Il thriller di Ahn Sang-hoon, regista coreano classe 1975, sconfina nell'horror con una storia che inizia da una premessa tragica: Min Soo-ah (Kim Ha-neul) è un'allieva dell'accademia di polizia sud-coreana che nello stesso incidente d'auto perde la vista e causa la morte del fratello, ammanettato allo sportello. Tre anni dopo la vita della ragazza riprende, al fianco del suo cane, la labrador Wisey (in originale Seul-gi), che l'accompagna ovunque. Soo-ah è convinta di essere stata accantonata dalla polizia perché divenuta cieca, ma quando chiede di essere reintegrata scopre che in realtà è stata espulsa per incuria e per aver causato la morte del fratello (trailer).
Eppure, nonostante le sue condizioni, diverrà una preziosa risorsa del detective Jo (Jo Hee-bong), complice ancora una volta una brutta esperienza vissuta in prima persona, stavolta come passeggera di un taxi. La scomparsa di alcune ragazze, infatti, metterà la polizia sulle tracce di un rapitore seriale, e proprio l'aiuto di Soo-ah si rivelerà fondamentale...
Ahn Sang-hoon crea tensione in ogni momento: gli basta far attraversare la strada alla protagonista per mettere in ansia lo spettatore, messo in condizione di percepire l'arrivo delle auto e gli insulti di chi le guida, rivolti alla povera Soo-ah, paralizzata al centro della carreggiata tra i clacson e le urla degli autisti. Il regista interviene soprattutto sul sonoro, com'è ovvio, per farci entrare in empatia col personaggio che spesso, nella sceneggiatura, si ritrova a spiegare quanto la sua attenzione e i suoi ragionamenti possano sopperire alla mancanza più evidente.
"Per me è sempre notte", risponde a quella che può essere definita la sua seconda mamma, colei che l'ha seguita per anni nell'orfanotrofio in cui è cresciuta, preoccupata che debba muoversi per tornare a casa quando è ormai buio.
Anche il poliziotto che la interroga per aver incrociato l'uomo che sta cercando, dopo le prime perplessità, le riconosce delle capacità sorprendenti, tanto da consigliarle di provare la carriera della psicologia criminale. Soo-ah, infatti, usa la logica, l'olfatto, l'udito, interpretando profumi, gesti, rumore del vento, movimenti, e riuscendo così a raggiungere conclusioni più determinanti di chi ha avuto a disposizione la vista.
Non a caso, ancora più diretta e irrispettosa è l'iniziale sfiducia nei suoi confronti da parte dell'altro testimone, Kwon Gi-seob (Yoo Seung-ho), un giovane che ricorda dettagli differenti rispetto a Soo-ah e che per questo la deride. Col tempo non solo dovrà ricredersi, ma la naturale propensione della ragazza, che vede in lui un alter ego del fratello morto, lo porterà anche ad affezionarsi a lei e a prendersene cura.
Diverse le sequenze in cui la suspense funziona come il genere richiede. Il Blind del titolo, per esempio, viene annullato dalla tecnologia, in una delle migliori scene del film, qui sì degna di un horror, con l'assassino che pedina Soo-ah nella metropolitana, e la ragazza che "recupera" temporaneamente la vista grazie alla fotocamera del proprio cellulare in una videochiamata con Gi-seob che così può darle indicazioni. E sarà, invece, proprio l'annullamento della visibilità, più avanti, l'espediente fornito alla protagonista che fa saltare l'energia elettrica di un appartamento per avere un vantaggio rispetto all'assassino non abituato a muoversi al buio...
Una buona pellicola, dominata da una regia che, come visto, è in grado di tenerci col fiato sospeso e che, inoltre, ci costringe continuamente a fare i conti con l'idea della visione e della mancata visione, in un'allegoria che è essa stessa idea di cinema.
Ahn Sang-hoon crea tensione in ogni momento: gli basta far attraversare la strada alla protagonista per mettere in ansia lo spettatore, messo in condizione di percepire l'arrivo delle auto e gli insulti di chi le guida, rivolti alla povera Soo-ah, paralizzata al centro della carreggiata tra i clacson e le urla degli autisti. Il regista interviene soprattutto sul sonoro, com'è ovvio, per farci entrare in empatia col personaggio che spesso, nella sceneggiatura, si ritrova a spiegare quanto la sua attenzione e i suoi ragionamenti possano sopperire alla mancanza più evidente.
"Per me è sempre notte", risponde a quella che può essere definita la sua seconda mamma, colei che l'ha seguita per anni nell'orfanotrofio in cui è cresciuta, preoccupata che debba muoversi per tornare a casa quando è ormai buio.
Anche il poliziotto che la interroga per aver incrociato l'uomo che sta cercando, dopo le prime perplessità, le riconosce delle capacità sorprendenti, tanto da consigliarle di provare la carriera della psicologia criminale. Soo-ah, infatti, usa la logica, l'olfatto, l'udito, interpretando profumi, gesti, rumore del vento, movimenti, e riuscendo così a raggiungere conclusioni più determinanti di chi ha avuto a disposizione la vista.
Non a caso, ancora più diretta e irrispettosa è l'iniziale sfiducia nei suoi confronti da parte dell'altro testimone, Kwon Gi-seob (Yoo Seung-ho), un giovane che ricorda dettagli differenti rispetto a Soo-ah e che per questo la deride. Col tempo non solo dovrà ricredersi, ma la naturale propensione della ragazza, che vede in lui un alter ego del fratello morto, lo porterà anche ad affezionarsi a lei e a prendersene cura.
Diverse le sequenze in cui la suspense funziona come il genere richiede. Il Blind del titolo, per esempio, viene annullato dalla tecnologia, in una delle migliori scene del film, qui sì degna di un horror, con l'assassino che pedina Soo-ah nella metropolitana, e la ragazza che "recupera" temporaneamente la vista grazie alla fotocamera del proprio cellulare in una videochiamata con Gi-seob che così può darle indicazioni. E sarà, invece, proprio l'annullamento della visibilità, più avanti, l'espediente fornito alla protagonista che fa saltare l'energia elettrica di un appartamento per avere un vantaggio rispetto all'assassino non abituato a muoversi al buio...
Una buona pellicola, dominata da una regia che, come visto, è in grado di tenerci col fiato sospeso e che, inoltre, ci costringe continuamente a fare i conti con l'idea della visione e della mancata visione, in un'allegoria che è essa stessa idea di cinema.
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