venerdì 30 aprile 2021

Nuevo orden (Franco 2020)

I titoli di testa, caratterizzati da un font in cui alcune lettere sono invertite, costituiscono solo il primo di una serie di simboli stranianti e disturbanti che si susseguiranno nel corso di questo gran bel film di Michel Franco, vincitore del premio della giuria a Venezia, ambientato in un Messico dal presente distopico in cui le distanze tra ricchi e poveri sono incolmabili.
Ne consegue che la rivolta, nella sua forma più dura e senza pietà, sia l’unica soluzione a disposizione di chi versa in condizione di indigenza e di difficoltà continue. Non c’è speranza per nessuno, l’etica, il rispetto, la solidarietà e la vicinanza per chi appartiene all'altro ceto sociale non paga, è sempre il peggio che prevale, in ogni contesto.
La storia è introdotta da alcune immagini che vediamo per pochissimi secondi, apparentemente prive di relazione l'una con l'altra, ma di cui comprenderemo il significato solo più avanti. Tra queste una citazione da Shining: delle scale, inquadrate in prospettiva centrale, vengono inondate da un liquido verde, invece del sangue che compariva nel capolavoro di Kubrick.
E in Nuevo Orden la stessa modifica cromatica riguarda i ribelli, che al posto del rosso, simbolo dei violenza e di rivolta da sempre (non serve scomodare Michel Pastoureau), usano proprio il verde, con cui colpiscono i membri dei ceti più abbienti e con cui scrivono slogan di libertà e giustizia sui muri (es. "fuera tu dios", "putos ricos", "iusticia"). E chissà se il Nuevo Orden verde, teorizzato dallo spagnolo Pedro Franco, che però fa riferimento ad una rivolta ecologica, possa essere stato fonte di ispirazione per questa scelta.
Il film, nella sua essenza, è tutto nella prima mezz’ora, in cui un matrimonio dell’alta borghesia messicana è teatro simbolico della condizione sociale di un paese letteralmente spaccato tra i due estremi. Il resto della pellicola è agonia e sofferta empatia, che lascia lo spettatore, rapito dalle immagini, attonito sulla poltrona.
Gli sposi, le loro famiglie e gli invitati si contrappongono ai domestici e ai camerieri del catering ingaggiato per l'occasione. Marianne Novelo (Naian González Norvind) è la sposa, l'unica a farsi in quattro per aiutare Rolando (Eligio Meléndez), un anziano ex domestico della sua famiglia, ora costretto a chiedere loro un ingente aiuto economico, poiché altrimenti sua moglie Elisa non potrà essere operata. Sono proprio Marianne e Rolando i rappresentanti migliori delle due classi sociali contrapposte, ma, va detto, sono delle rarissime eccezioni.
La mdp di Franco, che del film è regista, sceneggiatore e montatore, accompagna i personaggi all'interno e al di fuori della villa con piani sequenza che conferiscono maggiore tensione alle sequenze. Tutto cozza con il clima di festa: l'atmosfera che si respira è quella degli incontri tra potenti che approfittano di essere lì per fare affari, per fare soldi, ma quando Rolando arriva con la sua richiesta disperata, dei soldi non c'è più traccia, e tutta la famiglia di Marianne, costituita dalla madre Rebeca (Lisa Owen), dal padre Iván (Roberto Medina), dal fratello Daniel (Diego Boneta) e dalla sorella Piral (Patricia Bernal), si arrocca puntando a liberarsi di quel fastidio con un po' di denaro, senza aiutarlo veramente.
È Marianne che, portando con sé Cristian (Fernando Cuautle), uno dei domestici, decide di allontanarsi dalla villa e di andare a casa di Rolando e della moglie viaggiando in automobile all'interno di una città blindata, in cui le strade sono bloccate dalle masse di manifestanti e dai presidi dall'esercito.
La rivolta deflagrerà di lì a poco e quella che sembra una fortuna, essere uscita di casa, si rivelerà per Marianne la peggior scelta mai compiuta.
Se sulle prime immagini avevamo pensato a Shining, la violenza dei manifestanti contro i ricchi e il sapore di vendetta dei domestici contro i padroni ci proietta immediatamente in un parallelo con Parasite (Bong Joon-ho 2019), con la differenza che in Nuevo Orden il reddere rationem, rispetto al film coreano, accade sin dall'inizio della pellicola.
I ribelli, quasi tutti indios, a conferma che la lotta di classe è anche fatta di discriminazione razziale, rapiscono, razziano, sparano, uccidono, violentano, torturano. Non ci sono limiti alla loro furia e, quando vediamo i prigionieri con i numeri che li identificano stampigliati sulla fronte, denudati per essere lavati in gruppo con una pompa, l'associazione ai campi di concentramento nazisti è inevitabile. C'è possibilità di tornare alla vita di prima? Certo, e la restaurazione serve a questo, condita di ufficialità, di esercito, bandiere e fanfara, ma la violenza è la stessa, solo di segno opposto, chi ci guadagna? Nessuno, oppure sempre gli stessi. Ora la dittatura è possibile.
Il monito di Michel Franco al Messico attuale, in cui disparità sociale e violenze sono già la quotidianità, è dichiarato.
Davvero un gran bel film. Un pugno nello stomaco su cui si riflette per giorni.

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