giovedì 16 aprile 2020

L'onore dei Prizzi (Huston 1985)

La mafia a far da sfondo a una commedia romantica e ricca di colpi di scena tanto da far pensare a Billy Wilder, Raoul Walsh e Ernst Lubitsch insieme, anche se dietro c'è un altro dei mostri sacri del cinema statunitense... John Huston, qui al suo penultimo film di una carriera lunga quasi cinquant'anni, gira l'adattamento dell'omonimo romanzo (1982) curato dal suo stesso autore, Richard Condon, e da Janet Roach (trailer).
Per questo melodramma giocoso, Huston utilizza un cast di grandissimo livello, che va dai giovani Jack Nicholson, Kathleen Turner e Anjelica Huston (la figlia del regista fu l'unica delle otto nomination a ottenere l'Oscar, come miglior attrice non protagonista), ai più attempati Robert Loggia, John Randolph e Lee Richardson, e lo dirige in maniera sopraffina, facendo dare a tutti il meglio di sé.
Sulle capacità registiche di chi ha girato Il mistero del falco (1941) o Giungla d'asfalto (1950) forse si potrebbe soprassedere, ma il montaggio iniziale con cui Huston racconta la vita del protagonista Charley Partanna (Jack Nicholson), dalla nascita all'età adulta, è da manuale del cinema.
La mafia e la sua ritualità sono riassunte in pochissimi secondi: nel battesimo prima e nel patto di sangue poi, infatti, Charley ha come padrino don Corrado Prizzi (William Hickey), il più grande boss di New York. E il film, non a caso, dopo questa perfetta introduzione, inizia con un altro momento rituale: un matrimonio. A sposarsi, però, stavolta è una nipote di don Corrado, un personaggio insignificante ai fini della storia, di lei e del marito non ci viene detto nemmeno il nome. La sequenza, infatti, splendidamente architettata, serve a mostrarci i personaggi principali, prima in chiesa, poi al ricevimento.
La mdp riprende le alte vetrate policrome col Cristo risorto e gli apostoli e il complesso altare maggiore spagnoleggiante della chiesa neogotica di Saint Ann & the Holy Trinity a Brooklyn, per poi scendere sugli invitati, evidenziando rapidamente il connubio chiesa, mafia, polizia, e quindi don Corrado dormiente circondato dagli altri potenti della famiglia e, più in fondo, proprio Charley, per nulla interessato alla cerimonia, ma continuamente distratto dal matroneo in alto, dov'è una bellissima invitata che non conosce e che, solo dopo una lunga ricerca, scoprirà essere Irene Walker (Kathleen Turner). Tra gli invitati c'è anche Maerose Prizzi (Anjelica Huston), nipote del don e già promessa sposa di Charley, ma che, dopo la rottura del fidanzamento per alterne vicende, è stata allontanata dalla famiglia e soprattutto dal padre, Dominic (Lee Richardson).
Charley e Irene si conosceranno e si innamoreranno, ma la ragazza d'origine polacca, che si presenta come semplice consulente finanziaria di Los Angeles, si rivelerà essere in realtà una donna ben più addentrata nella malavita statunitense... peccato che l'unico a non saperlo sia proprio Charley!
Gran parte del film è in questo equivoco e nelle "dolci" bugie di Irene, a cui Charley, sempre più consapevole, sottostà pienamente, "ti guardo e vedo solo quello che voglio vedere... ecco cos'è l'amore". E, nel frattempo, la loro relazione è fatta di continui spostamenti New York-Los Angeles, sottolineati dal costante motivo dell'aereo che va alternativamente verso ovest o est a seconda dei casi. I tre boss alle loro spalle e soprattutto una fantastica Maerose, indimenticabile la sequenza in cui, riaccettata dal padre in casa, si trucca per darsi un'aria dimessa e poi inizia ad accusare Charley di averla violentata non lesinando sui particolari sessuali per colpire il padre...
Sono tante altre le battute dell'ottima sceneggiatura di questa farsa intricata che restano nella memoria. Maerose, ad esempio, è un'arredatrice e il suo incontro con Charley è a tema, lei gli parla di "art deco" e lui risponde "chi?", "viene dopo l'Art Nouveau, è uno stile, non è mica una persona!". Ancora più divertente la descrizione della propria appariscente autovettura da parte di Irene: "è una Excalibur, la fanno i giapponesi in Inghilterra per gli sceicchi arabi".
E così, da trattato scientifico il tentativo di Charley di differenziare l'amore dall'innamoramento: "Non ho detto innamorato, innamorato è temporaneo, perché dopo ci si innamora subito di un altro, tutti si innamorano di continuo, poi dopo gli passa.
Io le so queste cose, ricordo che ho letto tutto un articolo su una rivista specializzata: quando sei innamorato... c'è una secrezione ormonale che cambia il senso dell'odorato". Maerose, invece, più avanti, in uno dei momenti di difficoltà di Charley con Irene, definisce la donna in un modo che diventa un'accusa all'intera popolazione femminile statunitense: "lei è americana. Ha visto che poteva fare soldi facili e ci si è buttata". È, invece, ad Angelo Partanna (John Randolph) che spetta dire al figlio la più bella frase sull'onore, tema centrale dell'intero film: "me lo dici che cos'è un po' d'onore di fronte a sei, settecentomila dollari?".
Notevole la colonna sonora di Alex North, già collaboratore di Huston per Gli spostati (1960), che propone l'Ave Maria di Schubert per il matrimonio iniziale, e poi prosegue riarraggiando tanti altri brani classici, come Gianni Schicchi di Puccini, la Gazza ladra di Rossini (per il rapimento del banchiere Rosario Filargi). Non può mancare, infine, il momento in cui l'opera lirica diventa diegetica, secondo un topos del genere mafia movie, come rimando alla cultura italiana: durante la festa di pensionamento di Dominic Prizzi, già allietata da un sottofondo tratto dall'Aida, il tenore Tommasino Baratta intona la donizettiana Una furtiva lacrima. Oltre tutto questo, però, c'è spazio anche per classici americani come Strangers in the night di Sinatra, che ascoltiamo durante il ricevimento del matrimonio, o Esta noche de luna di Osvaldo Pugliese che suona mentre Charley e Irene si dichiarano.
L'onore dei Prizzi cede un po' agli anni che passano, a partire dai titoli di testa davvero anni '80 per la tipologia del font e per il gradiente colorato (quanto appare azzeccata la scelta di Woody Allen in questi casi di riproporre titoli di testa eleganti e sempre identici nei suoi film), ma resta un ottimo film per costruzione, regia, sceneggiatura e interpreti. Non poco, davvero.

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