sabato 8 aprile 2017

Straziami ma di baci saziami (Risi 1968)


Uno dei tanti film imperdibili della stagione d'oro della commedia all'italiana, scritto da Age e Scarpelli, diretto da Dino Risi e con le musiche di Armando Trovaioli, nomi che costituiscono garanzie certe. Non il capolavoro di Risi, ovviamente, ma una pellicola arricchita di continui riferimenti a canzoni e cinema popolari, con una trama sviluppata secondo gli schemi della commedia classica e una storia d'amore che avanza tra calunnie, gelosie e ostacoli. Il tutto condito da una sceneggiatura pressoché perfetta, in cui dominano le divertentissime storpiature dialettali ciociare e marchigiane, in assoluto l'elemento più caratterizzante del film.

21 aprile. Durante una manifestazione folkloristica per il Natale di Roma, allo stadio Olimpico gruppi di diversi paesi italiani si esibiscono in danze e musiche popolari. Questa è la cornice in cui Marino Balestrini (Nino Manfredi), giovane barbiere di Alatri, conosce Marisa Di Giovanni (Pamela Tiffin), ragazza di Sacrofante Marche, paese inventato per l'occasione.
Il colpo di fulmine spingerà Marino l'inverno seguente a partire per Sacrofante per conquistarla: lì lavorerà come barbiere (splendida la sequenza in cui elenca i tipi di tagli e trattamenti del suo repertorio - vedi) e dovrà aspettare fino a primavera prima di ottenere il primo bacio. Come ogni storia d'amore che si rispetti, la loro unione verrà osteggiata prima dal padre di lei, ruvido scultore di provincia, e poi dalla provocante pensionante Adelaide (Moira Orfei) che, invaghitasi di Marino ("sono già compromesso"), si vendicherà del rifiuto calunniando l'onore di Marisa, che per la vergogna partirà per Roma e finirà per sposare il sarto sordomuto Umberto (Ugo Tognazzi), in un matrimonio con poco amore ma all'insegna della tranquillità. Marino, però, non demorderà e continuerà a cercarla...
  
Il primo scambio di battute tra i due è indimenticabile e preannuncia le scintille di una sceneggiatura divertentissima che gioca proprio sull'italiano naif dei due protagonisti: Marino prova ad offrirle della liquirizia con un semplice "potrei offrire una gomma alla riqulizia?" (sic) e lei risponde "grazie, no, nerisce i denti".
Marino arriva in una Sacrofante innevata (in realtà Pescocostanzo in Abruzzo), in un paesaggio da Dottor Zivago (Lean 1965), in quegli anni inevitabile punto di riferimento per ogni amore impossibile e che non a caso è il primo film che i due innamorati vedranno insieme al cinema, e al quale occhieggia spesso anche la musica di Trovaioli.
Marino non ha nessuna certezza, e sulle prime, anche se palesemente lusingata, Marisa si mostra ritrosa e disinteressata, come una ragazza educata, ai tempi, doveva dimostrare di essere. Solo dopo tre mesi, in primavera, inizierà ad accettare il corteggiamento di quello che definisce "Casanuova".
Battute come questa, o come quella già citata sulla liquirizia, sono indubbiamente la grande forza del film. Marino, per esempio, legge come fosse una poesia il testo de L'immensità, che Don Backy portò a Sanremo nel 1967, e all'opposizione del padre di Marisa la loro lettera di addio e il tentativo di suicidarsi vestiti da sposi sui binari ferroviari di un treno che naturalmente "porta ritardo" dà la dimensione di come la pellicola rappresenti una parodia di una tormentata storia d'amore.
Anche lo scontro tra Marino e quello che crede essere il suo "rivale" in amore, a causa delle chiacchiere che la signora Adelaide si fa sfuggire al grido di "nemica dell'amore è la sincerità", altro verso ripreso da una famosa canzone romana, Serenata sincera, inizia con una battuta eccezionale: "se tu sei er gigante di Rodi, io non so er nanetto de Biancaneve". Gli schiaffi presi e il conseguente stato febbrile causeranno a Marino sogni deliranti durante i quali, nei panni dello Yuri de Il dottor Zivago, perderà la sua Lara-Marisa. 
I rimandi cinematografici, però, non si limitano al film di Lean, poiché il personaggio di Umberto, interpretato da uno straordinario Ugo Tognazzi, è palesemente modellato su Harpo Marx, con il quale condivide la mancanza dell'udito e della parola (qui persi durante il bombardamento di San Lorenzo), i capelli biondi e il sorriso costante, ma deve molto anche al maggiordomo muto John interpretato da Art Smith nel capolavoro hollywoodiano Lettera a una sconosciuta (Ophüls 1948).
Tante le scene davvero riuscite, tra le quali vale la pena ricordare lo scontro di classe in cui si trova coinvolto Marino, per l'occasione cameriere in una festa esclusiva nella villa di un ingegnere vanaglorioso esperto di vini (Gigi Ballista), ma in realtà incapace di riconoscere un vino pregiato da uno dozzinale. Dopo la figuraccia davanti agli ospiti, il padrone di casa offende e schiaffeggia Marino, colpevole di avergli portato la bottiglia sbagliata che reagisce e se ne va, mentre tra gli invitati c'è chi consiglia all'ingegnere "mica vorrà sporcarsi le mani con un cameriere", e un alto esponente dei servizi segreti chiosa con un definitivo "guarda il risultato, diamo il potere ai negri".
Marino-Manfredi come Yuri
E poi la parodia della psicanalisi, con il medico che tenta di convincere Marino che Marisa sia una "necessità transazionale... Marisa è la mamma... un essere che non esiste", per poi rimandarlo a dopo l'Epifania, perché durante le feste tutto si deve fermare. Il conseguente tentato suicido ispirato dal tuffo di Mister Ok nel Tevere, però, porta Marino in ospedale, dove il vicino di letto (doppiato da Ferruccio Amendola) sfrutta le sue tragiche vicende per scegliere i numeri da giocare al lotto: "sei sicuro che so' pene d'amore? È pa'a giocata: vedi, insano gesto fa 28, er fiume è 14, er giorno è 1", ma invece "se so' corna, fa 58".
Il magnifico personaggio di Umberto, per quanto sia poco in scena, è protagonista di continue gag e, su tutte, si pensi all'ordinazione telefonica dei caffè al bar fischiettando (vedi; per la cronaca il bar è il famoso Tazza d'oro al Pantheon e dall'altro capo del telefono risponde Ettore Garofalo, l'indimenticato figlio di Anna Magnani in Mamma Roma - Pasolini 1962).
Si potrebbe andare avanti per molto, ma va citata almeno la sequenza del Carnevale, con i due amanti ormai ritrovatisi e adulteri, dopo l'appuntamento alla pizzeria di via "Melozzo di Forlì, angolo via del Vignola", che si scambiano forse le battute più divertenti del film, con Marisa che chiede a Marino "Come si chiama un uomo che nell'intimità mena alla moglie?" "Nervoso" "Macché nervoso, è un vizio, una perverzità" "Ma allora è uno de naso... un nasochista".
E infine l'attentato orchestrato dai due amanti ai danni di Umberto che, però, così come aveva perso l'udito dopo il bombardamento di San Lorenzo, grazie alla nuova esplosione guarirà e sarà costretto, per un incredibile paradosso, a rispettare il voto fatto quando era sordomuto, quello di diventare prete e fare voto di silenzio. Tutto questo, però, non accadrà prima di aver cantato a squarciagola Creola, il motivetto di Ripp, nome d'arte di Luigi Maglia (1926), tra i cui versi si nasconde il titolo del film.
Qualche notazione, infine, sulle location. Come già detto, la città di fantasia di Sacrofante Marche è in realtà Pescocostanzo, in provincia dell'Aquila, cosicché, quando Marino esce da una chiesa dalla lunga scalinata, questa è la Basilica di Santa Maria del Colle.
Marino cammina per viale Etiopia a Roma
Naturalmente, però, sono soprattutto alcuni luoghi di Roma a caratterizzare le sequenze del film. Oltre lo stadio Olimpico, che appare negli anni appena seguenti la sua tirata a lucido per le Olimpiadi del 1960, si vedono ad esempio piazza Guglielmo Marconi all'EUR, dove Marino prova a telefonare, sbagliando numero, al parroco di Sacrofante; piazza di Porta Capena dove, sotto la stele di Axum (lì dal 1937 al 2005, quando venne restituito all'Etiopia), Marino dà appuntamento a chi risponde ad un annuncio finalizzato a trovare Marisa; per una strana coincidenza, la scena del triste capodanno di Marino, che cammina solitario durante gli spari della mezzanotte, è ambientata a viale Etiopia, caratterizzata dalle famose Torri dell'INA (Ridolfi 1951-54), simbolo della ricostruzione successiva alla Seconda guerra mondiale.
Un film che gioca sulla messa in ridicolo dei semplici, di quelli che a Roma sono i "burini", tra romanzo rosa e motivi nazionalpopolari; Manfredi e Tognazzi giganteggiano come sempre e alcune battute rimangono in mente per sempre...

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