domenica 22 ottobre 2017

Il sapore del riso al tè verde (Ozu 1952)

Guardare il Giappone attraverso la mdp di Yasujiro Ozu è sempre un'esperienza indimenticabile: le inquadrature fisse, il punto di vista ribassato, i campi vuoti (gli unici durante i quali la cinepresa si lascia andare a movimenti in avanti o indietro), la narrazione delle semplici relazioni umane colte nella loro quotidianità e con toni soffusi, permettono di riconoscere un suo film in pochi secondi.
Il sapore del riso al tè verde è, come sempre in Ozu, una storia fondata sui contrasti generazionali. La sceneggiatura, scritta nel 1939 dal regista e dal suo collaboratore storico, Noda Kogo, viene ripresa dopo la guerra e adattata alla realtà degli anni cinquanta. La vicenda, però, rimane molto vicina a quegli anni e a La ragazza che cosa ha dimenticato? (1937), dove la crisi di una coppia era acuita dagli atteggiamenti moderni di una nipote.

Taeko (Michiyo Kogure) e Mokichi (Shin Saburi) sono una coppia tradizionale sposata da tempo. Oggi, però, il loro rapporto non è molto saldo: la forte e indipendente personalità della prima contrasta con l'indolenza e l'eccessiva calma del secondo, al punto che Taeko prende spesso in giro il marito quando è tra sole donne, fino a paragonarlo ad un pesce lento. Setsuko (Keiko Tsushima), la giovane nipote di Taeko, invece, non vuole sottostare alla tradizione e si oppone ad incontrare un ragazzo su appuntamento combinato dalle famiglie, proprio per evitare un giorno di essere anaffettiva e stanca come la zia.
La perfetta simmetria della struttura narrativa prevede che il confronto su un argomento così delicato venga raccontato anche dal punto di vista maschile, cosicché vediamo affrontarlo a Mokichi con il giovane Noboru (Koji Tsuruta).
Sia a Setsuko che a Noboru viene ricordato che gli anni che stanno vivendo sono i migliori, quelli che i più anziani ricordano con malinconia. Ozu, però, non si limita a questo scarto generazionale e  dimostra che tutto può essere fonte di nostalgia e che persino la guerra non sfugge a questa regola: l'incontro di Mokichi con un ex commilitone che ha combattuto con lui nella battaglia di Singapore (1941-42), infatti, permette ai due di ricordare alcuni bei momenti di quel periodo. Che la guerra mondiale sia ancora vicina, lo dimostra anche la recente diffusione del pachinko, il gioco d'azzardo che si diffuse in Giappone dopo il conflitto e a cui nel film giocano Mokichi, Noboru e persino Setsuko.
Setsuko, Mokichi e Nobaru al pachinko
Sono diversi i riferimenti all'occidentalizzazione del Giappone postbellico. In uno dei primi dialoghi del film Taeko e Setsuko parlano di cinema e di un film con Jean Marais; alla passione per il baseball e per le gare di ciclismo al velodromo sono dedicate due sequenze; la casa di Mokichi e Taeko ha una stanza arredata con poltrone e in cui si entra aprendo una comune porta a battente. Tutto questo evolversi dei tempi, però, per quanto inevitabile, è condannato dal regista. evidentemente critico nei confronti di una certa frivolezza che va di pari passo con la penetrazione delle usanze occidentali nel paese, soprattutto nelle classi più agiate.
Il cinismo di Taeko e delle altre donne sposate è totale. La libertà nei rapporti di coppia è qualcosa che si ottiene attraverso i sotterfugi, cosicché "a volte può essere utile avere un marito poco sveglio", e quando una di loro, Aya (Chikage Awashima), vede da lontano il marito con un'amante, l'unico pensiero è che ora potrà chiedergli di comprarle qualunque cosa.
Il contrasto tra la visione romantica e idealizzata di Setsuko e quella fin troppo disincantata di Taeko conosce un altro picco, poiché la ragazza critica il matrimonio della zia nella ferma convinzione che non si possa impostare una relazione su bugie e omissioni, mentre Taeko risponde paternalisticamente che non può capire perché è ancora una bambina.
La relatività di queste posizioni, però, è dimostrata dal confronto tra Taeko e Aya, in cui stavolta è la prima ad assumere il ruolo dell'idealista. Aya, infatti, la rimprovera per i suoi capricci e perché non riesce ad accettare i compromessi della vita coniugale: "non esiste una coppia completamente sincera, tutti mentono".
"I tempi sono cambiati", è vero, ma sono ancora le donne ad essere un passo avanti in questa volontà di cambiamento. Setsuko, rimasta a parlare con il coetaneo Noboru, si confronta anche con lui sulla questione matrimoniale, trovando di fronte a sé un ragazzo possibilista, che vede nella tradizione una semplice occasione: per lui non c'è motivo di non accettare l'incontro combinato, potrebbe sempre rifiutare il fidanzamento qualora non fosse soddisfatta della persona conosciuta... ma Setsuko naturalmente ne fa una questione di principio e prorompe in un eloquente "ma io non sono né una cagna né una gallina".
Paradossalmente è Mokichi a comprendere meglio la ragazza e a dire a Taeko, furiosa per l'atteggiamento della nipote, che "se obblighiamo due persone a sposarsi creiamo un'altra coppia come la nostra". Eppure lo zio dovrà comunque riprenderla per mantenere il suo ruolo e per non deludere la moglie.
Qualche giorno di distanza farà bene a Mokichi e Taeko, e proprio il rischio di perdersi davvero farà ritrovare loro tenerezza ed equilibrio nonostante le profonde differenze. Una di queste è alla base del titolo del film, che allude al modo di mangiare di Mokichi, criticato dalla moglie in un'altra sequenza profondamente significativa: Mokichi è cresciuto in campagna, dove aggiungere il tè verde ad un piatto di riso non è considerata una pratica volgare, come invece non manca di fargli notare Taeko, nata a Tokyo e piuttosto intollerante nei confronti di queste abitudini. Mokichi, però, nella sua semplicità, auspica solamente un po' di libertà ("quando non ci sei mangio così"), e ribadisce che alcune loro diversità andrebbero accettate, date le origini sociali diametralmente opposte, concludendo il suo monologo con una candida lezione di praticità con cui difende la propria tendenza a viaggiare in terza classe in treno: "viaggerei in prima classe se servisse a farmi arrivare prima". 
La saggezza di Ozu è tutta in questa magnifica battuta...

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