lunedì 20 luglio 2020

Georgetown (Waltz 2019)

Christoph Waltz, indubbiamente uno dei migliori attori della sua generazione, esordisce come regista in un film che lo vede non solo protagonista, ma costantemente in scena. L'attore austriaco prova a citare qua e là gli stilemi di alcuni grandi registi del passato, ma questi risultano spesso fini a se stessi e la pellicola non appassiona quanto vorrebbe.
Il tutto non va oltre il compitino e nonostante l'istrionismo di Waltz interprete, il suo alter ego dietro la mdp non convince granché (trailer).
La storia è tratta dall'articolo di Franklin Foer pubblicato sul New York Times, dal titolo The Worst Marriage in Georgetown. Il matrimonio in questione è quello tra Ulrich Mutt (Christoph Waltz) e Elsa Brecht (Vanessa Redgrave) - nella realtà Viola Herms Drath, giornalista e figura di spicco nelle relazioni tedesco-americane -, che vivono nella bellissima casa di lei nel ricco distretto a nordovest di Washington che dà il titolo al film.
Il menage tra Ulrich ed Elsa appare evidente sin dall'inizio della storia, narrato con un piano-sequenza stile Nodo alla gola (Hitchcock 1948), di cui condivide anche la medesima situazione, un cocktail altoborghese con gli invitati che conversano mentre la mdp si aggira tra di loro. Ulrich fa tutto: il cuoco, il cameriere, l'ospite sorridente che intrattiene; una sorta di Charlie Chaplin che dalla catena di montaggio è passato ai salotti dell'alta società e che passa a se stesso le pietanze attraverso il passavivande da un piano all'altro della casa.
Va a chiamare in camera Elsa, novantunenne e debilitata, solo quando dabbasso è tutto pronto e può letteralmente farla entrare in scena come sfavillante padrona di casa. Suo marito è, di fatto, anche il suo maggiordomo e questo atteggiamento affettato e servile, naturalmente, nasconde una relazione di convenienza, palese anche per l'anziana signora, che però ci passa sopra, ma soprattutto per la figlia di questa, Amanda (Annette Bening), che è da tempo ai ferri corti con Ulrich e che a metà della cena va via perché non tollera più le parole e gli atteggiamenti ipocriti e autocelebrativi di quell'uomo che per età potrebbe essere suo fratello.
L'improvvisa morte di Elsa, proprio in quella notte, dopo che anche gli altri invitati sono andati via, cambia la vita di Ulrich, costretto a difendersi dalle inevitabili accuse. Allo stesso tempo permette al film, attraverso un montaggio alternato (diretto da Brett M. Reed), di raccontare la storia dei due sposi dall'inizio della loro conoscenza, alla fine degli anni '90 del secolo scorso, insieme al presente fatto di indagini, tribunali e processi.
La pellicola è divisa in capitoli, che vedono sempre Ulrich al centro dell'attenzione, come sottolineano i titoli: "lo stagista", "il maggiordomo", "il diplomatico", che accompagnano l'evoluzione dei suoi ruoli dall'arrivo negli Stati Uniti al matrimonio con Elsa; per poi passare a "l'incidente", "l'inserimento"; "la verità", che dipanano il resto della vicenda.
Ulrich è un arrampicatore sociale in piena regola, pronto a tutto pur di arrivare in alto. Adulare un'anziana vedova come Elsa, che per il suo lavoro è in contatto con gli uomini più importanti di Washington, è uno dei modi più rapidi per far carriera. La donna si lascia andare, nonostante i dubbi della figlia, a cui dichiara semplicemente che gli altri pretendenti "sono anziani e noiosi, lui è giovane e interessante".
L'impalpabilità della carriera di Ulrich, vissuta a mezz'aria tra la realtà, la truffa, l'egocentrismo e la fantasia, è tutta nel nome della società di pubbliche relazioni diplomatiche e politiche, che passa da "Simposio delle soluzioni mondiali" al definitivo "Gruppo persone eminenti" (EPG, Eminent Persons Group), raccontata in una sequenza di dialogo tra Ulrich ed Elsa che tra volti e titoli buffi sembra uscita da uno sketch dei Monty Python.
Eppure grazie a questa strana società, Ulrich riuscirà ad invitare a cena in casa persone del calibro dell'ambasciatore canadese, il senatore del Nebraska; ad entrare in contatto con George Soros e l'ex segretario della difesa Robert McNamara.
L'ambiguità del personaggio, vissuta in primis con la moglie stessa, lo porterà lontano da casa e a tessere trame diplomatiche da una fantomatica villa Zarathustra in Iraq, in realtà un luogo molto più prosaico e vicino, dal quale comunque riuscirà a creare un alone quasi mitologico attorno alla propria figura...
La sceneggiatura di David Auburn si mette al servizio di Waltz e, pur senza eccellere, regala qualche perla, come l'aforisma che Ulrich pronuncia in un brindisi davanti all'uditorio: "la diplomazia è l'arte di dire alle persone di andare all'inferno in modo tale che chiedano indicazioni".
La regia, oltre quell'inizio stile Nodo alla gola, fa largo uso dei piani sequenza e torna su Hitchcock almeno in un'altra occasione, con un'inquadratura dall'alto dei corrimano delle grandi scalinate, che fa subito pensare a Notorious (1946).
Un po' di cinefilia forse è anche in quella benda sull'occhio che, a seconda delle circostanze, il sedicente brigadiere delle forze speciali irachene Ulrich Mutt indossa. Lui la usa come segno distintivo e di onore per apparire invalido di guerra, ma chi guarda può liberamente crederlo un omaggio a registi come Fritz Lang, Raoul Walsh, Nicholas Ray e, ovviamente, John Ford. Ma non scomodiamo mostri sacri come questi e rimettiamo via l'idea  suggerita da quella benda...

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