mercoledì 26 aprile 2017

Le cose che verranno (Hansen-Løve 2016)


Una famiglia composta dai genitori e due bambini cammina fino ad arrivare alla tomba di Chateaubriand a Saint-Malo... Con questa laico pellegrinaggio bretone inizia l'ultimo film di Mia Hansen-Løve, che racconta le vicende di quella famiglia anni dopo, andando a scoprire Le cose che verranno, un titolo italiano abbastanza fedele a L'avenir della versione originale, che forse avrebbe anche potuto essere lasciato così com'era.
La regista francese mette la sua pellicola in mano ad Isabelle Huppert, ancora una volta in pieno stato di grazia e, come nel recente Elletutto si imbeve della sua presenza, dandoci la certezza che senza di lei il film non sarebbe lo stesso o forse non sarebbe del tutto.
Nathalie (Isabelle Huppert) e Heinz (André Marcon) sono sposati da venticinque anni ed entrambi insegnano filosofia. Lei oltre all'insegnamento è impegnata con una casa editrice per la quale ha curato un manuale scolastico e dirige una collana di saggi, in cui ha fatto scrivere anche il suo miglior allievo, Fabien (Roman Kolinka), con cui ha un ottimo rapporto, lo sostiene, è un suo confidente, lo considera molto simile a com'era se stessa anni prima e le fa bene vedere in lui l'entusiasmo per un sincero idealismo politico e sociale che lei col tempo ha in parte perso.
La protagonista è una donna in piena fiducia: ha raggiunto la mezza età e vive un matrimonio sereno, ha due figli ormai grandi che si sono affrancati da casa, un lavoro in cui crede molto, così tanto che, durante una manifestazione contro il taglio delle pensioni, chiede con forza agli studenti ribelli all'ingresso del liceo di far almeno passare i suoi allievi per poter fare lezione. Lezione durante la quale Nathalie fa commentare una delle più significative frasi filosofiche citate nel film, che la dice lunga sulla sua stessa attuale posizione politica: "Se ci fosse un popolo di dei, esso si governerebbe democraticamente, una forma tanto perfetta di governo non è adatta agli uomini" (Jean Jacques Rousseau).
Improvvisamente, però, la vita di Nathalie subisce dei grandi cambiamenti, a cominciare dalla fine del matrimonio, messo in crisi da una storia che Heinz è costretto a rivelare poiché i figli gli chiedono di fare una scelta. E qui la protagonista mostra tutta la sua cinica e razionale stabilità sentimentale, rispondendo al marito "e perché me ne parli? Non potevi tenertelo per te?"
Per una sfortunata congiuntura, la donna nello stesso periodo dovrà affrontare il peggioramento dello stato di salute della madre (una bravissima Edith Scob), fino ad allora sempre molto presente con le sue continue richieste di aiuto, anche nottetempo; nonché la chiusura dei progetti editoriali, dovuta soprattutto alla sua inflessibilità rispetto alle proposte provenienti da esperti di marketing, finalizzati a rendere più vendibili i suoi libri.
La nuova libertà, a cui non è più abituata e che la Hansen-Løve fissa con belle inquadrature che vedono Isabelle Huppert sola all'interno di paesaggi sconfinati, inizialmente la stordisce, ma poi decide di sfruttarla raggiungendo il casale in cui Fabien vive con la sua compagna ed altri amici. Ed è simbolico che anche la musica faccia parte di questa nuova libertà: dopo decenni di Brahms e Schumann, sentire dall'autoradio del suo giovane amico una canzone di Woody Guthrie le regala un palpabile momento di felicità.
Nathalie è una donna eccezionale, ma evidenzia i suoi sentimenti e le sue debolezze solo in privato e in rari casi che inevitabilmente diventano momenti rilevanti del film: quando porta la madre in ospizio, si lascia andare alle lacrime pensando a "quell'odore di morte" solo quando è fuori, nella sua auto insieme al figlio; dichiara a tutti di non sopportare Pandora, la gatta ereditata dalla madre, ma nei suoi momenti più difficili dimostrerà quanto si sia legata anche a lei.
Essere stata lasciata dal marito la porta a commenti negativi come "noi donne dopo i quaranta siamo da buttare", anche se dirlo davanti a Fabien rivela solo il bisogno di sentirsi dire il contrario; d'altronde che sia ancora una donna attraente glielo dimostra anche l'interesse di uno sconosciuto al cinema che, nonostante l'assurdità della situazione, le fa indubbiamente piacere. 
È paradossale, se ne rende conto, ma ciò che la rende più triste del matrimonio finito sono i ricordi, che rimarranno, e la splendida casa in Bretagna a cui dovrà rinunciare, dove ha passato le ultime venticinque estati vedendo crescere i suoi figli.
Ma la vita cambia e Nathalie lo accetta con forza: diventare nonna, sentirsi "troppo vecchia per essere così radicale" come Fabien e i suoi amici, comprendere che la felicità è rousseauianamente nei desideri. Dopo una fase di riflessione mostra di aver compiuto un passo che le permetterà di non tornare più indietro, la sua tenacia è tornata e sarà in grado anche di sopportare gli eventuali cedimenti del marito...
Tutto il film, decisamente virato al femminile, e le capacità di Mia Hansen-Løve vengono riassunte nella bellissima sequenza finale, in cui, sulle note della versione a cappella di Unchained melody dei Fleetwoods, la mdp immortala il nuovo equilibrio raggiunto, insinuandosi nei vari ambienti della casa di Nathalie. 
Isabelle Huppert è monumentale e la sua immagine con il bel gatto nero al suo fianco, proprio come in Elle, la rende sempre più icona... che poi quel gatto si chiami Pandora acuisce il simbolismo di un film che vede nel futuro un'infinità di ignote possibilità di momenti felici, a patto di essere pronti a riconoscerli!

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