sabato 20 gennaio 2018

Loveless (Zvjagincev 2017)

Rigoroso e glaciale come solo il cinema dell'est Europa a volte può esserlo, Loveless è un magnifico pugno nello stomaco (trailer). L'ossimoro così come la pellicola rimandano alle sensazioni contrastanti di celebri precedenti, su tutti i dieci episodi del Decalogo di Krzysztof Kieślowski (1988). Di fatto, si potrebbe dire che Andrej Zvjagincev con questo film abbia aggiunto un undicesimo comandamento ai dieci canonici, quello di non dare alla luce dei figli se, come precisa il titolo, non si è in grado di garantirgli amore.
Ženja (Mar'jana Spivak) e Boris (Aleksey Rozin) sono una coppia ormai alla fine della loro storia, e questo non sorprende, ma è decisamente fuori dal comune che i loro scontri investano anche il futuro del figlio dodicenne, Alëša (Matvey Novikov), che nessuno dei due vuole tenere con sé dopo la separazione. Come se questo non bastasse, Alëša, nascosto in uno spazio buio della casa e senza essere visto, è testimone di uno dei tanti alterchi tra i suoi genitori che lo vedono protagonista come inutile fardello da scaricare all'altro. 
In fondo, entrambi i genitori hanno creato una famiglia per soddisfare altre esigenze: Ženja non poteva più vivere con una madre bisbetica e insopportabile, che ancora oggi la ritiene solo fonte di guai e la considera poco più di una sgualdrina; Boris per assecondare le tendenze religiose e moraliste del suo posto di lavoro, dove solo chi ha moglie e figli può rimanere.
Sia Ženja che Boris hanno altre storie: la prima sta frequentando Anton (Andris Keišs), un uomo molto ricco che ha una figlia già maggiorenne che studia in Portogallo, e probabilmente teme che la presenza di Alëša potrebbe rompere l'idillio che si è creato col nuovo partner; il secondo, in una tipica coazione a ripetere, aspetta un altro bambino da Maša (Marina Vasil'eva), giovane compagna possessiva e infantile, che sarebbe totalmente incapace di amare anche il figlio della precedente relazione del compagno.
L'inevitabile fuga di Alëša non fa che acuire la distanza tra i genitori che continuano a rinfacciarsi responsabilità, cosicché lo stesso volontario che coordina le ricerche non manca di sottolineare le espressioni non esattamente amorevoli dei due: la madre risponde con una serie di "credo" che palesano la sua scarsa conoscenza del figlio; il padre gli dà dello "spostato". Ženja in altri momenti della storia ricorda che vedere il bambino appena nato "mi faceva ribrezzo", "non mi è uscita una goccia di latte", e definisce la sua maternità "un errore irrimediabile".
Zvjagincev costruisce la pellicola con una perfetta forma circolare, che ha inizio con la visita di una giovane coppia nell'appartamento di periferia che la famiglia protagonista ha messo in vendita, con l'evidente broncio di Alëša che non vorrebbe che questo accadesse, e termina con gli operai che stanno ristrutturando la casa ormai sgombra in cui vivrà una nuova famiglia, totalmente inconsapevole della sofferenza che quegli ambienti hanno raccolto.
La mdp aspetta l'uscita del bambino dalla scuola con una bellissima inquadratura a prospettiva centrale, che si ripeterà alla fine della pellicola, generando tutt'altro tipo di sentimenti nello spettatore, e segue Alëša nel suo tragitto solitario e silenzioso tra le strade innevate fino a casa, in una sequenza che la memoria cinefila impone di confrontare con le passeggiate di Edmund tra le macerie di Berlino in Germania anno zero (Rossellini 1948).
Le macerie, in fondo, si vedono anche in Loveless, e non sono solo quelle sentimentali, più evidenti, ma anche quelle architettoniche della vecchia Unione Sovietica: in un vecchio edificio socialista, probabilmente un grande albergo, il regista ambienta parte delle scene di ricerca da parte dei volontari, in cui indugia su soffitti, pavimenti e scale distrutte, fino ad inquadrare un simbolico pianoforte che un tempo allietava gli ospiti di quell'edificio di lusso, oggi rifugio di senzatetto. 
Il "gesto delle fiche" in un manoscritto quattrocentesco
della Divina Commedia (Madrid, Bib. Nacional 10057) e
in un dipinto del Seicento (Lucca, Palazzo Mansi)
Infine, una curiosità cinesica. Quando Ženja e Boris vanno a trovare la madre di lei sperando che Alëša si sia rifugiato dalla nonna, anche lei, totalmente anaffettiva, non si preoccupa del nipote e, piuttosto, si infuria credendo che i due vogliano affidarlo a lei per poter condurre più liberamente le proprie vite. Per dimostrare tutto il suo disappunto rivolge con rabbia a figlia e genero il pollice stretto tra indice e medio. Si tratta di un gesto, evidentemente ancora usato in Russia, ma un tempo diffuso in tutta Europa, Italia compresa, testimoniato in letteratura e arte figurativa dal Medioevo al Seicento almeno: Dante lo fa compiere al ladro Vanni Fucci che lo usa in maniera blasfema contro Dio (If. XXV, 1-3), "le mani alzò con amendue le fiche"; viene citato nell'Immensa Dei Misericordia di Erasmo da Rotterdam, nel Baldus di Teofilo Folengo e nel Gargantua e Pantagruel di Rabelais; compare in diverse miniature che illustrano la Divina Commedia tra '300 e '400, nonché in alcuni dipinti seicenteschi. Il gesto, che alludeva al sesso maschile, era anche detto “far manichetto” e per uno di quei particolari fenomeni di trasmissione culturale, oggi in Brasile si è trasformato in qualcosa di apotropaico: la "figa" è un amuleto diffuso in diversi materiali che riproduce una mano così atteggiata.
Loveless, girato, scritto e recitato splendidamente, ha vinto uno strameritato premio della giuria a Cannes, dove alla fine si è imposto The square (Östlund 2017). La durezza e l'implacabilità del film di Zvjagincev sono forse stati degli ostacoli per ottenere la palma d'oro, ma probabilmente col tempo tra le due pellicole sarà quella che ricorderemo più vividamente...

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