sabato 28 ottobre 2017

120 battiti al minuto (Campillo 2017)

Il film di Robin Campillo, vincitore del Gran premio della giuria al Festival di Cannes, riesce a scuotere profondamente chi lo guarda e i silenziosi titoli di coda scorrono bianchi su fondo nero come un necrologio davanti agli spettatori che restano impietriti o si asciugano le lacrime in sala.
120 battiti al minuto (trailer) è un pugno nello stomaco, poetico e pienamente politico, dall'inizio alla fine. La storia è quella che ad inizio anni '90 vede protagonista Act Up Paris, l'associazione contro l'AIDS sorta nel 1989 nella capitale francese sul modello di quella statunitense (1987), e racconta le vicende di un gruppo di attivisti che la compongono, tra cui si distinguono Thibault (Antoine Reinartz), Sophie (Adèle Haenel), Max (Félix Maritaud), Nathan (Arnaud Valois) e, soprattutto, Sean (Nahuel Pérez Biscayart), uno tra i più combattivi e coraggiosi, ma anche colui che vivrà sulla propria pelle l'evoluzione del virus...

La pellicola di Campillo, fino ad ora principalmente attivo come sceneggiatore, ma qui al suo terzo film da regista, è bipartita in due blocchi ben distinti: il primo riguardante l'attività del gruppo, con le sue manifestazioni, le azioni di protesta coordinate da lunghe assemblee in cui si decidono le linee di condotta del gruppo, non sempre condivise; la seconda incentrata sulla malattia e sul suo inesorabile avanzamento. Sullo sfondo, a fare da detonatore all'indignazione che sfocia nella rabbia dell'organizzazione stessa, la Francia di Mitterand, che gestisce l'epidemia di AIDS tentando di ignorarla il più possibile, limitando al minimo l'informazione, emarginando i malati, soprattutto se omosessuali, prostitute o tossicodipendenti, avallando l'idea che sia una malattia che colpisce i gruppi ai margini della società e per questo meno degna di attenzione. A peggiorare il tutto, le case farmaceutiche, nella fattispecie la Melton Farm, a cui Act Up contesta la lentezza nella sperimentazione e nella distribuzione dei farmaci, in quella che di fatto rappresenta una lotta contro il tempo che vede i malati in continuo e costante svantaggio.
L'associazione governativa cui viene demandata ogni responsabilità in materia è l'FLS, contro la quale si scatena la scena di protesta con cui si apre il film e che avviene durante una conferenza di facciata, utile più a placare gli animi e la stampa che ad aiutare le persone malate. Campillo gira la sequenza splendidamente, mostrando il palco da dietro le quinte, dove nel buio sono raccolti i membri di Act Up che aspettano il momento giusto per intervenire. Lo spettatore, grazie alla soggettiva della mdp, viene equiparato ai membri del gruppo e vive lo stesso senso di liberazione quando la protesta esplode contro tutta quell'omertà e quell'insopportabile perbenismo, che sembra attecchire persino su molte delle persone più a rischio del contagio, che vedono in Act Up un'associazione inutilmente allarmista che limita la loro libertà sessuale.
Un'altra sequenza di grande impatto è quella della scuola. Sensibilizzare i ragazzi su un argomento così scottante viene vissuto in maniera differente dai diversi professori, alcuni si scandalizzano, altri considerano importante il messaggio da comunicare ai ragazzi, mentre il preside non solo rifiuta l'installazione di un distributore di profilattici nella scuola ma, tra l'incredulità degli attivisti, ricorda che i suoi studenti sono ancora minorenni proclamando l'altrettanto assurdo assunto che "la nostra scuola è un santuario".
Proprio Sean, in un lungo dialogo con Nathan, che avviene nell'intimità del loro primo rapporto sessuale, si apre confidando al futuro compagno di aver contratto il virus dell'HIV durante gli anni del liceo, facendo sesso con un professore sposato e con figli. Nonostante questo, però, non sente di essere meno colpevole, conscio che "la responsabilità non va a percentuale".
Sean è il più ribelle di Act Up, non vuole schemi precostituiti, linee da seguire e inevitabilmente gli stanno stretti i confini diplomatici e strategici indicati da Thibault, leader dell'associazione. I due, pur se agli antipodi, rappresentano le istanze basilari della protesta: la forza e la passione contrapposte al raziocino e al compromesso politico, una miscela che potrebbe essere perfetta ma che, come spesso accade in questi casi, finisce invece per creare fratture. Non è certo un caso, quindi, che durante la malattia di Sean, Thibault sentirà l'esigenza di andare a trovare il compagno di tante azioni politiche a cui precisa "non andiamo d'accordo ma siamo amici"
Sean crede moltissimo nell'attività dell'associazione come mezzo per aiutare i malati più ignorati dal governo, e considera tutti i membri di Act Up esclusivamente per la loro funzione nel gruppo. È indicativo in tal senso il dialogo con Nathan che gli chiede se sappia cosa facciano gli altri nella vita, una volta fuori di là, e che spinge Sean a dimostrare il suo atteggiamento totalizzante perfettamente riassunto nella risposta "nella vita faccio il sieropositivo, direi che può bastare, no?"
Tanti i simboli della rivalsa e della voglia di vivere del gruppo. Campillo inframezza le diverse sezioni del film con delle sequenze ambientate in discoteca, con brani al ralenti di grande lirismo; il gay pride è un momento di sfogo e di manifestazione pacifica e festosa; i libri omofobi e che allontanano dalla verità dell'AIDS o quelli i cui autori considerano il virus una giusta punizione contro la chiusura di certi gruppi sociali meritano di essere identificati, grazie a degli adesivi realizzati dagli attivisti che vengono incollati sulle copertine dei volumi in una delle tante azioni vincenti dell'associazione. Il regista regala un'altra bellissima similitudine cinematografica mostrando alcune immagini di repertorio reali di Act Up che fa scorrere sul video mentre la voce off di Jeremie, il membro iscritto alla facoltà di storia all'università, legge un resoconto della rivolta del 1848 sedata nel sangue dalla gendarmerie.
Un ruolo simbolico basilare, infine, è riservato proprio al sangue. Uno degli attivisti, Marco, si è specializzato nel produrne uno finto nella vasca di casa, usando coloranti, zucchero, ecc. con cui riempie palloncini da lanciare durante le manifestazioni, tra lo sconcerto generale di chi subisce gli attacchi, terrorizzato che possa essere davvero sangue infetto. Sin dalla prima sequenza vediamo queste esplosioni di sangue alla Carrie che inondano i volti di rappresentanti dell'FLS, della Melton Farm, ma anche scrivanie, fascicoli, targhe aziendali e quant'altro. Nella parte più lirica della storia, inoltre, sarà proprio l'idea del sangue che colora il corso della Senna a costituire l'immagine più forte dell'intera pellicola, sostenuta dalle note di Smalltown boy dei Bronski Beat a sua volta affiancata dal respiro sempre più affaticato di Sean, un ragazzo "folle, spiritoso, tosto, vivace", come lo definisce il comunicato stampa che lo ricorderà, che riuscirà a conservare la sua carica dissacrante persino attraverso le sue ultime volontà...
Come ha ribadito in un comunicato la Teodora che, nonostante le difficoltà, è riuscita a distribuire la pellicola in Italia, non si tratta di un semplice film, ma di un "atto politico": per questo 120 battiti al minuto meriterebbe di essere visto da molti più spettatori di quanti ne ha finora avuti e di quanti probabilmente ne avrà mai!

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