giovedì 22 giugno 2017

Il mio Godard (Hazanavicius 2016)

Come abbattere un mito generazionale, trasformandolo in un uomo pieno di difetti, capace di passare da un successo straordinario al fallimento nella professione, nell'impegno politico, nella vita privata...
Diviso in capitoli, dai titoli divertenti e allusivi, come "Wolfgang Amadeus Godard" o "Pierrot le Mépris", il film di Michel Hazanavicius, presentato a Cannes, è una sorta di biografia parodistica di Godard, genio della Nouvelle Vague, vittima della sua stessa genialità e del suo bisogno di essere sempre in contrasto con qualcosa (trailer).

La storia è tratta da Un an aprés, libro di Anne Wiazemsky incentrato sui primi anni della sua relazione col regista, con cui fu sposata dal 1967 al 1979. Nel cast, ad un magnifico Louis Garrel, onnipresente, sempre credibile e convincente, si affiancano Stacy Martin, davvero molto lontana dalla Wiazemsky, ma ironica, fresca e divertente, e una sempre più affascinante Berenice Bejo, moglie di Hazanavicius, qui nei panni dell'amica di Anne, la stilista, regista e sceneggiatrice Michèle Rosier.
1967. Anne (Stacy Martin), attrice ventenne che solo l'anno prima ha esordito in Au hasard Balthazar di Bresson, interpreta La chinoise diretta da Jean-Luc (Louis Garrel), regista simbolo della Nouvelle Vague, amato da tutti, in patria e non, che s'innamora di lei nonostante sia la nipote di Mauriac, generale molto vicino a Charles De Gaulle, capo di un governo osteggiato dalla sinistra e da Godard in primis, e presidente che vara il sottomarino militare Le redoutable che dà il titolo al film.
Jean-Luc è logorroico, maniacale, geloso, decisamente insopportabile, con una seriosità che lo porta a rimandare persino l'amore, "ci ameremo più tardi, ora la priorità è la rivoluzione", come dice ad Anne al cinema, mentre davanti ai loro occhi scorrono le immagini de La passione di Giovanna d'Arco (Dreyer 1928). Usa l'eloquio come continuo esercizio di retorica, che sintetizza perfettamente con l'ironico "ah, la retorica marxista-leninista, ti tira fuori da tutte le situazioni".
Hazanavicius bilancia l'antipatia del suo protagonista con diverse battute - "La politica è come le scarpe: c'è la destra, c'è la sinistra, ma a un certo punto si ha voglia di rimanere scalzi" - e anche attraverso una gag degna di una slapstick comedy: gli occhiali di Jean-Luc si rompono di continuo, vittime di manifestanti, di cariche della polizia, scazzottate, e dei quali si sente parlare persino alla radio. Garrel ogni volta diventa un irresistibile Mr Magoo o, meglio, il Cary Grant di Susanna! (Hawks 1938), a cui accadeva la stessa cosa.
La storia è spesso accompagnata da una doppia voce narrante, che alterna i pensieri di Anne e quelli di Jean-Luc; e, come suo solito, gioca con i piani della narrazione e con la finzione scenica stessa, e così sentir dire a Louis Garrel guardando nella mdp "Godard è morto, sono solo un attore che fa Godard e nemmeno tanto bravo", abbatte la distanza di chi guarda dallo schermo cinematografico.
Ancora più divertente l'ammiccamento allo spettatore, quando durante un dialogo le parole dei due vanno in completo contrasto con quello che dicono i sottotitoli, che riportano i loro reali pensieri, letteralmente il loro ' sottotesto'.
Il confronto tra i reali Godard-Wiazemsky
e gli interpreti del film
Godard vive la costante contraddizione tra l'essere un uomo di successo e l'opposizione ad uno status quo che lo porta istintivamente ad avvicinarsi agli studenti e ai loro ideali ("un capo non esiste più se i lavoratori lo rifiutano"), che però non mancano di fargli notare il suo essere a metà tra i due mondi nella maniera più dura, paragonandolo alla Coca Cola e a Topolino, massimi simboli della società consumistica. Dopo le ennesime critiche, inoltre, Hazanavicius soggettivizza la percezione della realtà con gli occhi di Jean-Luc, lasciando la pellicola in negativo, accompagnata da una musica diegetica che si interrompe a causa di un disco che si incanta sul piatto.
Eppure Godard si sente giovane, e il suo dissidio lo sintetizza dicendo ad Anne "non mi piacciono i vecchi, quindi quando sono io il vecchio, non mi piaccio". Il suo radicalismo lo porta a rinnegare tutto il cinema che ha realizzato in precedenza (si veda la sequenza ambientata a Roma, dove si scontra con gli amanti delle sue prime pellicole e con l'amico Bernardo Bertolucci).
Per uscire dal sistema non gli resta che tentare altre vie, come quella del documentario politico o la surreale esperienza cinematografica, intitolata a Dziga Vertov, che però sacrifica la qualità dei film sull'altare di un'eccessiva democratizzazione che si esplica in inconcludenti riunioni quotidiane dell'intero staff che si riunisce collegialmente per prendere le decisioni sul film a cui stanno lavorando, un improbabile western dal titolo Vent d'est.
Anne si renderà conto di quanto il cinema possa essere vissuto più serenamente sul set de Il seme dell'uomo di Marco Ferreri (1969) e la gelosia patologica di Jean-Luc farà il resto.
Purtroppo il carattere parodistico della pellicola mostra dei limiti negli episodi con Bertolucci e Ferreri, che sconfinano nel macchiettismo. Nonostante tutto rimane intatto il valore dissacrante di un film che proprio in questo si avvicina alla spirito godardiano, ma chissà se il vero Jean-Luc possa apprezzarlo con la dovuta autoironia...

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