martedì 12 aprile 2016

Il condominio dei cuori infranti (Benchetrit 2015)

Il quarantatreenne Samuel Benchetrit, scrittore e regista francese d'origine marocchina, ha realizzato una commedia divertente e surreale  ambientata in un anonimo palazzo di una banlieue parigina, incentrata sulla solitudine e sul modo di ingannarla, narrata in maniera decisamente originale. 
Secondo uno schema noto, lo spettatore segue le vicende di alcuni condomini in montaggio alternato, ma le singole storie non hanno nulla di consueto: il signor Sterkovitz (Gustave Kervern) si rifiuta di partecipare alle spese per il nuovo ascensore, ma la legge di Murphy non lo perdona e un incidente con la cyclette lo costringe alla sedia a rotelle che lo rende, pur se per un periodo, disabile; Charly (Jules Benchetrit), un adolescente che vive praticamente da solo, diventa amico di una misteriosa ed ambigua vicina con un passato da attrice, Jeanne (Isabelle Huppert); un astronauta della NASA (Michael Pitt) atterra sul tetto del palazzo e viene ospitato dalla signora Hamida (Tassadit Mandi), una donna d'origine algerina...

Nell'analisi de Il condominio dei cuori infranti (in originale semplicemente Asphalte) partirei proprio da quest'ultima storia, la più surreale, la più pythoniana - come non pensare all'astronave di Brian di Nazareth (Gilliam 1976)? -, ma anche la più interessante sotto tutti i punti di vista: per il confronto con l'altro, perché trattata con straordinaria sensibilità, perché recitata splendidamente da un Michael Pitt, che merita un grande applauso per aver accettato un ruolo così semplice e in una produzione europea dal basso budget. Tanti gli elementi su cui porre l'attenzione nelle sequenze che costituiscono questo racconto: dall'arrivo della navicella, con i volti increduli di due ragazzi che sono sul terrazzo per fumare dove non può vederli nessuno (ricordate Jay e Silent Bob nel primo Clerks - Smith 1994?
Qualcosa del genere); alla totale assurdità della situazione che si trasforma in una realistica quotidianità, in cui Hamida prepara il suo cous cous e John, che indossa i vestiti del figlio della donna, compresa una maglietta dell'OM, tenta di sdebitarsi facendo qualche riparazione casalinga. Il loro rapporto migliora a vista d'occhio nonostante una difficile comunicazione che perlopiù si limita ai gesti. Eppure, la sceneggiatura regala delle perle: dalla prima domanda di Hamida che, guardando dallo spioncino, chiede "testimoni di Geova?"; alla voce dall'altro capo del telefono, dove qualcuno della NASA, al solo sentire l'espressione 'donna araba', chiede a John "ti hanno rapito? Lei nutre sentimenti antiamericani?"; fino all'inevitabile domanda che il figlio di Hamida rivolge alla madre - "hai l'alzheimer?" - quando questa gli racconta chi sta ospitando. La sequenza in cui John spiega l'universo ad Hamida disegnando su un foglio le stelle ed esponendo la teoria degli antichi greci, che dietro quei buchi credevano ci fosse l'occhio di Dio, è emozionante, anche perché il giovane astronauta traduce la parola 'Dio' con 'Allah' per aiutare la donna a comprendere meglio, in una palese metafora dell'incontro tra culture...
La storia del signor Sterkovitz è decisamente alla Kaurismaki: la sua "colpa" iniziale gli causa una serie di eventi sfortunati, mitigati dalla conoscenza di una donna, la timida infermiera (Valeria Bruni Tedeschi) che ogni notte incontra all'ospedale, dove si reca per mangiare qualcosa ai distributori automatici, e alla quale racconta di essere un fotografo di successo per darsi un tono. Esilarante il momento in cui si presenta da lei con una vecchia Polaroid e un'altra macchina fotografica ormai buona per il modernariato e quello in cui mostra volti, personaggi celebri e paesaggi esotici rubati davanti al televisore.
Infine la vicenda tra Charly e Jeanne racconta di un'ennesima doppia solitudine in cui si incontrano un ragazzo che ha bisogno di una madre che non c'è mai e una donna che ha bisogno di ritrovare il proprio equilibrio...
 
Oltre all'ironia surreale, alle riflessioni sulla solitudine e sull'integrazione sociale, il film di Benchetrit sembra essere sostenuto anche dall'idea stessa di visione, rappresentata da diversi mezzi che la possono stimolare, quali fotografia, televisione, cinema. Il signor Sterkovitz, per sostenere la sua bugia di essere fotografo dell'International Geographic (sic) e di aver fatto "tre quarti" del giro del mondo, usa il televisore come finestra sul mondo e "prende lezioni" di romanticismo guardando I ponti di Madison County (Eastwood 1995). Hamida e John si ritrovano a guardare una puntata di Beautiful, con l'astronauta che dà qualche notizia in anteprima alla sua ospite sulla soap che negli Stati Uniti è più avanti (e pensare che la stessa cosa succedeva in Caro Diario - Moretti 1993, con Nanni che sulla sommità di Vulcano chiedeva a dei turisti per conto di un Renato Carpentieri incredibilmente appassionatosi agli amori di Ridge & co.).
Inoltre, sulla porta della stanza del figlio di Hamida in cui viene ospitato l'astronauta John, compare il manifesto di Piège de cristal (Die hard - Trappola di cristallo, McTiernan 1988). Charly e Jeanne guardano un film in vhs dal titolo La donna senza braccia (in realtà si tratta di La dentellière - Goretta 1977, in cui compariva una giovanissima Huppert), ma soprattutto il ragazzo riprende con una telecamera la vicina mentre recita la parte di Agrippina, dandole continui consigli per essere più naturale possibile.
E tra i tanti elementi surreali e poetici, un rumore sinistro si ripete con costanza, ma ognuno ha una spiegazione diversa per lo strano fenomeno...
 

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