lunedì 15 gennaio 2018

Tre manifesti a Ebbing, Missouri (McDonagh 2017)

Un film drammatico con attori e personaggi perfetti per una commedia dei fratelli Coen e con una sceneggiatura mai banale, spesso sfrontata e scurrile, sempre divertente (trailer).
Una sintesi fin troppo stringata per il gran bel film di Martin McDonagh, al suo terzo lungometraggio dopo In Bruges (2008) e 7 psicopatici (2012), anticipati dal corto con cui vinse l'Oscar della categoria nel 2006, Six shooter (2004), ma che riassume i punti forti della pellicola, non caso definita "black comedy" dallo stessa locandina che riprende le parole del Telegraph.
I tre manifesti del titolo sono quelli che Mildred Hayes (Frances McDormand) affitta per mandare un messaggio chiaro al capo della polizia di Ebbing, Bill Willoughby (Woody Harrelson), colpevole di non aver trovato, dopo sette mesi, chi ha stuprato e ucciso sua figlia adolescente, Angela (Kathryn Newton). I cartelloni riportano "stuprata mentre moriva / e ancora nessun arresto / cosa succede Mr Willoughby?" e campeggiano in una strada in cui raramente passano auto, ma nonostante questo, dato il clamoroso fatto di cronaca, se ne parla molto... 
La sfida tra la donna e lo sceriffo è arricchita da altri personaggi: su tutti lo sgangherato poliziotto Jason Dixon (Sam Rockwell), lavativo e dedito all'abuso di potere, soprattutto nei confronti delle minoranze, meglio se con il colore della pelle diverso dal suo; vive con sua madre (Sandy Martin), una donna del sud di altri tempi, che lo guida come se fosse ancora un bambino (v. oltre). Tra gli altri, il figlio di Mildred, Robbie (Lucas Hedges); il pubblicitario che gestisce i tre cartelloni, Red Welby (Caleb Landry Jones); l'ex marito di Mildred, Charlie (John Hawkes), padre di Angela e Robbie, oggi fidanzato con Penelope (Samara Weaving), una bella diciannovenne non esattamente intelligente; James (Peter Dinklage), il nano della cittadina, con un debole per Mildred.
Tutti i personaggi meritano attenzione, anche pochi secondi in scena bastano per avere un ruolo rilevante nel film di McDonagh, giocato soprattutto sui contrasti. I poliziotti non lavorano molto se non per colpire i più indifesi e, nel caso di Dixon, soprattutto i cittadini di colore, mentre il loro capo, Bill Willoughby è un brav'uomo, che ha l'umiltà di andare a giustificarsi con Mildred, comprendendo la sua rabbia di madre ferita. D'altro canto Mildred non ha nessuna intenzione di arrestare la sua furia che non placa nemmeno dopo che lo sceriffo gli rivela di essere malato di cancro e di avere poco da vivere.
Mildred è durissima non solo con Willoughby, ma con chiunque provi a placarla: si scaglia contro padre Montgomery (Nick Searcy) con una serie di accuse sulla pedofilia nella Chiesa che hanno tutta l'aria di voler colpire la condotta del sacerdote; contro il corpulento dentista Geoffrey, che prova a difendere Willoughby, usa il suo stesso trapano; prende a calci dei ragazzi fuori dalla scuola; urla "finocchio" all'interno del comando di polizia e "brutta ritardata" alla giornalista televisiva che registra un servizio sui tre manifesti.
La sceneggiatura, scritta dallo stesso McDonagh, sceglie di non dare dettagli su alcuni momenti fondamentali della storia: è il presente che conta, il passato, anche se determina quello che accade oggi, viene solo suggerito. Così, ad esempio, non indugia sulla separazione tra Mildred e Charlie, pur se è evidente che la loro unione non abbia superato il terribile dolore subito. E allo stesso modo non vediamo nulla dell'uccisione di Angela e l'unico flashback che ce la mostra è finalizzato a evidenziare piuttosto lo scontro con la madre in funzione di Mildred, che durante il litigio le dice la cosa che, col senno di poi, è la più terribile con cui convivere dopo la sua scomparsa, rispondendo al suo "spero mi stuprino per strada" con un agghiacciante "sì, spero che ti stuprino per strada".
Sono, invece, tantissime le battute colorite da commedia irriverente, alcune delle quali non possono essere taciute. Mildred dice a muso duro a padre Montgomery "perché non finisce il suo tè e se ne va a fanculo fuori da casa mia?", oppure "come ti va il business delle torture dei negri" per offendere il razzismo di Dixon, che però le risponde con un'esilarante correzione, "come ti va il business delle torture delle persone di colore". Anche Willoughby, per replicare alle lamentele di Mildred su Dixon, le dice "se cacciassimo tutte le persone con tendenze vagamente razziste, rimarremmo con tre poliziotti che odiano comunque i froci".
Molto raramente vediamo Mildred priva della sua rabbia identitaria in momenti in cui mostra il suo lato umano: quando Willoughby tossisce sangue davanti a lei, segno del peggioramento della malattia; quando ringrazia Dixon che le rivela di aver indagato su un sospetto della violenza subita da sua figlia; ma soprattutto quando, mentre sistema le fioriere sotto i tre manifesti, vede un cerbiatto brucare nell'erba. La sequenza, palesemente debitrice del cinema di Terrence Malick, è tra le più liriche del film, ma a farle subito da contrasto ci sono le battute di Mildred: "stai provando a farmi credere alla reincarnazione?", e poco dopo, quando la donna parla con Welby nel suo ufficio, "se non ci si può fidare di avvocati e pubblicitari che cosa ne sarà degli Stati Uniti?"
McDonagh inserisce anche un divertente dettaglio cinefilo, quando la signora Dixon, afferma di adorare Donald Sutherland "per il ciuffo" mentre guarda un film dove la figlioletta muore... evidente riferimento a A Venezia... un dicembre rosso shocking (Roeg 1973). Lo stesso personaggio regala altre suggestioni cinematografiche: il suo temperamento dominante sul figlio e le sue idee razziste la apparentano alla Ma' interpretata da Shelley Winters ne Il clan dei Barker (Corman 1970), mentre il momento in cui la vediamo seduta su una sedia a dondolo nel portico, un'immagine iconica del sud, non può non far pensare alla Lilian Gish de La morte corre sul fiume (Laughton 1955).
E ancora, che la pellicola non sia ambientata ai giorni nostri, ma in un passato non troppo lontano, lo si desume da diversi elementi, come i cellulari a conchiglia o la citazione musicale che compare in camera di Angela, dove si vede, in posizione dominante, il poster di In Utero, il terzo album dei Nirvana (1993).
La musica intradiegetica, invece, è legata al personaggio di Dixon e ai suoi auricolari, grazie ai quali ascoltiamo Mozart, ma anche Chiquitita degli Abba, naturalmente in una delle sequenze più drammatiche del film nell'ennesimo contrasto tra le note festanti del gruppo svedese e le lacrime del centro di polizia per la morte di Willoughby.
McDonagh, infine, fonde ancora lirismo, dramma e commedia quando lo sceriffo, dopo esser morto, continua ad essere protagonista, lasciando una serie di lettere a diversi personaggi, tutte rigorosamente lette dalla voce off di Woody Harrelson, tra le quali spicca quella con cui porta avanti la diatriba con Mildred, ormai impossibilitata a replicare e che sorride mentre legge...
Frances McDormand e Sam Rockwell hanno vinto i Golden Globe come miglior attrice protagonista e attore non protagonista, attendiamo di sapere come alla notte degli Oscar potranno impedire che la cosa si ripeta.

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