giovedì 5 maggio 2016

Buffalo Bill e gli indiani (Altman 1976)

Dopo The Plainsman (DeMille 1936) e Buffalo Bill (Wellman 1944), il terzo film hollywoodiano incentrato sulla vita di William Frederick Cody, meglio noto come Buffalo Bill, è tutto fuorché una celebrazione del suo mito.
La scelta di Robert Altman è finalizzata a mostrare, infatti, la sua vita reale, quella del successo teatrale e circense, che lo trasformò da semplice cacciatore di bufali in eroe in funzione anti-indiana.
Un film che toglie molto all'epopea della conquista del west, ma lo fa con un sorriso disincantato, un tono che gli permise  di vincere l'Orso d'oro a Berlino, dove la giuria volle precisare che quel premio era stato conferito alla versione originale della pellicola, che invece il produttore Dino De Laurentiis aveva decurtato di oltre venti minuti.

Scritto da Altman insieme allo storico collaboratore Alan Rudolph, il film si ispira liberamente alla commedia Indians, di Arthur Kopit, e si avvale di un cast di alto profilo, che vede, oltre a Paul Newman nei panni del protagonista, Burt Lancaster in quelli dell'impresario Ned Buntline. Quest'ultimo fu lo scrittore popolare che, dopo aver pubblicato diversi racconti di fantasia sulle gesta di Buffalo Bill, gli chiese prima di interpretare la parte a teatro nel 1873 e, dopo dieci anni di successi, diede vita al Buffalo Bill's Wild West (1883), lo spettacolo circense su cui si incentra la storia narrata dalla pellicola. 
Tra gli altri attori di rilievo, si segnala la presenza di Harvey Keitel come Ed Goodman, nipote di Cody, e di Geraldine Chaplin come Annie Oakley, donna dalla mira infallibile - nella realtà fu Calamity Jane ad unirsi alla compagnia -, che si esibisce sparando col fucile con la collaborazione di un assistente-cavia, Frank Butler (John Considine), in uno strano ribaltamento dei ruoli uomo-donna tra i numeri circensi.  
E questa volontà di straniamento diventa ancora più evidente, nel confronto tra Buffalo Bill ed un'altra leggenda del west, Toro Seduto, suo degno antagonista, ingaggiato per dare più vigore allo spettacolo.
In un mondo in cui l'immagine di personaggi di questo calibro era di fatto ignota al grande pubblico, la geniale idea di Altman è quella di dare la parte del collaboratore del capo indiano ad un attore allora sulla cresta dell'onda, quel Will Sampson che poco tempo prima aveva interpretato l'indiano di Qualcuno volò sul nido del cuculo (Forman 1975), lasciando il ruolo di Toro Seduto al meno noto Frank Kaquitts.
Con questo escamotage anche il pubblico condivide la sensazione di sorpresa quando scopre che Toro Seduto non è l'indiano enorme, che parla sempre per primo e che all'occorrenza ribatte punto su punto, ma quello più minuto e taciturno, una sorta di Gandhi delle indie "sbagliate". E non a caso, quando il santone pellerossa morirà, lo sostituirà proprio quel gigante, di indubbio impatto scenico, e senza compromettere la riuscita dello spettacolo, anche se a quel punto il gioco riesce solo col pubblico diegetico, poiché quello al di qua dello schermo è già informato sui fatti.
Il contrasto tra Buffalo Bill e Toro Seduto è totale, e risulta evidente sia nel modo di porsi, sia nell'eloquio, ricco di metafore e immagini per il capo indiano, e decisamente più istintivo per il cacciatore statunitense. Indicativo che ad uno dei discorsi di Toro Seduto, Bill risponda con parole senza senso per poi chiosare con un risolutorio "mi sembra di avergli risposto con le stesse cazzate che ha detto lui". A Toro Seduto, però, che si ritira per pregare, che chiede nel contratto coperte per la sua gente, a sottolineare le sue prerogative di guida politica e spirituale, viene riservata una delle più belle battute del film: "la storia non è altro che irriverenza per i morti".
La sceneggiatura regala anche diversi momenti da commedia, genere in cui rientra pienamente la pellicola, e lo dimostra lo stesso Buffalo Bill che cambia registro durante lo show, quando usa toni epici che in bocca a lui risultano ridicoli: "Custer perse la vita, Toro Seduto perderà la dignità".
Il protagonista è a tutti gli effetti un attore ormai, e la finzione è amplificata dalla sua vita dietro le quinte, in cui scopriamo che i suoi lunghi capelli sono in realtà un tupè, e persino che la sua ostentata virilità ha bisogno di continue scuse, cosicché dopo essersi vantato di concedere un' "audizione" alla cantante di turno, dopo una notte negativa le dirà "sono meglio la mattina", senza però far seguire i fatti alle parole. E Altman insiste su questo punto, giocando anche con i simboli, e facendolo inveire a più riprese contro il piccolo uccello in gabbia della ragazza, che proverà persino a colpire sparandogli in camera con un fucile e al quale urla un eloquente "odio gli uccelli!"
Buffalo Bill subisce la personalità di Toro Seduto e la sua crisi spirituale coincide con la morte del grande rivale, che gli appare in una vera e propria allucinazione in cui si infuria e prorompe in frasi razziste come "l'indiano è rosso per un'ottima ragione: per poterlo distinguere da noi!"
I toni di una commedia che fa riflettere tornano anche nelle poche battute riservate a Ned, che in una di queste sentenzia come "l'industria dello spettacolo prospera quando il mondo va male", completata da un pragmatico "speriamo che continui così" di uno dei lavoranti.
E il successo verrà sancito anche dall'apprezzamento del presidente deli Stati Uniti, Cleveland, in viaggio con la moglie (Shelley Duvall), per il quale lo spettacolo verrà organizzato eccezionalmente in versione serale, con tanto di sorpresa fuoriprogramma da parte di Toro Seduto...

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