sabato 17 giugno 2017

L'amant d'un jour (Garrel 2017)

Ed è subito Nouvelle Vague! 
Bastano i primi secondi del nuovo film di Philippe Garrel, vincitore del premio SACD alla Quinzaine des réalisateurs della 70° edizione del Festival di Cannes, per tuffarsi nelle atmosfere migliori del cinema francese degli anni cinquanta e sessanta. A questa sensazione di piacevole nostalgia contribuisce, tra gli altri, il consueto bianco e nero del regista parigino, fotografato da Renato Berta, già collaboratore di Garrel nei precedenti La gelosia (2013) e L'ombra delle donne (2015), con i quali L'amant d'un jour costituisce un'ideale trilogia, e che nella sua lunga carriera ha incrociato, tra gli altri, i nomi di Godard, Rohmer, Malle, Resnais, Chabrol, Guediguian, de Oliveira, Gitai.

Il soggetto, poi, sfrutta uno schema caro a quel cinema come il triangolo sentimentale, ma declinato in maniera davvero originale, secondo una modulazione che alle origini della Nouvelle Vague non sarebbe stata ipotizzabile: un uomo, Gilles (Éric Caravaca), professore di filosofia all'università; sua figlia Jeanne (Esther Garrel), che si stabilisce del padre dopo aver rotto con il fidanzato; la sua nuova compagna, Ariane (Louise Chevillotte), una sua studentessa coetanea di Jeanne. Il rapporto tra le due ragazze, che si ritrovano improvvisamente a vivere nello stesso appartamento, inizialmente sarà conflittuale, fatto di gelosie per le attenzioni dello stesso uomo, seppure con ruoli diversi, ma col tempo diventeranno amiche e persino complici... 
Storie d'amore tra passione, dolcezza, cedimenti, infedeltà, segreti e tante frasi che restano in mente.
La regia di Garrel è buona, priva di sbavature e talvolta la sua mdp si avvicina così tanto ai volti dei personaggi da farcene percepire, bergmanianamente, i dettagli psicologici. Com'è stato notato (leggi), nel cinema del regista francese porte e finestre sono luoghi di passaggio fortemente simbolici, oggetti liminali tra dentro e fuori, tra campo e fuori campo, tra passato e presente, e non è un caso che vediamo spesso Ariane far l'amore in piedi, dietro una porta, e che una delle inquadrature migliori del film sia quella di una finestra aperta, da cui Jeanne pensa di lanciarsi in preda ad un raptus depressivo.
La qualità del film, però, è data soprattutto dalla sceneggiatura, firmata non solo dal regista, ma anche da Jean-Claude Carrière, storico sceneggiatore di Buñuel, Caroline Deruas, compagna di Philippe Garrel, e Arlette Langmann, che con Garrel collabora ormai da quasi vent'anni.
I tre personaggi principali si scambiano continuamente battute che analizzano amori, relazioni, caratteri, filosofie di vita.
Ariane, che si guarda a lungo allo specchio prima di andare a letto, risponde a Gilles che le dà del Narciso, con la sfacciata sicurezza della gioventù, che la dice lunga sulla sua personalità: "lo sai che una donna che non ama il proprio corpo scopa male?"
La differenza di età tra i due è molta e questo comporta profonde distanze anche nel modo di vivere il rapporto. La fedeltà per Gilles è una parola come le altre, dato che ognuno può essere fedele a ciò che vuole, a dettagli, a ricordi, a se stesso... ma il suo amore per Ariane sembra ormai lontano da passioni e irrequietezze di un tempo, cosicché anche se dopo un litigio esce con un'altra ragazza per distrarsi, la mente torna velocemente a lei. Ariane, dal canto suo, è profondamente innamorata di Gilles, ma non disdegna incontri occasionali con giovani amanti, nella convinzione, seppur talvolta condotta ad estreme ed egoistiche conseguenze, che l'interesse da lei suscitato sia fonte d'eccitazione per il compagno.
Ariane, inoltre, appare spesso cinica e la sua risposta secca e tagliente a Jeanne, che le chiede che lavoro faccia il padre, genera uno dei più divertenti passi del copione: "fa i divorzi", "Ah, è avvocato?" "No, è lui che divorzia, è già la terza volta: credo adori i divorzi, lo tengono occupato".
Gli equilibri, com'è naturale che sia, sono sottilissimi, e l'atmosfera che si respira durante tutta la storia è che basti pochissimo per farli saltare.
Jeanne, in tutto ciò, vive romanticamente e nostalgicamente la sua separazione da Mateo e non sembra avere occhi per nessun altro, nonostante i tentativi di Ariane di farle conoscere altri ragazzi e di farle riscoprire quanto possa essere piacevole suscitare l'interesse di qualcuno, un concetto che le ricorda anche nei momenti più difficili: "se salti non potrai mai sapere che c'è di meglio". Ariane sponsorizza il sesso per puro divertimento, ma Jeanne si sente più portata per un rapporto di coppia stabile, che paragona alla sicurezza di un cappotto in inverno, pur essendo consapevole che con il tempo "non ci sono più colpi di testa" e "la passione scema".
Il regista non prende posizione tra questi modelli di vita sentimentale, e soprattutto la sua mdp non li giudica, ma ne prende impressionisticamente atto. Eppure che qualcosa di autobiografico nell'idea del triangolo di personaggi ci possa essere è lecito pensarlo, dato che l'attuale compagna, la già citata Caroline Deruas, qui co-sceneggiatrice, è trent'anni più giovane di lui e senz'altro più vicina per età alla figlia, Esther Garrel, che anche nel film - solo un caso? - interpreta il ruolo della figlia del protagonista.
Che il dubbio resti, ciò che conta è che il cinema di Philippe Garrel sia vivo più che mai e con lui lo sia questa Nouvelle vague aggiornata ad oggi, con la stessa leggerezza, lo stesso fascino, la stessa capacità di sedurre gli spettatori che aveva un tempo, quando parlare di amore in questo modo fu una vera rivoluzione culturale... 

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