sabato 3 aprile 2021

Ma Rainey's Black Bottom (Wolfe 2020)

In un'America in cui gli afroamericani sono considerati esclusivamente come bassa manovalanza, Ma Rainey è una star musicale e si comporta da diva, nel senso più completo e anche irritante del termine.
George C. Wolfe adatta un soggetto di una pièce teatrale di August Wilson (1984) - il più importante dei drammaturgi afroamericani degli ultimi cinquant'anni - dedicata a quella che venne definita "la madre del blues" (1886-1939), e si avvale della notevole fotografia dai toni caldi di Tobias Schliessler, ma soprattutto della colonna sonora di Branford Marsalis (ascolta) e della recitazione di ottimi interpreti, su tutti Viola Davis e Chadwick Boseman - al suo ultimo ruolo prima della prematura scomparsa nell'agosto 2020 - entrambi candidati agli Oscar come migliori attori protagonisti (trailer).
Chicago, 1927. Un gruppo di musicisti attende Ma Rainey per incidere un disco: il pianista Toledo (Glynn Turman) è il più anziano e saggio di loro; Levee (Chadwick Boseman) il giovane e talentuoso trombettista, sfrontato, ribelle e anticonformista, che prorompe in frasi a effetto come "Dio non mi rappresenta per niente", e che spinge il suo ateismo fino agli estremi più blasfemi ("Dio può baciarmi il culo"; "il tuo Dio non vale un cazzo!") che lo portano al duro scontro col trombonista Cutler (Colman Domingo), altro componente del quartetto completato dal bassista Slow Drag (Michael Potts).
Ma Rainey è attesa da tutti, ma dopo il suo arrivo l'entusiasmo durerà poco, dato l'atteggiamento irriverente, attaccabrighe e sospettoso che assume, oltre a presentarsi accompagnata dal nipote Sylvester (Dusan Brown) e dalla giovane amante Dussie Mae (Taylour Paige), che contribuiscono per motivi diversi a turbare un'armonia già pesantemente compromessa dalla cantante. 
Al primo, timido e balbuziente, è assegnato il compito di recitare i versi introduttivi del brano da registrare: inevitabile che le continue interruzioni, ancor prima di iniziare a suonare, risultino uno strazio per i musicisti; la seconda, bellissima, intrigante e sensuale, è una sfida in carne e ossa - una relazione lesbica, tanto più di due afroamericane, al tempo, non poteva essere percepita diversamente - e con la sua avvenenza non può non colpire Levee, scatenando la gelosia di Ma.
La personalità di Ma Rainey domina la vicenda e sono sue alcune delle battute più iconiche del film, come "tiene tutto in equilibrio la musica, riempie la vita. Più musica c'è nel mondo, più è pieno".
La pellicola, data la sua origine teatrale, si svolge quasi completamente all'interno dello spazio esiguo dello studio di registrazione della Paramount, di fatto un semplice appartamento sotto il livello stradale, tra lunghi dialoghi, colpi di scena, piccoli intrighi e continui contrasti.
La sceneggiatura di Ruben Santiago-Hudson, attore al suo esordio in questo nuova veste, è valida, ma risulta decisamente insopportabile la versione italiana che, sia nel doppiaggio, sia nei sottotitoli, edulcora lo slang duro e frontale del testo originale con degli inutili interventi politically correct come "amico", costantemente utilizzato al posto del frequentissimo "nigger" con cui i personaggi si apostrofano.
I pochi bianchi soccombono nel rapporto con Ma, che interrompe il lavoro quando vuole, fa i capricci e pretende di riprendere solo dopo essere stata accontentata, offende gli altri, dà dei pressappochisti ai produttori del disco.
La sua è una reazione al disagio sociale e al razzismo subito da sempre, elementi che emergono anche nel monologo di grande pathos con cui Levee, accusato dagli altri di temere i bianchi, racconta un terribile episodio di violenza accaduto alla madre durante la sua infanzia.
Un'ultima notazione per un finale drammatico, con un'immagine da Vesperbild michelangiolesca ripresa dall'alto, mentre la mdp inizia a ruotare lentamente attorno ai personaggi: è evidente che Spike Lee, punto di riferimento imprescindibile del cinema afroamericano da ormai oltre trent'anni, sia un modello anche per Wolfe, e che Denzel Washington, attore feticcio del grande cineasta newyorchese, sia tra i produttori del film, dà la sensazione di chiudere il cerchio.
Il blues, dalla fine dell'Ottocento, raccontava la vita dei neri americani, e Ma Rainey's Black Bottom prova a fare lo stesso, affrontando lo spirito di rivalsa o l'accettazione cristiana di chi era abituato a vivere nell'ingiustizia sociale, atteggiamenti contrapposti che qualche decennio dopo saranno rappresentati dai più grandi leader afroamericani Malcolm X e Martin Luther King. Il blues è una storia di identità di un popolo, segna l'epoca della Grande Migrazione dei neri dalla brutalità e dalle piantagioni del sud degli Stati Uniti alle nuove possibilità salariali che gli prometteva il nord. 
Non a caso, la protagonista arriva da Columbus (Georgia) a Chicago (Illinois), per registrare un disco. Il blues era la musica della speranza in un futuro migliore e, in questo senso, appare perfetta la definizione che ne dà Ma Rainey: "è la voce della vita. Non canti per sentirti meglio, canti perché cantando, capisci la vita. Il blues ti butta giù dal letto la mattina, ti alzi sapendo che non sei sola, che c'è altro nel mondo". Chapeau.

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