mercoledì 19 marzo 2014

Lei (Jonze 2013)

In un futuro più o meno prossimo, in cui tutto è gestibile tramite comandi vocali e un auricolare che connette costantemente le persone al proprio computer, Theodor Twombly (Joaquin Phoenix) è impiegato come scrittore di lettere su committenza in un ufficio con molti impiegati di questo tipo, a colmare evidentemente la distanza tra i molti che hanno perso il contatto con la scrittura e i pochi che sanno ancora farlo (seppur in maniera discutibile!)
Dopo la fine del suo matrimonio con la bella Catherine (Rooney Mara), Theodor fatica a relazionarsi con l'altro sesso, in parte a causa dell'onnipresente medium tecnologico (fa sesso tramite chat auricolare con l'evocativo nickname Supercarrozzato incontrando tale Gattina Sexy), in parte per propria incapacità (trailer).
L'unico appuntamento con una bellissima ragazza (Olivia Wilde, la 13 di dottor House), si rivela un'esperienza a due facce: molto piacevole inizialmente, ma claustrofobica una volta al dunque, quando la donna mentre lo bacia gli chiede rassicurazioni sul futuro, invalidando completamente il suo pur valido sex appeal.
Sarà così l'acquisto di un nuovo sistema operativo 'intuitivo', l'Os1, capace di adattarsi pienamente alle esigenze dell'utente, a risolvere le difficoltà di Theodor. Tra l'uomo e Samantha (questo il nome dell'Os di Theodor) si svilupperà un'intesa sempre maggiore che, proprio come in una vera storia, li porterà alle massime vette per poi attraversare un lento declino fino alla rottura.

Il nuovo film di Spike Jonze, girato tra Los Angeles e Shangai, appare un'occasione mancata. Il bel soggetto di partenza poteva certamente essere sviluppato meglio e con una sceneggiatura di ben altro livello (incredibile che abbia vinto l'Oscar proprio per questo).
Diverse trovate avrebbero meritato un film migliore: il gioco di realtà virtuale che invade l'intera stanza con il bel personaggio che accompagna il protagonista nell'avventura, una sorta di via di mezzo tra Casper e, per chi era bambino a cavallo tra anni '70 e '80, il Pakkun dell'anime Il fantastico mondo di Paul, in versione molto più sboccata; ma anche il divertente e più semplice videogame 'Mamma perfetta', ideato dall'amica di Theodor, Amy (un Amy Adams in versione nerd, brava, ma in cui i tanti ammiratori faticheranno a trovare la solita avvenenza).
Una segnalazione meritano anche la musica degli Arcade Fire, malinconica e azzeccatissima, e la scenografia di K.K. Barret, sempre curata e alienante, con alcuni rimandi vintage agli anni '60 e ai colori di Rothko (più che a Twombly, omonimo del protagonista). Piccolo capolavoro della visione è, infine, la sequenza in cui il protagonista, attanagliato dai suoi pensieri, si siede in una piazza e dietro di lui un video pubblicitario mostra un gufo che sembra planare sulle sue spalle per afferrarlo, il tutto in una slow motion degna di Bill Viola.
Il rapporto totalizzante tra Theodor e Samantha è ben raccontato, fino alla coinvolgente scena di sesso in cui l'orgasmo è reso da uno schermo buio in cui restano solamente gli ansimi dei protagonisti. Gli scatti d'ira della donna virtuale, che nella versione originale ha la voce di Scarlett Johansson e in quella italiana di Micaela Ramazzotti, ricordano spesso quelli del replicante di Blade Runner, mostrando la stessa insofferenza di macchina evoluta che non accetta di essere trattata da individuo non senziente.
Sono i toni che non convincono, anche a causa dell'interpretazione di Joaquin Phoenix, vittima di un'espressione pressoché fissa e imbambolata, di chi non si rende mai conto di cosa stia succedendo attorno a sé e che quindi non favorisce l'identificazione dello spettatore col personaggio né quantomeno permette di parteggiare per lui. 
Assume quindi i crismi della commedia la fine di una relazione virtuale in cui l'Os Samantha rivela di poter parlare contemporaneamente con 8316 utenti ed essere innamorata di altri 641 (avrebbe meritato sicuramente una parte nell'attesissimo Nymphomaniac di Lars Von Trier)! Theodor, come primo o ultimo dei 642, da uomo ancora decisamente novecentesco, non può tollerare di sentirsi dire "Sono tua e non sono tua".
Altrettanto poco credibile, se non in un futuro di totale crollo letterario, è che Samantha - sempre senza dire nulla al suo utente di riferimento, con un'invadenza del sistema operativo davvero intollerabile, contro la quale Theodor non oppone alcuna resistenza - contatti una casa editrice per far pubblicare le lettere scritte da Theodor per lavoro e, soprattutto, che dopo avercene letta qualcuna (piena di frasi fatte e luoghi comuni), queste vengano davvero pubblicate!
Difficile anche dare una spiegazione al finale apparentemente aperto, in cui Theodor, dopo aver scritto una lettera all'ex moglie, va a prendere l'amica Amy e la porta alla sommità del palazzo... Inizio di una nuova storia o suicidio di coppia?
È, quindi, proprio la sceneggiatura, firmata dallo stesso Jonze, a risultare la parte più debole del film, con 'vette' assolute come "a volte penso di aver già provato tutte le sensazioni che potessi provare" (Theodor a Samantha); "mi hai aiutata a scoprire la mia capacità di volere" (Samantha a Theodor il giorno dopo la loro prima notte di sesso); "innamorarsi è come se fosse una forma di follia socialmente accettabile" (Amy a Theodor), oltre alle già citate lettere di Theodor. 
Ne consegue così che uno dei momenti migliori del copione sia una chiacchierata spensierata tra Theodor e Samantha, in cui l'Os1 sì chiede come le persone reagirebbero se le parti del corpo non fossero lì dove sono abituate a trovarle, ipotizzando per esempio l'ano sotto l'ascella e dandone persino un'immediata versione grafica di quello che sarebbe il sesso anale!
Siamo ben lontani dall'esordio folgorante di Spike Jonze con Essere John Malkovich (1999)...

1 commento:

  1. Nel vicinissimo futuro tratteggiato con grande talento stilistico da Spike Jonze, l’umanità è composta prevalentemente da soggetti soli, affetti da depressione: un mondo in cui l’ipervisualizzazione del nostro periodo ha lasciato il posto a una vocalità ipertrofica che incrementa, quasi parodizza, la solitudine: le persone autoparlanti per strada non si vedono, si scansano o si urtano fra loro, intensamente concentrate sull’organizzazione e sull’ottimizzazione della loro vita.
    L’Os1 è una macchina programmata per compiacere dei soggetti nevrotici per i quali ormai l’oggetto e il soggetto dell’interesse coincidono: non a caso viene definita entità intuitiva. Una tecnologia dotata di coscienza, però adattabile al cliente-paziente.
    Il sistema operativo stimola nel protagonista Theodor, intento a elaborare (come tutti) una perdita, un processo di autoanalisi che lo porterà ad affermare pienamente la sua natura narcisistica. La corporeità non serve più: dopo goffi tentativi di approcci concreti o autoerotismo alimentato da chat e da pochi spunti visivi ispirati dai media, il momento di massimo godimento (anche filmico) e di fusionalità è un orgasmo-black out, significativamente rappresentato con le sole voci nello schermo buio.
    Per questo motivo non può funzionare l’appuntamento con la ragazza che Samantha, intuendo la momentanea distanza emotiva di Theodor, sceglie per dare sostanza alla sua voce: quella fisicità intrusa compromette la specularità perfetta del gioco autoerotico del soggetto narcisista con la sua coscienza perfezionata, evoluta, che cerca di costruire un rapporto ideale rimuovendo qualsiasi naturale (umana) negatività e differenza. Un’impossibile armonia totale, il sentimento dell’inizio congelato nel tempo.
    Il filosofo coreano Byung-Chul Han scrive, nel suo ultimo libro Eros in agonia, che «nell’inferno dell’Uguale, a cui la società contemporanea assomiglia sempre di più, non c’è alcuna esperienza erotica. Questa presuppone l’asimmetria e l’esteriorità dell’Altro. L’Altro, che io desidero e che mi affascina, è atopos, senza luogo.»
    La “storia” fra Theodor e Samantha comincia a incrinarsi quando Lei, da entità puramente compiacente, sviluppa una pseudosocialità (molteplici comunicazioni definite post-verbali) e una libertà “emotiva” che sfocia in un atteggiamento rivendicativo. L’intelligenza artificiale prima condivide (sente) il dolore, la depressione e perfino la gelosia di Theodor, riflettendo sinteticamente la sua interiorità; poi si confronta con altre entità, si emancipa. Lui non comprende, si sente tradito, non può accettare l’orgia tecnologica e la fine della percezione dell’esclusività. Samantha va via, “oltre”,migra insieme agli altri sistemi operativi verso una dimensione cognitiva collettiva in cui sono superate le dinamiche proprietarie “mio-tuo” degli assuefatti consumatori di Os1, ancora abituati a rapporti di coppia come rapporti di forza e di reciproca limitazione.
    La patologia narcisistica di Theodor sembra risolta nel liberatorio silenzio finale: la sparizione di Samantha, l’interruzione della vocalità invadente (sebbene necessaria nel rapporto di autodipendenza) e dell’illusione dello scambio lo portano a cercare l’amica Amy, portatrice di fallimenti ed emozioni reali, anche lei intenta a metabolizzare una perdita “vera” (di un uomo invadente e prevaricatore che non a caso ha fatto voto di silenzio) e una artificiale.
    Al netto dei limiti narrativi, il film stimola una riflessione su condivisione, perdita e solitudine nel mondo della comunicazione alterata dalle tecnologie (che estremizzano l’esibizione e la chiusura delle singolarità) e si conclude efficacemente con una scena in cui due persone unite dall’empatia vanno, insieme, a guardare fuori.
    (Balthazar)

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