venerdì 27 maggio 2016

La pazza gioia (Virzì 2016)

L'ultimo film di Paolo Virzì funziona, racconta una storia piacevole, a tratti divertente, nonostante affronti tematiche serie come il recupero di persone con disturbi mentali e le adozioni di bambini sottratti a madri problematiche ritenute socialmente pericolose.
La regia non ruba certo l'occhio e, fatta eccezione per qualche dialogo girato senza l'alternanza di campo e controcampo, ma con la mdp che passa da un volto all'altro, non c'è nulla di ravvisabile dal punto di vista tecnico e, anzi, gli unici momenti in cui il montaggio prova ad andare oltre la narrazione piana, i flashback non brillano.
La pellicola rappresenta la consacrazione di Valeria Bruni Tedeschi, alla cui interpretazione si deve gran parte della riuscita del film: lei è Beatrice Morandini Valdirana, nobile caduta in disgrazia ospite di Villa Biondi, dove ha sede una comunità di recupero per donne in custodia giudiziaria.
Qui arriva anche Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), madre di Elia, un bambino avuto da un amante sposato e con due altri figli, poi dato in adozione su decisione degli assistenti sociali.
La logorroica Beatrice prenderà in simpatia Donatella, fingendosi prima dottoressa e poi imponendole di fatto la sua compagnia. Alla fine diventeranno amiche e un'uscita di gruppo si trasformerà in un'avventura a due, che permetterà loro di darsi a "la pazza gioia" del titolo, in una sorta di Thelma & Louise (R. Scott 1991) in salsa versiliana.
Come detto, è il personaggio di Beatrice a costituire il fulcro del soggetto e della storia, come dimostrano le decine di battute folgoranti e i comportamenti stravaganti dettati dal suo stato perennemente ai limiti, capace delle bassezze più incredibili a contrasto con un'ostentata nobiltà dei modi. Sulla rubrica del suo cellulare campeggiano nomi come George Clooney o Giorgio Armani, che vediamo quando in piena notte chiama il giudice che ha decretato la sua pericolosità sociale; per lei "la felicità è una tovaglia di fiandra ... bicchieri di cristallo"; si aggira per la tenuta di Villa Biondi con un ombrellino in carta di riso dando ordini alle altre senza mai muovere un dito; va a messa perché è il momento più mondano della vita in comunità e anche perché infatuata del sacerdote africano a cui tutte le donne della comunità fanno gli occhi dolci e qualcosa in più quando vanno a prendere la comunione; celebra una particolare eucarestia sotto le due specie con pasticche e sangiovese spillato dalle botti; pretende la privacy dagli altri, ma è la prima a rovistare tra gli effetti personali della sua nuova compagna di stanza.
Tra i tanti momenti in cui pretende di insegnare le buone maniere a Donatella, che apostrofa spesso come "cafona e ignorante" e a cui ripete che "nella vita la cosa importante sono i contatti", è fantastica quando in un ristorante di classe la critica per un certo "senso di inferiorità sociale" poiché si sente a disagio di fronte alle sue richieste al cameriere, su cui invece lei sentenzia "i servitori a cosa servono sennò?" 
Micaela Ramazzotti pur non sfigurando non è agli stessi livelli della collega, recita in livornese e fa da spalla alla mattatrice Bruni Tedeschi. 
Il resto del cast, fatta eccezione per la brava Valentina Carnelutti, la terapeuta affezionata e particolarmente empatica con le sue pazienti, non sembra essere stato scelto con grande attenzione, e diversi attori appaiono fuori contesto: è il caso dei due attori che interpretano i genitori di Donatella, Marco Messeri nei panni di un pianista fallito passato da Gino Paoli (la figlia è convinta che Senza fine l'abbia scritta lui) a locali scalcinati, e Anna Galiena, in quelli di una badante di un ex generale da cui spera di ereditare la casa; così come Bob Messini, l'avvocato Aitiani, ex marito di Beatrice della quale subisce ancora il fascino, ma il cui personaggio è ridotto ad una macchietta di bassa lega.
Tra le curiosità si segnalano diversi cameo, come la presenza di Marisa Borini, la vera madre della Bruni Tedeschi, che impersona proprio la madre di Beatrice, costretta ad affittare la propria villa come set per un film italiano - "non so se ti rendi conto" - diretto da una regista e interpretato da un'attrice a cui rispettivamente prestano il volto Francesca Archibugi (che ha scritto il film insieme a Virzì) e Jasmine Trinca. Più azzeccata la scelta del padre adottivo di Elia, interpretato da Simone Lenzi, cantante dei Virginiana Miller, nonché, e questo lo lega ben di più a Virzì, autore del romanzo La generazione (2012), da cui il regista livornese trasse Tutti i santi giorni (2012).
Infine qualche citazione cinematografica. Thelma & Louise è chiaramente il riferimento più palese e quella che sembra un'ovvietà viene certificata quando le due protagoniste si ritrovano ad essere comparse nel film girato a Villa Morandini Valdirana, e posano in una decappottabile con Donatella alla guida, stile Geena Davis, e con Beatrice che indossa un foulard, proprio come faceva Susan Sarandon sul posto del passeggero nel film del 1991.
C'è però anche un po' di cinema classico italiano nella sequenza in cui le due si recano da una santona per provare ad ottenere qualche notizia su dove sia il figlio di Donatella: l'ambiente e le tante persone accalcate nell'appartamento della veggente rimandano inequivocabilmente alla simile sequenza in cui Lamberto Maggiorani e il piccolo Enzo Staiola chiedevano notizie sulla bicicletta rubata in Ladri di biciclette (De Sica 1948).

Il grande merito de La pazza gioia, in cui il contrasto tra le classi sociali è lasciato al bipolarismo delle due protagoniste, è quello di aver evitato eccessivi sentimentalismi in una vicenda che presentava forti rischi in tal senso.
Virzì non raggiunge la qualità che aveva ottenuto con Il capitale umano (2014), ma la leggerezza non viene mai meno e come immagine più indicativa di questo risultato si pensi a Beatrice, che subisce la peggiore delle umiliazioni dal suo ex amante, ma dal taxi continua a guardarlo con occhi estatici mentre le sue labbra pronunciano un sommesso "ti amo"... chapeau!

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