Woody Allen, dopo la divertente parentesi televisiva di Crisis in six scene, torna al grande schermo con una commedia sentimentale fatta di tradimenti, equivoci, rivelazioni, gelosie impossibili da confessare, in pieno stile alleniano, e sostenuta dalla magnifica fotografia di Vittorio Storaro e da un cast che vede in Kate Winslet una splendida diva d'altri tempi, che interpreta magnificamente l'idea della sconfitta (trailer).
Stavolta l'ambientazione newyorchese rimonta agli anni '50 ed è confinata nello spazio chiuso di Coney Island, tra il luna park, dove lavorano e vivono Humpty (Jim Belushi) e Ginny (Kate Winslet), e la spiaggia, dove Mickey Rubin (Justin Timberlake), aspirante sceneggiatore di teatro, fa il bagnino.
Naturalmente Mickey, giovane sognatore e facile ai colpi di fulmine, ha una relazione con Ginny, donna che ha abbandonato i suoi sogni di attrice e ha sposato un uomo buono che garantisse un futuro a lei e soprattutto al suo bambino, Richie (Jack Gore) nato dal precedente matrimonio.
A sconvolgere questo equilibrio precario, si stabilisce da loro Carolina (Juno Temple), figlia ventenne di Humpty, che il padre non vede da anni e che sta tentando di sfuggire agli sgherri dell'ex marito gangster, che la vuole morta per aver parlato con la polizia. La bellezza di Carolina, ovviamente, farà colpo su Mickey, scatenando le gelosie in parte inconfessabili di Ginny...
Woody Allen si nasconde in almeno due personaggi: il sognatore perennemente innamorato Mickey, a cui non a caso spetta anche il compito di fare da narratore, e, ovviamente, il piccolo Richie, bambino dai capelli rossi (come il Virgil di Prendi i soldi e scappa e il Joe di Radio days), che odia la scuola, ama andare al cinema e passa il tempo restante ad appiccare piccoli incendi, in spiaggia, in strada, persino dalla psicanalista dove sua madre decide di portarlo proprio per risolvere il problema, in una scena che la dice lunga sul rapporto di amore e odio di Woody Allen con la psicanalisi.
Il dettaglio della piromania del bambino per gli spettatori newyorchesi deve avere un significato ben più immediato, dato che il parco di Coney Island, fondato nel 1902 col nome di Luna Park, che per antonomasia ancora oggi designa i parchi dei divertimenti di tutto il mondo, fu devastato da ben tre incendi tra 1944 e 1946 che lo costrinsero alla chiusura (e quindi negli anni '50 la storia che seguiamo non si sarebbe potuta svolgere lì).
Se il bambino piromane rimanda ai primissimi film del regista, anche l'idea di un appartamento posto sopra il rumorosissimo stand del tiro a segno, il nome del ristorante in cui lavora Ginny, La casa della vongola, e il personaggio con cui si confida Mickey, al bivio tra Ginny e Carolina, sembrano uscire dal miglior Woody Allen, che qua e là si lascia andare a qualche citazione musicale, come quando Mickey ricorda I fall in love too easily di Chet Baker che si sposa con il suo temperamento romantico; o cinematografica, con la locandina di Winchester '73, western di Anthony Mann, che campeggia in bella mostra fuori da una sala.
E così, il monologo di Ginny, vestita da sera per un appuntamento che non avrà mai e consumata dalla gelosia e dai sensi di colpa, ha tanto della tragedia greca (Mickey in un altro momento del film parla di ananke come destino ineluttabile), ma la recitazione della Winslet ("quando si tratta d'amore finiamo con l'essere i nostri peggiori nemici") non può non far pensare alla Gloria Swanson di Viale del tramonto (Wilder 1950) o alla Blanche DuBois interpretata da Vivien Leigh in Un tram chiamato desiderio (Kazan 1951). E chissà se, come in quel caso, la protagonista sia destinata ad un Oscar...
Woody Allen gira con stile come sempre: più volte utilizza elementi interni alla scenografia per creare split screen naturali, ma in un caso va oltre. Mentre una parte dello schermo mostra Richie che tenta di studiare, dall'altra, divisa da una tenda, è sua madre sdraiata sul letto a leggere e a fumare in un raro momento di relax. In quel momento la mdp ruota attorno alla scena annullando la divisione degli spazi e segue Ginny che nel frattempo si è alzata dal letto per parlare con il figlio.
E poi c'è fotografia di Vittorio Storaro, che meriterebbe una recensione a sé stante, perché utilizzata come elemento significante e in maniera espressionista. La fotografia è un vero e proprio personaggio del film: realisticamente giustificata dai mille colori del luna park e della ruota panoramica che gira davanti alle finestre dell'appartamento di Humpty e Ginny (davvero una ruota delle meraviglie!), la luce cambia continuamente investendo la scena di rossi, arancioni, gialli e azzurri saturi. I colori caldi e passionali caratterizzano costantemente la figura di Ginny, ma significativamente si spengono all'improvviso nel blu, raffreddandosi, quando parla di Humpty, marito che le dà sicurezza ma che non ama, o quando Carolina le chiede consigli su come comportarsi con Mickey.
Ad un regista di 82 anni, che da trentacinque realizza almeno un film all'anno (49 in totale!), capace di dichiarare di lavorare ancora solo per mantenersi in vita e che, questa volta, ribadisce in forma spettacolare che la tragedia dell'esistenza sia l'accettazione del fallimento, non vedo cos'altro si possa chiedere...
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