A partire dal romanzo di successo dell'egiziano statunitense André Aciman (Call by Your Name, 2007), il regista siciliano recupera la sceneggiatura già scritta da James Ivory e gira una storia d'amore, inaspettata, coinvolgente, in una calda e indolente estate lombarda, laddove il libro prevedeva la costa ligure e Roma (trailer).
La didascalia iniziale ci avverte che siamo "da qualche parte nel nord Italia", ma poi l'evidenza dei dettagli, tra cui l'arco del Torrazzo in piazza del Duomo, rivela che siamo nella città di Crema e zone limitrofe. In altre scene, peraltro, si ammirano il monumento dell'alpino che sconfigge l'aquila asburgica di Pandino, in piazza Vittorio Emanuele II, di fronte al castello visconteo; l'abside di Santa Maria Maggiore a Bergamo e le cascate del Serio sulle Alpi Orobie.
Il luogo centrale della storia, però, è nel cremasco e si tratta della sei-settecentesca villa Albergoni, nota anche come Griffoni Sant’Angelo o Stramelli. Qui, nel film, vivono i Perlman, famiglia altoborghese di ebrei italo-americani, composta da Samuel (Michael Stuhlbarg), professore di archeologia, sua moglie Annella (Amira Casar), e loro figlio, Elio (Timothée Chalamet), adolescente ai primi turbamenti amorosi e sessuali, che per doveri di ospitalità è costretto a cedere la propria stanza ad un allievo statunitense del padre, Oliver (Armie Hammer), dottorando bello e affabile, in breve tempo amato da tutti, tranne che da lui che, almeno sulle prime, lo trova insopportabile...
L'educazione sentimentale di Elio e la scoperta di sé passano, infatti, per un malcelato disprezzo iniziale, fatto in parte di gelosia; di un innamoramento passeggero per Marzia (Esther Garrel), compagna di giochi sin dall'infanzia, con cui sperimenta con tenerezza quella che crede possa essere più di un'amicizia, fino all'esplosione del desiderio e della passione vera per Oliver.
Questa enorme evoluzione si condensa nel breve spazio di dieci giorni e nella massima serenità di tutti. È indubbiamente questo il principale difetto del film (ammesso che lo sia): parlare di omosessualità in una realtà che elimina scientemente ogni difficoltà sociale. Non solo i genitori sostengono il figlio, ma comprendono la sua scelta prima di lui stesso, fino ad arrivare a riproporsi di spiegare alle ragazze che hanno flirtato con Elio e Oliver nei giorni precedenti cosa stia accadendo; le due, praticamente sedotte e poi ignorate, non hanno alcuna reazione scomposta, così come nessuno nemmeno all'esterno della villa turba mai l'idillio dei due giovani.
Tutto appare davvero poco realistico e ai limiti della fiaba sociale, tanto più pensando che siamo in provincia e oltre trent'anni fa, ma, accettato questo, l'idea che possa esistere una famiglia come i Perlman mette in pace con il mondo (e forse, nel caso di Guadagnino, con l'Academy Award).
Si respira cultura in ogni angolo della casa e in ogni momento della giornata: si può discutere dell'etimologia dell'albicocca, parola di origine araba come tutte quelle dotate del prefisso al-; si conversa al suono di Bach, suonato da Elio (Capriccio in si bemolle maggiore "sopra la lontanza del suo fratello dilettissimo"), che oltre ad essere un buon pianista, legge moltissimo e, come gli dirà Oliver, sembra saperne tanto di ogni argomento ("non sai quante cose non so di quelle che contano"); si corre a Sirmione, dove è stata trovata un'antica statua di bronzo, tesoro sommerso insieme ad una nave affondata nell'800.
Gli anni '80 vengono riprodotti con grande attenzione, cosicché i personaggi si muovono in Fiat 127 e 128, usano telefoni pubblici a gettoni, ascoltano musica dal walkman Sony, ecc.
L'amore per il dettaglio, come già avvenuto per la collocazione geografica della scena, ci rivela anche l'esatto momento in cui è ambientata la storia: in una sequenza un amico di famiglia parla della morte di Luis Buñuel, citazione metacinematografica di un evento accaduto il 29 luglio 1983, e nella stessa conversazione si parla del pentapartito e di Bettino Craxi, sbeffeggiato in tv da un Beppe Grillo ancora semplice comico. Un altro particolare costituisce, invece, un errore: la voce registrata alla stazione di Clusone, tra le fermate del treno cita quelle odierne e non degli anni '80, inserendo ad esempio Stezzano, inaugurata solo nel luglio del 2008.
Una bella colonna sonora fa da corredo al film (ascolta), con brani soffici in piena sintonia con la storia, come quelli di Sufjan Stevens, e su tutti Mystery of Love, ma anche M.A.Y. in the Backyard di Ryuichi Sakamoto o Hallelujah Junction, 1st Movement di John Adams; e poi, naturalmente, una serie di pezzi anni '80 per la musica intradiegetica: da J'adore Venise di Loredana Bertè ai Ricchi e Poveri, da Love My Way degli Psychedelic Furs a Paris Latino dei Bandolero, tormentone di quell'estate. Elio, invece, palesa altri gusti musicali, indossando un maglietta dei Talking Heads, tenendo in camera un poster di Peter Gabriel e ascoltando Radio Varsavia di Franco Battiato.
Guadagnino, con la cura di un pittore impressionista, cura gli effetti della luce dell'alba sul muro della villa dei Perlman, riprende gli alberi in surcadrage dall'interno delle stanze; usa ellissi; gira davvero bene. Gli attori sono perfetti: il viscontiano Armie Hammer e il sorprendente Timothée Chalamet non sbagliano un'espressione, Michael Stuhlbarg è invece una conferma totale. Il suo Samuel è dolce e rassicurante e nella sequenza del dialogo con il figlio sul suo innamoramento è magnifico: solo attraverso lo sguardo spiega ad Elio che anche lui è passato per sentieri simili ("la natura ha metodi ingegnosi per scovare i nostri punti deboli"; "io ti invidio"; "cuore e corpo ci vengono dati una sola volta"; "forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa... che spreco"). Tutto, però, nonostante la piena libertà con cui vengono vissuti sentimenti e attrazioni sessuali, sembra tornare nell'alveo della convenzione sociale e nello schema della famiglia tradizionale. Molto rumore per nulla.
Il regista sembra modulare scientemente dettagli significativi del romanzo per non turbare lo spettatore e lasciare tutto in una dimensione poetica. Non vediamo mai Oliver ed Elio fare sesso e, rispetto al libro, non c'è alcun accenno all'idea che il primo possa essere un predatore, abusare del suo ruolo, spingere il più giovane a specchiarsi in lui, come suggerisce lo stesso titolo.
Per questo risulta particolarmente indicativa la sequenza della pesca, con cui Elio si masturba per poi fermare Oliver che, sopraggiunto, vorrebbe mangiarla subito dopo. Anche in questo caso, infatti, Guadagnino (per poetica o per calcolo?) edulcora molto il romanzo, in cui invece il giovane studioso addenta voracemente il frutto simbolo della loro passione, un dettaglio che sicuramente avrebbe scatenato polemiche e, forse, ridotto o persino annullato le quattro nomination agli Oscar ottenute (migliore film, miglior attore - Timothée Chalamet -, miglior canzone originale - la già citata Mystery of Love -, migliore sceneggiatura non originale).
Va, allo stesso tempo, precisato, che la sceneggiatura di Ivory prevedeva scene di nudo integrale e che i due protagonisti hanno chiesto di non girarle (secondo quella che Ivory definisce un "american attitude"), e che Aciman ha concordato con Guadagnino, che pure aveva girato diversi ciak, che la scena della pesca al cinema fosse più riuscita così.
Chiamami col tuo nome è un gran bel film, ma la sua patina ovattante è indubbia... allo spettatore scegliere se farsi affascinare dalla qualità dell'opera o rimanere indispettito dall'irreale serenità di un mondo elegante e colto, fatto di ville, piscine, servitù, ma soprattutto privo di scontri e disaccordi.
Un consiglio: mai come in questo caso, pur non arrivando agli eccessi de Il disprezzo (Godard 1963), in cui le battute vennero tagliate o modificate annullando un intero personaggio, quello dell'interprete, il film va visto o almeno rivisto nella versione originale. È parte integrante della storia, infatti, l'utilizzo di tre lingue (italiano, francese, inglese), che nella versione doppiata si appiattiscono ad una o, al massimo due, salvaguardando il cupo bergamasco della domestica di casa Perlman...
La didascalia iniziale ci avverte che siamo "da qualche parte nel nord Italia", ma poi l'evidenza dei dettagli, tra cui l'arco del Torrazzo in piazza del Duomo, rivela che siamo nella città di Crema e zone limitrofe. In altre scene, peraltro, si ammirano il monumento dell'alpino che sconfigge l'aquila asburgica di Pandino, in piazza Vittorio Emanuele II, di fronte al castello visconteo; l'abside di Santa Maria Maggiore a Bergamo e le cascate del Serio sulle Alpi Orobie.
Il luogo centrale della storia, però, è nel cremasco e si tratta della sei-settecentesca villa Albergoni, nota anche come Griffoni Sant’Angelo o Stramelli. Qui, nel film, vivono i Perlman, famiglia altoborghese di ebrei italo-americani, composta da Samuel (Michael Stuhlbarg), professore di archeologia, sua moglie Annella (Amira Casar), e loro figlio, Elio (Timothée Chalamet), adolescente ai primi turbamenti amorosi e sessuali, che per doveri di ospitalità è costretto a cedere la propria stanza ad un allievo statunitense del padre, Oliver (Armie Hammer), dottorando bello e affabile, in breve tempo amato da tutti, tranne che da lui che, almeno sulle prime, lo trova insopportabile...
L'educazione sentimentale di Elio e la scoperta di sé passano, infatti, per un malcelato disprezzo iniziale, fatto in parte di gelosia; di un innamoramento passeggero per Marzia (Esther Garrel), compagna di giochi sin dall'infanzia, con cui sperimenta con tenerezza quella che crede possa essere più di un'amicizia, fino all'esplosione del desiderio e della passione vera per Oliver.
Questa enorme evoluzione si condensa nel breve spazio di dieci giorni e nella massima serenità di tutti. È indubbiamente questo il principale difetto del film (ammesso che lo sia): parlare di omosessualità in una realtà che elimina scientemente ogni difficoltà sociale. Non solo i genitori sostengono il figlio, ma comprendono la sua scelta prima di lui stesso, fino ad arrivare a riproporsi di spiegare alle ragazze che hanno flirtato con Elio e Oliver nei giorni precedenti cosa stia accadendo; le due, praticamente sedotte e poi ignorate, non hanno alcuna reazione scomposta, così come nessuno nemmeno all'esterno della villa turba mai l'idillio dei due giovani.
Tutto appare davvero poco realistico e ai limiti della fiaba sociale, tanto più pensando che siamo in provincia e oltre trent'anni fa, ma, accettato questo, l'idea che possa esistere una famiglia come i Perlman mette in pace con il mondo (e forse, nel caso di Guadagnino, con l'Academy Award).
Si respira cultura in ogni angolo della casa e in ogni momento della giornata: si può discutere dell'etimologia dell'albicocca, parola di origine araba come tutte quelle dotate del prefisso al-; si conversa al suono di Bach, suonato da Elio (Capriccio in si bemolle maggiore "sopra la lontanza del suo fratello dilettissimo"), che oltre ad essere un buon pianista, legge moltissimo e, come gli dirà Oliver, sembra saperne tanto di ogni argomento ("non sai quante cose non so di quelle che contano"); si corre a Sirmione, dove è stata trovata un'antica statua di bronzo, tesoro sommerso insieme ad una nave affondata nell'800.
Gli anni '80 vengono riprodotti con grande attenzione, cosicché i personaggi si muovono in Fiat 127 e 128, usano telefoni pubblici a gettoni, ascoltano musica dal walkman Sony, ecc.
L'amore per il dettaglio, come già avvenuto per la collocazione geografica della scena, ci rivela anche l'esatto momento in cui è ambientata la storia: in una sequenza un amico di famiglia parla della morte di Luis Buñuel, citazione metacinematografica di un evento accaduto il 29 luglio 1983, e nella stessa conversazione si parla del pentapartito e di Bettino Craxi, sbeffeggiato in tv da un Beppe Grillo ancora semplice comico. Un altro particolare costituisce, invece, un errore: la voce registrata alla stazione di Clusone, tra le fermate del treno cita quelle odierne e non degli anni '80, inserendo ad esempio Stezzano, inaugurata solo nel luglio del 2008.
Una bella colonna sonora fa da corredo al film (ascolta), con brani soffici in piena sintonia con la storia, come quelli di Sufjan Stevens, e su tutti Mystery of Love, ma anche M.A.Y. in the Backyard di Ryuichi Sakamoto o Hallelujah Junction, 1st Movement di John Adams; e poi, naturalmente, una serie di pezzi anni '80 per la musica intradiegetica: da J'adore Venise di Loredana Bertè ai Ricchi e Poveri, da Love My Way degli Psychedelic Furs a Paris Latino dei Bandolero, tormentone di quell'estate. Elio, invece, palesa altri gusti musicali, indossando un maglietta dei Talking Heads, tenendo in camera un poster di Peter Gabriel e ascoltando Radio Varsavia di Franco Battiato.
Guadagnino, con la cura di un pittore impressionista, cura gli effetti della luce dell'alba sul muro della villa dei Perlman, riprende gli alberi in surcadrage dall'interno delle stanze; usa ellissi; gira davvero bene. Gli attori sono perfetti: il viscontiano Armie Hammer e il sorprendente Timothée Chalamet non sbagliano un'espressione, Michael Stuhlbarg è invece una conferma totale. Il suo Samuel è dolce e rassicurante e nella sequenza del dialogo con il figlio sul suo innamoramento è magnifico: solo attraverso lo sguardo spiega ad Elio che anche lui è passato per sentieri simili ("la natura ha metodi ingegnosi per scovare i nostri punti deboli"; "io ti invidio"; "cuore e corpo ci vengono dati una sola volta"; "forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa... che spreco"). Tutto, però, nonostante la piena libertà con cui vengono vissuti sentimenti e attrazioni sessuali, sembra tornare nell'alveo della convenzione sociale e nello schema della famiglia tradizionale. Molto rumore per nulla.
Il regista sembra modulare scientemente dettagli significativi del romanzo per non turbare lo spettatore e lasciare tutto in una dimensione poetica. Non vediamo mai Oliver ed Elio fare sesso e, rispetto al libro, non c'è alcun accenno all'idea che il primo possa essere un predatore, abusare del suo ruolo, spingere il più giovane a specchiarsi in lui, come suggerisce lo stesso titolo.
Per questo risulta particolarmente indicativa la sequenza della pesca, con cui Elio si masturba per poi fermare Oliver che, sopraggiunto, vorrebbe mangiarla subito dopo. Anche in questo caso, infatti, Guadagnino (per poetica o per calcolo?) edulcora molto il romanzo, in cui invece il giovane studioso addenta voracemente il frutto simbolo della loro passione, un dettaglio che sicuramente avrebbe scatenato polemiche e, forse, ridotto o persino annullato le quattro nomination agli Oscar ottenute (migliore film, miglior attore - Timothée Chalamet -, miglior canzone originale - la già citata Mystery of Love -, migliore sceneggiatura non originale).
Va, allo stesso tempo, precisato, che la sceneggiatura di Ivory prevedeva scene di nudo integrale e che i due protagonisti hanno chiesto di non girarle (secondo quella che Ivory definisce un "american attitude"), e che Aciman ha concordato con Guadagnino, che pure aveva girato diversi ciak, che la scena della pesca al cinema fosse più riuscita così.
Chiamami col tuo nome è un gran bel film, ma la sua patina ovattante è indubbia... allo spettatore scegliere se farsi affascinare dalla qualità dell'opera o rimanere indispettito dall'irreale serenità di un mondo elegante e colto, fatto di ville, piscine, servitù, ma soprattutto privo di scontri e disaccordi.
Un consiglio: mai come in questo caso, pur non arrivando agli eccessi de Il disprezzo (Godard 1963), in cui le battute vennero tagliate o modificate annullando un intero personaggio, quello dell'interprete, il film va visto o almeno rivisto nella versione originale. È parte integrante della storia, infatti, l'utilizzo di tre lingue (italiano, francese, inglese), che nella versione doppiata si appiattiscono ad una o, al massimo due, salvaguardando il cupo bergamasco della domestica di casa Perlman...
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