e tra questi il rosso prevale ovunque: rosso è il vestito della protagonista, rossa è la custodia del suo cellulare, rossi alcuni pensili della cucina, rossa la macchina del caffè e rosso, ovviamente, anche il particolare annaffiatoio del finale a sorpresa, decisamente almodovariano anch'esso.
Anche le copie di quadri alle pareti si sposano perfettamente con il testo di Cocteau: sopra il letto campeggia Venere e Cupido di Artemisia Gentileschi (Virginia Museum of Fine Arts), un quadro che è una summa iconografica dell'amore; ma ancora più significativo è uno dei tanti Ettore e Andromaca di Giorgio De Chirico appeso in sala, ovviamente un dipinto sulla coppia, ma non solo, si tratta di una coppia che, dopo quell'abbraccio, non si rivedrà mai più, poiché Ettore subito dopo varcherà le mura di Troia per affrontare Achille.
Almodovar gira da par suo e nei trenta minuti del corto si notano carrelli, prospettive centrali e bellissime inquadrature che riprendono il set dall'alto.
Del testo originale resta intatto il grande studio sugli stati d'animo, che evidenziano il ritratto di una donna disperata che li alterna continuamente passando dall'amore alla rabbia, in un'instabilità che solo l'amore può far provare. Tilda Swinton, come tutte le attrici che prima di lei hanno interpretato questa parte, oscilla dalle bugie per tranquillizzare l'ex compagno alla verità della sua disperazione, dall'ostentata calma al pianto. Qua e là frasi icastiche che riassumono la sua lotta interiore: "fuggire, uscire, sono la stessa cosa"; "soffrivo come un animale, ma godevo anche come un animale".
Lì, vicino a lei, ci sono le valigie, pronte per essere ritirate dal suo ex, e il cane (Dash), che oltre a sentire la mancanza del padrone, che cerca con l'olfatto ovunque, coccola anche la donna.
Almodovar aggiunge una premessa lontana dall'ambientazione tradizionale, fornendo un tocco cinematografico in più con un'altra scena: la donna si reca in un negozio di ferramenta per acquistare una scure, con cui simbolicamente colpirà a più riprese un completo del compagno adagiato sul letto. Proprio l'aggiunta del negozio, peraltro, permette al regista di inserire dei titoli di testa sorprendenti, in cui il titolo, il suo nome e il nome dell'attrice vengono delineati da arnesi e oggetti da ferramenta, in un piccolo capolavoro di grafica. La musica di Alberto Iglesias conferisce un'atmosfera thriller all'insieme (ascolta).
C'è spazio, infine, anche per un po' di cinefilia, con un'altra aggiunta almodovariana, che mostra la protagonista sistemare libri e dvd visti con il compagno: tra i film spiccano Secondo amore (Sirk 1955); Kill Bill (Tarantino 2003-04), Jackie (Larraín 2016), Il filo nascosto (Anderson 2017), pellicole di amori melodrammatici, di vendetta, di abnegazione, tutte sicuramente amate dal regista spagnolo.
Un cortometraggio come questo è la conferma della validità della Politica degli autori: sono passati quasi settant'anni dall'articolo di Truffaut su Alì Baba di Jacques Becker (1955), e non c'è dubbio che c'è più cinema in trenta minuti di un autore come Pedro Almodovar, che in tanto altro di quello che viene distribuito sui grandi (e ormai anche piccoli) schermi.

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