domenica 1 giugno 2014

Il caso Thomas Crown (Jewison 1968)

Il film che Norman Jewison realizzò per la United Artists è uno di quei casi che confermano come non possano bastare un buon regista e una coppia di attori all'acme del loro successo, per raccontare una buona storia se poi questa e la sceneggiatura sono pressoché assenti.
Le due star in questione sono Steve McQueen e Faye Dunaway, che dall'inizio alla fine della pellicola sembrano recitare in un lunghissimo spot pubblicitario di se stessi (la buona fotografia è di Haskell Wexler). McQueen, che interpreta il giovane trentaseienne (all'epoca ne aveva 38 nella realtà) Thomas Crown, milionario statunitense che decide di svaligiare la propria banca per il semplice motivo di voler riuscire nell'impresa, non fa altro che riproporre il suo personaggio tipico: un bellissimo, affascinante e ricco uomo a cui è impossibile dire di no. La Dunaway, che impersona Vicky Anderson, la splendida investigatrice dell'assicurazione che sospetta di Thomas nel momento in cui vede la sua foto rimanendone colpita per l'aspetto (sic!), passa di sequenza in sequenza quasi mai con lo stesso abito, in una sfilata senza soluzione di continuità, in cui non passano di certo inosservati una serie di cappelli a larghe falde di diversi colori.
La regia di Jewison fa un uso ossessivo dello split screen, che non serve solo a narrare più storie parallele, ma molto spesso è cifra stilistica fine a se stessa, cosicché le partizioni dello schermo aumentano indiscriminatamente, da tre, quattro, sei, fino al parossismo della partita di polo, in cui se ne contano ben 54, forse un record assoluto. Anche i titoli di testa si avvalgono dello split screen e in quel caso funziona meglio, anche perché i riquadri appaiono colorati come in una composizione pop art e sono sostenuti dalla canzone The Windmills of your mind che vinse l'Oscar, ma soprattutto, forse, perché ancora non sappiamo quante volte dovremo rivedere quell'espediente nel corso del film.
È evidente che, come in ogni film dominato da una coppia di attori sexy, i due protagonisti dovranno avere una relazione... In questo frangente Vicky è autorizzata a sedurre Thomas con l'obiettivo di carpire le informazioni necessarie per incastrarlo, ma la sua investigazione è sempre troppo poco credibile e alcune frasi della sceneggiatura non fanno che peggiorare la situazione. Il suo personaggio, criticato dal superiore Eddie, arriverà a dire "sono immorale, ma anche il mondo lo è! Io sono qui per i soldi, chiaro?", e alle accuse ancora più pesanti del suo capo che, ingelosito, le ringhia "sai che cosa sei?", lei risponde "sì, perfettamente, è inutile che me lo dica", per poi regalargli una targa con su scritto "think dirty", eloquente riferimento alla relazione sessuale con Thomas, ma che peraltro la versione italiana traduce, in preda ad un'ingiustificata pruderie, con "pensa il peggio".
Dell'intera pellicola la sequenza meglio riuscita è sicuramente quella della partita a scacchi, in cui Vicky e Thomas non fanno che lanciarsi occhiate, coadiuvati da un montaggio serrato che alterna stretti close up sui volti dei due attori a inquadrature dall'alto, ma anche dettagli delle mosse, fino all'arrocco del milionario, che alla fine viene battuto dalla conturbante investigatrice che lo seduce con gesti a dir poco allusivi, dallo sfiorarsi il seno al passarsi le dita sulle labbra, fino al punto più alto in cui accarezza voluttuosamente il pezzo più fallico dell'intera scacchiera, l'alfiere. Peccato che dopo lo scacco matto, la sceneggiatura dia ancora il peggio di sé, facendo reagire Thomas, dopo alcuni secondi di silenzio, con un laconico "cambiamo gioco ora!", cui segue un omaggio al bacio circolare di hitchcockiana memoria, che rispetto al celeberrimo precedente della Donna che visse due volte, Jewison aggiorna conferendogli una caratterizzazione decisamente più pop data dall'avvicendarsi dei colori.
Dopo aver "salvato" questa sequenza, va detto che il resto del film, di cui come se non bastasse Hollywood ha prodotto un remake con Pierce Brosnan e Rene Russo (Gioco a due, McTiernan 1999), si attesta sul basso livello già evidenziato, cosicché la trama non vive nessun sussulto e si focalizza sull'incomprensibile rapporto tra i due protagonisti che inspiegabilmente si innamorano pur essendo consapevoli di essere dei nemici, ma la versione hollywoodiana di questo assurdo "guardie e ladri" ha una soluzione anche per questo...

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